Dottoressa Marica Branchesi, si presenti.
Io sono attualmente ricercatrice di tipo B, al Gran Sasso Science Institute a L’Aquila, in attesa di divenire professore associato. Sono qui dal 2017 dove coordino un bel gruppo PhD (Philosophiae Doctor, dottore in filosofia, usato nel mondo anglossasone per designare il titolare di un dottorato in qualsiasi disciplina), è una scuola d’eccellenza per dottorandi. È nata dopo il terremoto del 2009, come progetto anche per rilanciare L’Aquila a livello culturale e scientifico. Inizialmente era stata finanziata dall’Istituto Nazionale Fisica Nucleare poi, nel 2016, è diventata università pubblica. Abbiamo studenti provenienti da tutto il mondo e il gruppo piano piano in questi anni è molto cresciuto. Sono anche Presidente della Commissione astrofisica delle onde gravitazionali della International Union Astronomy, e membro del Comitato Internazionale per le onde gravitazionali. Non da ultimo, sono direttamente coinvolta nella collaborazione internazionale Ligo-Vigo, tre giganteschi interferometri due negli Stati Uniti e il terzo in Italia progettato e costruito da una collaborazione fra il Centre National de la Recherche Scientifique (CNRS) francese e dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) italiano. In questo progetto internazionale sono coinvolti ricercatori di tutto il mondo impegnati a rilevare le onde gravitazionali e provenienti da eventi catastrofici che accadono nell’Universo. Insomma, sono un’astrofisica.
Ma per comuni mortali, cosa sono le onde gravitazionali?
Le onde gravitazionali sono state predette da Albert Einstein un secolo fa. Nel 2015, per la prima volta, noi siamo riusciti ad osservarle a Terra, originando così un nuovo modo di osservare l’Universo. Abbiamo fatto un po’ quello che Galileo fece puntando per la prima volta il suo telescopio. Le onde gravitazionali sono un nuovo messaggero che ci racconta gli eventi catastrofici e in pochi anni, ci hanno permesso di capire meglio cosa avviene quando due buchi neri o due stelle di neutroni si scontrano. Sono oggetti estremi che nascono dalla morte di stelle estremamente massicce, quando si scontrano emettono quantità di energia enormi nell’universo che adesso siamo in grado di rilevarle con le onde gravitazionali. Sono come delle onde che si formano come quando noi lanciamo un sasso nell’acqua, solo che in questo caso sono proprio delle increspature dello spazio-tempo. Quando abbiamo osservato per la prima volta nel 2017 la fusione delle stelle di neutroni (stelle esotiche estremamente dense, pari alla dimensione di due soli in venti chilometri) attraverso le onde gravitazionali siamo riusciti anche ad osservare tutti i colori della luce e la loro evoluzione con tutti i telescopi tradizionali.
Queste straordinarie osservazioni e ricerche, che ricadute hanno per il nostro mondo?
Queste osservazioni per esempio ci hanno permesso di comprendere come si formano gli elementi pesanti nell’universo tra cui l’oro, il platino. La formazione di questi elementi pesanti è sempre stato un enigma. Quando studiamo l’universo comprendiamo un poco di più di ciò che siamo. Tutti gli elementi che abbiamo sulla terra vengono da lì, dall’universo. Sono scoperte che ci raccontano più di noi stessi, ci raccontano chi siamo, da dove veniamo e il contesto entro il quale viviamo. Allo stesso tempo per arrivare a queste scoperte abbiamo bisogno di un forte sviluppo tecnologico. Gli interferometri che registrano le onde gravitazionali e sono in grado di misurare variazioni di distanza tra specchi posti alla distanza di alcuni chilometri più piccole del nucleo di un atomo. La tecnologia di questi strumenti potrà avere ricadute in campo medico e geofisico. Possono essere utilizzati per registrare la variazione della gravità della Terra, quando ci sono i terremoti che lontano dall’epicentro arrivano prima dell’onda sismica. Per analizzare le grandi moli di dati raccolte dai rivelatori di onde gravitazionali, telescopi e satelliti, vengono sviluppate tecniche per analisi dati molto raffinate, che utilizzano tecniche di machine learning e intelligenza artificiale. Tali tecniche possono essere utilizzate in tanti altri ambiti. Sia lo sviluppo tecnologico che l’analisi dati avranno ricadute importanti sulla qualità della nostra vita.
