CAR-T la sfida dell’accessibilità

È la possibilità di cura più avanzata del momento per affrontare le leucemie. Linfociti T ingegnerizzati per scovare i tumori e combatterli. È ora il momento di mettere a punto cure personalizzate su larga scala
4 Marzo 2020 |
Gianmarco Nebbiai

Come rendere accessibile a tutti e sostenibile per il sistema sanitario un trattamento di cura di frontiera?
Questa è la sfida che, in questo momento, riguarda l’organizzazione di un modello compatibile con il mercato ma, al tempo stesso, democratico e praticabile per il sistema sanitario, delle cure CAR-T, la più recente risorsa genetica per il trattamento delle leucemie. Si tratta, in particolare, della più promettente risposta rispetto a due particolari patologie: la leucemia linfoblastica acuta e il linfoma diffuso a grandi cellule che, nei pazienti refrattari alle terapie oggi disponibili, danno un’aspettativa di vita molto bassa o nulla. 
La ricerca è arrivata ad un punto di svolta. Il trattamento con le CAR-T è in grado di restituire al sistema immunitario la sua naturale capacità di riconoscere ed eliminare le cellule tumorali e risulta risolutiva nel 40% dei casi refrattari alle cure tradizionali. È una metodologia biotecnologica, in grado di ridare speranza ad una parte di quei pazienti per i quali non hanno funzionato le terapie convenzionali. Siamo di fronte ad un grande passo in avanti per il trattamento delle leucemie più aggressive e, grazie alla ricerca, si stanno studiando già possibili applicazioni su persone colpite da altri tipi di tumori. Il problema però è che mentre la ricerca e la fase di innovazione proseguono, incrementando nuove possibilità di cura, affinando sempre di più la precisione e l’efficacia della terapia, la questione della gestione organizzativa si confronta con la complessità di produzione e di somministrazione di questo trattamento come diffuso e regolare processo di cura.
Se da un lato, infatti, questi strumenti terapeutici saranno personalizzati al singolo paziente, i processi organizzativi che riguardano l’intero percorso di cura richiedono una standardizzazione ed una formazione del personale specifica da costruire in dettaglio. Non meno sfidante è trovare il modo di erogare una cura salvavita, che al momento costa centinaia di migliaia di euro per singolo trattamento, a tutti i possibili pazienti, secondo criteri di efficacia, tempestività e sicurezza.  



Che cosa sono le CAR-T

Le CAR-T (Chimeric Antigens Receptor Cells-T) sono cellule modificate in laboratorio a partire dai linfociti T, i globuli bianchi, le cellule del sistema immunitario che riconoscono e neutralizzano virus o cellule maligne. Come noto, diversi tumori riescono a nascondersi alle difese del sistema immunitario. La ricerca aveva già provato che i linfociti T, prelevati da pazienti ammalati di tumore, espansi di numero in provetta e infusi di nuovo al paziente, riuscivano a ridurre in modo anche considerevole la massa tumorale. L’evoluzione consiste nel fatto che i CAR-T sono linfociti T estratti da un soggetto malato e ingegnerizzati in laboratorio per avere un sistema di riconoscimento mirato su alcuni tipi di cellule tumorali.



Come funziona la terapia

Cosa funziona quindi la terapia? In termini semplificati, i linfociti T del paziente vengono prelevati, modificati e incrementati di numero. Il paziente, nel frattempo, deve essere sottoposto ad un ciclo di chemioterapia che ha la funzione di eliminare le rimanenti cellule del sistema immunitario. A questo punto i linfociti T modificati vengono reintrodotti nel corpo del paziente. Si tratta di una cura personalizzata perché, per essere efficace, ed evitare fenomeni di rigetto, devono essere modificate le cellule di ogni singolo paziente. Il processo nel suo complesso dura circa un mese. 