Quando lei guarda nell’universo, cosa vedono i suoi occhi?
Gli astrofisici come me amano molto l’esplorazione, guardare l’universo, scorgere immagini bellissime. Le vedo e inevitabilmente penso che qualcosa è accaduto e che va capito. Sai perfettamente di scrutare una piccola parte dell’universo ma allo stesso tempo sai di aggiungere una tessera del grande puzzle della conoscenza. Noi, nonostante tutte le ricerche, conosciamo pochissimo dell’Universo. Io mi emoziono quando arrivano i dati di ciò che osservo, mi sento come un detective che deve ricostruire quello che c’è intorno. Mi emoziono come quando ammiro un dipinto, un’opera d’arte.
Ma poi non ci si sente un po’ più piccoli?
Ci si sente molto piccoli. C’è un’immagine bellissima dalla Voyager della Terra che mostra quanto è piccola la Terra e lì siamo vicinissimi. Pensare che la Terra è in una galassia di miliardi di stelle e che nell’universo ci sono migliaia di galassie, beh la misura del nostro essere piccoli è data. Piccoli ma abbiamo una ricchezza: la Terra, non si trova facilmente, anche se ve ne sono di certo altre, nell’Universo. Io mi sento piccola ma allo stesso tempo grande perché da qua riusciamo ad esplorare e fare grandi cose.
Come muta in questi contesti l’idea del tempo?
Il tempo è essenziale. Einstein ha dimostrato che il tempo esiste come le dimensioni dello spazio, si parla infatti di spazio-tempo. Il tempo per noi è qualcosa di fisso ma in realtà non lo è. Per esempio, i nostri GPS noi li correggiamo perché il tempo dei satelliti è più veloce rispetto al tempo a terra, per una questione di gravità. Il tempo della nostra vita rispetto al tempo dell’Universo è brevissimo. Pensi che questi segnali di onde gravitazionali che noi registriamo e osserviamo grazie alle onde gravitazionali possono arrivare dopo aver viaggiato per milioni, milioni di anni. E così il tempo dell’uomo assume un aspetto un po’ diverso.
Perché secondo lei sono ancora poche le donne che riescono a raggiungere pozioni apicali in ambito accademico e scientifico?
Penso che sia un problema legato a retaggi culturali ed educativi. Io ho due bambini piccoli, di quattro e tre anni però già in quello che dicono c’è la percezione secondo la quale questo è per un bambino e quest’altro per una bambina. Mi rendo conto che le mie studentesse hanno più paura di sbagliare, anche io vivevo quella paura, ma poi mi sono resa conto che sbagliare è una ricchezza, impari e ricominci. Spesso accade che i risultati scientifici raggiunti dalle donne vengono messi in discussione maggiormente rispetto a quelli ottenuti dagli uomini. E il numero di donne nella scienza già non alto diventa ancora più piccolo quando si arriva ai vertici. Penso che questo sia legato al fatto che tanti settori, e non solo la scienza, siano stati negli anni dominati e strutturati per gli uomini, e le donne devono ancora lottare per contribuire a cambiarli e ottenere ciò che meritano.
Ma lei il successo l’ha ottenuto presto, così giovane…
Non così presto, tanti anni di lavoro. Mi ha aiutato lavorare in ambienti internazionali. Mi sono sentita libera di esprimere le mie idee e questo mi ha dato la forza per andare avanti. Lavoro con molta passione, forse anche troppo. Non ho mai voluto pormi dei limiti, ho anche dovuto sostenere grandi battaglie, spesso dire ciò che pensi può essere anche rischioso.
Dopo le onde gravitazionali, dove si orienta la sua ricerca?
Siamo in presenza di una nuova astronomia, abbiamo nuove osservazioni. Siamo di fronte a un nuovo modo di vedere e pensare l’universo. Riusciamo a vedere cose che prima era impossibile osservare. Possiamo osservare la fusione di due stelle di neutroni oppure l’esplosione di una Supernova, regioni così dense da cui la luce non riesce a liberarsi perché assorbita. Possiamo studiare l’espansione dell’universo. Il mio lavoro continua a concentrarsi sulle sorgenti di onde gravitazionali. Il mio gruppo lavora sia sulla parte di analisi dei dati sia allo sviluppo di modelli per capire queste sorgenti astrofisiche. Nello stesso tempo stiamo già lavorando agli strumenti futuri, in particolare i rivelatori di prossima generazione. Il nuovo strumento a cui stiamo pensando a livello europeo si chiama Einstein Telescope, per il quale in Europa ci sono due siti che se lo contendono, uno in Sardegna e l’altro al South of Limburg tra l’Olanda e la Germania. Lavoriamo anche per satelliti del futuro, insomma tra i dati che ora abbiamo a disposizione e quelli che saranno forniti dall’astronomia futura.
Lei ha fatto un percorso inverso. Ha studiato in Italia, qui si è laureata e poi si è trasferita in Usa: un cervello di ritorno?
Io negli Stati Uniti in fondo ci sono stata poco, solo sei mesi. Mi sono laureata a Bologna, nel capoluogo emiliano ho fatto anche il dottorato e poi ho fatto questa scelta, vista da molti come un azzardo ma poi si è rivelata una scelta fortunata, di tornare a Urbino nella mia città. Qui lavorava un primo gruppo sulle onde gravitazionali. Ad Urbino sono stata tre anni e poi sono partita per gli Stati Uniti. Prima di partire avevo scritto un progetto per bandi Firb, fondi per giovani ricercatori che attualmente non ci sono più. Praticamente per quel progetto mi fu assegnato un fondo di un milione di euro che mi ha permesso di tornare in Italia e organizzare il mio gruppo di ricerca. Certo se non avessi ottenuto quel finanziamento sarei rimasta negli Stati Uniti. Penso che il nostro Paese debba investire molto di più sui giovani ricercatori. Oggi invece si preferisce dare possibilità di accedere ai fondi a chi già è arruolato in Università. Ma come nel mio caso io credo che investendo sui giovani ricercatori potremmo assistere a fenomeni di ritorno per coloro che hanno scelto di andare in altri Paesi. È anche questione di mentalità, da noi si fa tanta fatica a dare posizioni di responsabilità ai giovani. Da noi la ricerca ha raggiunto livelli altissimi, per quale motivo se ben incentivati i cervelli giovani in fuga non dovrebbero tornare?
Esiste l’Europa della scienza?
L’Italia e l’Europa hanno avuto un ruolo importantissimo a proposito delle onde gravitazionali, una scoperta alla quale hanno contribuito migliaia di ricercatori di tutto il mondo. L’Europa è stata determinante sia nella rivelazione delle onde gravitazionali sia su tutta la parte di rivelazione del segnale elettromagnetico dalle sorgenti di onde gravitazionali utilizzando telescopi a terra e satelliti dell’European Southern Observatory (Eso) o dell’European Space Agency (Esa). Si è passati dalla competizione alla collaborazione e questo è un grande vantaggio rispetto agli Stati Uniti dove operano gruppi piccoli e spesso in competizione. Nella rivelazione delle onde gravitazionali la collaborazione è globale e coinvolge anche Stati Uniti, Giappone, Australia, India, oltre l’Europa. La parte relativa all’astronomia più tradizionale segna ancora una certa rivalità tra Stati Uniti ed Europa. Ma le sfide tecnologiche sono enormi e spingono tutti verso una stretta collaborazione.
Ma allora perché l’Italia è poco attraente, si tende ad andare altrove?
L’Italia è poco attraente anche perché il sistema burocratico rende tutto molto complicato. Quando vinci un bando di ricerca, quando devi spendere le risorse economiche assegnate, quando devi essere assunto, tutto diviene una complicata corsa ad ostacoli. Il mondo della scienza e della ricerca all’estero è molto più flessibile, ti chiamano, basta una telefonata, ti offrono posizioni di rilievo con stipendi enormi, certamente non paragonabili ai nostri. In Italia devi superare tutti gli step di concorsi a volte anche anonimi e che non sempre premiano i più meritevoli. In altri Paesi è molto più facile ottenere fondi e finanziamenti e i controlli sono molto serrati, ma concentrati sui risultati della tua attività. Insomma ti finanziano ma poi se non sei performante non ti viene più finanziata alcuna attività. All’estero il sostegno alla ricerca è spesso molto più forte e concreto da parte delle istituzioni di governo. È anche vero che tutti gli scienziati che vengono in Italia stanno bene, ma tipicamente è per la qualità della vita.