In attesa di un percorso di cura sostenibile

Questo importante traguardo scientifico deve adesso compiere un salto di qualità per diventare un percorso di cura concreto e, questo, chiama in causa i Sistemi Sanitari Regionali per quanto riguarda capacità di governance e organizzazione delle sue strutture. Le CAR-T, in effetti, non sono semplicemente dei farmaci, piuttosto, sono dei complessi percorsi di cura per cui occorre un sistema di servizi all’altezza. Per creare un servizio assistenziale snello, di rapido accesso e soprattutto sicuro per il paziente, lo scambio di informazioni e di idee tra regioni, tra centri ospedalieri in partnership con le aziende produttrici della tecnologia sanitaria diventa un passaggio necessario. La conseguenza logica potrebbe essere la creazione di una rete interregionale dedicata alla cura di questi pazienti con queste terapie attraverso protocolli condivisi. Novartis, una delle due case farmaceutiche che commercializzano il trattamento in questa fase, insieme con Motore Sanità sta promuovendo una serie di dibattiti in diverse regioni proprio per discutere in modo aperto dei possibili modelli di sviluppo e collaborazione. La prima tappa della Road Map è stata il Veneto che il 28 maggio si è resa protagonista nell’evento ‘Road Map CAR-T prospettive attuali e future dell’uso delle car-t in Italia’. A questo incontro ne sono seguiti altri in Toscana, Lazio e Lombardia. Durante il primo incontro Carlo Visco, Professore Dipartimento di Ematologia, Università di Verona inquadra il tema sul piano numerico: “I linfomi diffusi a grandi cellule B sono le più frequenti forme di linfoma non Hodgkin aggressivo dell’adulto. In Italia ogni anno sono diagnosticati circa 16.000 nuovi casi di linfoma di cui quelli diffusi a grandi cellule B hanno una incidenza pari a circa 4,8 casi per 100.000 (dati AIOM). Per alcuni di questi (circa 600-700) non rispondenti alle precedenti terapie, Car-T offre invece ora una nuova prospettiva di cura potenzialmente risolutiva in circa il 40% di essi”. Non sarà semplice realizzare su tutto il territorio nazionale una rete distribuita di competenze altamente specialistiche per trattare un numero stimato di circa 60/70 pazienti ogni anno.



Una rete specializzata e sostenibile

I problemi, in Veneto, per esempio, consistono nell’individuare un modello di sostenibilità economica ed organizzativa, coordinando funzionalmente percorsi codificati e standardizzati. Secondo Simona Bellometti, direttore sanitario Azienda Zero, occorre stimare il fabbisogno presunto dei pazienti candidabili.
Inoltre, occorre stabilire il raggiungimento e la verifica dei requisiti specifici previsti per i centri identificati come eligibili ad erogare il trattamento. Le tecnologie più costose e maggiormente complesse dovranno essere concentrate nei poli d’eccellenza. Andranno stabilite le linee guida per definire i criteri di appropriatezza e sicurezza. Un importante punto che i dirigenti Veneti devono affrontare è costituito dal difficile compito di individuare i centri scientifici che possano svolgere i vari processi (aferesi, manipolazione, congelamento, reinfusione, ecc.) richiesti per l’utilizzo delle CAR-T. Ma il discorso vale per tutte le regioni italiane. Per assicurare efficacia a questi percorsi di cura occorrono capacità multidisciplinari, inserite all’interno di ‘CAR-T team’ dedicati formati da medici trapiantologi, trasfusionisti, neurologi, rianimatori, ematologi esperti in neoplasie, per la selezione dei pazienti, per garantire processi aferetici efficienti, per supportare un adeguato monitoraggio degli eventuali effetti collaterali post-infusivi ed il follow-up. Oltre questo, è rilevante il ruolo della rete farmacistica ospedaliera.
Secondo Cittadinanzattiva sarà fondamentale garantire che in tutte le Regioni si riescano ad utilizzare i Fondi a disposizione e ridurre al minimo la trafila burocratica. Per Silvia Cavallarin, portavoce dell’associazione in Veneto: “questi fondi rappresentano una opportunità importante per rendere l’innovazione sostenibile. Migliorare l’organizzazione dei servizi, individuare il Centro solo sulla base delle competenze, non basta; bisogna assicurare l’adeguamento in termini di personale e dotazioni, per far fronte alle esigenze dei cittadini malati di una così grave patologia. Così come ridurre i tempi morti e inutili, semplificare l’attuale assetto burocratico, evitando duplicazioni di funzioni e di passaggi che non fanno altro che appesantire l’attività quotidiana dei professionisti sanitari ed incidere negativamente sulle tempistiche di accesso alle terapie salvavita da parte dei cittadini”.

A questo proposito, nella tappa romana del Road show, il Ministero della Salute attraverso il Sottosegretario Luca Colletto ha ricordato che è stata predisposta una specifica commissione che si occuperà di verificare il rispetto dei criteri AIFA e della vigilanza sulla capacità dei centri che la effettueranno la terapia. Altro compito del ministero sarà di assicurare un adeguato fondo per l’innovazione oncologica che possa far fronte alle coperture economiche derivare dai farmaci innovativi, alla monitorizzazione in collaborazione con la commissione stato-regioni della situazione in corso d’opera, come fatto per altre terapie come quelle per l’epatite C, e di individuare con le regioni stesse future necessità organizzative nel caso di introduzioni di terapie CAR-T o similari  per il trattamento di altre patologie quali per esempio il mieloma multiplo, la leucemia linfatica cronica e alcuni tumori solidi.