Secondo lei, qual è il rapporto tra scienza, democrazia e società?
La scienza non può essere per pochi e stare al di sopra di tutto, va comunicata in modo semplice, va resa accessibile a tutti. E in questo deve essere democratica. Tuttavia, il problema principale è che adesso c’è la diffusione di una sorta di non scienza, tutti si sentono in diritto di essere “scienziati”. La scienza non è qualcosa di esatto e immutabile nel tempo, – noi siamo i primi a mettere in discussione le nostre scoperte e a cercare nuove teorie, – ma si deve basare su dati oggettivi, analisi rigorose, deve essere riproducibile e verificabile da tutti.
Non si può essere democratici nell’accettare teorie che non hanno valenza scientifica ma allo stesso tempo la scienza deve essere democratica nel fornire a tutti gli strumenti educativi per accedere, verificare e partecipare alla scienza. La comunicazione della scienza non deve escludere nessuno. Non mi piace l’idea dello scienziato che non parla, che non comunica con la gente in quanto non disposto alla semplificazione del suo lavoro. La scienza va resa comprensibile a tutti. Gli scienziati devono fare una buona comunicazione per far capire quali teorie sono rigorose e hanno un supporto scientifico e quali invece ne sono prive. Si deve combattere l’analfabetismo scientifico e noi abbiamo il dovere di contribuire fortemente nell’educare alla scienza. Ma dobbiamo fare i conti anche con la percezione che si ha dello scienziato nell’immaginario delle persone. Veniamo spesso pensati come coloro che vivono e studiano in una sorta di isolamento, lontani dalla realtà di tutti i giorni. Il mio successo mediatico raggiunto con Nature, mi ha dato la possibilità di incontrare e parlare con tante persone, cosa che prima non accadeva e questa è una grande opportunità per trasmettere la bellezza e potenzialità della scienza.
La scienza ai tempi del Coronavirus. Quale lezione ne trae?
Nella drammatica situazione del Coronavirus che ha sconvolto il nostro Paese, c’è però un dato positivo: finalmente istituzioni, organizzazioni e anche le persone, si affidano alla scienza riconoscendone grande valore per la nostra vita. In questo momento è certo cresciuta la fiducia dei cittadini nei confronti del nostro lavoro. Ma bisogna essere consapevoli che la scienza non risolve tutti i problemi che si presentano alle nostre comunità. Gli scienziati stanno studiando il virus ma anche loro hanno dei limiti, ci vuole il tempo necessario, non possono avere risposte rapide su tutto. Devono poter ricercare, studiare e sperimentare. In questa situazione di emergenza l’attenzione verso la ricerca e la speranza che questa possa in breve tempo portare alla definizione di un vaccino che sconfigga il virus, è altissima ed è giusto, perché è quello che ci permetterà di ripartire.
Ma anche nella tragicità di queste settimane, fioriscono le fake news…
I social quando circolano fake news, sono pericolosi, sono potenti veicoli di false informazioni, ma sono anche importantissimi mezzi di comunicazione per la scienza. Il problema è sempre quello di arrivare al maggior numero di persone che hanno sempre poco tempo per approfondire la propria conoscenza. Bisogna cercare di capire come, in una società che sempre più si accontenta di messaggi veloci si possa tornare al dialogo più diretto, meno superficiale. Il governo qualificato dell’informazione può sconfiggere le falsità e la velocità con la quale si diffondono sui social talune notizie. Ad esempio durante questa pandemia, stiamo vedendo l’alto livello dei giornalisti scientifici italiani.
Lei tradisce molto entusiasmo come è cambiata la sua vita se è cambiata dopo essere stata indicata come una delle 100 persone più influenti nel mondo?
La mia vita non è cambiata. Mi ritengo molto fortunata di aver partecipato a scoperte meravigliose. Ma le garantisco che ho lavorato molto e continuo a farlo. Ho avuto anche difficoltà dovute anche a forme di invidia. Ma questo fa parte della vita di tutti i giorni. Certo ho delle grandi opportunità ma la mia vita è rimasta la stessa.
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