Tempo e denaro

Tuttavia, malgrado le intenzioni, il tempo scorre e l’Italia resta indietro. Per esempio, Roberto Foà, Direttore UOC Ematologia AOU Policlinico Umberto I Roma ricorda che: “l’Italia non ha ancora autorizzato l’uso clinico delle CAR-T per le due indicazioni approvate da EMA nell’Agosto 2018. E non ci sono indicazioni che ciò possa avvenire a breve. Stiamo diventando l’ultimo paese del Centro Europa, e non solo. Ciò rappresenta un evidente danno per i pazienti a cui non viene offerta questa possibilità terapeutica ormai presente in molti altri paesi”.
Sullo sfondo resta il problema dei costi del trattamento per il quale occorre una riflessione profonda e un cambio di prospettiva nel valore. Per Francesco Saverio Mennini, Professore di Economia Sanitaria, EEHTA CEIS: “Quando si parla di valore di una tecnologia è necessario sottolineare che Il valore non è coincidente con il prezzo che rappresenta solo la quantificazione iniziale dell’offerta da parte del venditore. Per quanto attiene lo specifico del farmaco o di una tecnologia sanitaria, diviene necessario coniugare il valore terapeutico del farmaco con il suo valore economico e sociale, un esercizio cui sono chiamati i decisori del settore sanitario: medici, operatori sanitari, ma anche i pazienti, e tutti i decisori coinvolti (Min Economia, INPS, INAIL). Per garantire un approccio proattivo in termini di valore del farmaco risulta cruciale, soprattutto in questo periodo caratterizzato dall’ingresso di tecnologie differenti da quelle alle quali ci eravamo abituati, il tema delle regole di accesso al mercato. Occorrono regole chiare che definiscano e tutelino l’innovazione accompagnate anche da nuovi modelli finanziari”.
Per l’introduzione delle CAR-T sono necessarie, quindi, diverse azioni da parte del SSN e dei singoli sistemi sanitari regionali ma non si può lasciare che l’innovazione rallenti il suo corso a causa della burocrazia, perchè quando si parla di nuove terapie e nuovi farmaci non ci si deve dimenticare che si parla anche di persone malate a cui fin troppo spesso non è concesso troppo tempo per aspettare. “Le CAR T – afferma Alessia Squillace dell’associazione Cittadinanzattiva – rappresentano una importante innovazione, ad oggi, per la cura di specifiche patologie ematologiche e specifici target di pazienti, ma la ricerca, in continua evoluzione, prospetta scenari molto incoraggianti anche per altre forme tumorali. In questa prospettiva, il nostro SSN deve prepararsi adeguatamente – prosegue Squillace – e per tempo ed essere pronto ad accogliere questa innovazione e quelle che verranno, per poter garantire certezza delle cure a tutti coloro che ne hanno bisogno e tempestività di accesso su tutto il territorio nazionale. C’è prima di tutto una questione etica: parliamo della vita delle persone, di malati che non hanno altre opzioni terapeutiche, di ragazzi e di bambini. Parliamo di genitori che sono disposti a tentare tutto per vedere salvata la vita del proprio figlio. Deve essere garantito, a chi ha bisogno, nessuno escluso, il diritto all’accesso e una adeguata informazione, anche in fase di sperimentazione. E questo tema deve essere prevalente su tutto il resto. Sono i bisogni di salute che devono orientare le scelte e non la questione economica a contenere e comprimere i diritti”. 



la BlockChain a supporto delle CAR-T

Il modello di certificazione diffuso e blindato della BlockChain ha già trovato impiego in Europa nel campo delle Car-T. La tedesca Camelot ITLab, per esempio, ha fondato l’hypertrust Patient Data Care e la sua soluzione hypertrust X-Chain viene utilizzata nei trattamenti di immunoterapia cellulare CAR-T. La soluzione X-Chain hypertrust utilizza la tecnologia blockchain per creare una traccia di controllo immutabile e una catena di custodia per i dati del paziente che verifica le identità di tutti i soggetti coinvolti nella procedura. La piattaforma utilizza anche sensori per tracciare i materiali, garantendo ulteriormente che siano dove devono essere e solo in mani autorizzate. In realtà, per ragioni di sicurezza e difesa di dati estremamente sensibili, la piattaforma tecnologica in questo caso non è totalmente decentralizzata, ma è una blockchain privata che è pubblicamente verificabile, consentendo a tutte le parti coinvolte di verificare l’autenticità reciproca. La piattaforma X-Chain di hypertrust utilizza sia la blockchain che il Trusted Computing Appliance di Camelot per creare una supply chain a ciclo chiuso. Poiché le normative sulla protezione dei dati proibiscono l’aggiunta di dati sulla salute dei pazienti alla blockchain, la società archivia le informazioni private off-chain sul sistema di appliance di calcolo. Ma ogni parte coinvolta nel processo di terapia cellulare ha accesso a un nodo blockchain che consente di garantire l’integrità della catena di custodia.



Gianmarco Nebbiai
Cofondatore e Direttore responsabile di Innovazione.PA. Giornalista e Comunicatore d’impresa, scrive di ICT e del suo impatto sulla società e l’economia dal 1995. Segue tutti i temi legati alla trasformazione digitale della Pubblica Amministrazione, all’innovazione dei processi e dei servizi a disposizione dei cittadini, con particolare attenzione all’innovazione sociale e al digital health.

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