Nel 2019 ha ospitato – unica città italiana – l’apertura delle celebrazioni per i 500 anni dalla morte di Leonardo. Nel 2021 si candida e viene selezionata insieme ad altre 22 città a Capitale della Cultura Italiana 2024 con uno slogan che non passa inosservato: La Cultura dell’Impossibile.
A vocazione da sempre manifatturiera, forte di un tessuto imprenditoriale di tutto rispetto che attira sul territorio multinazionali italiane e straniere, Vinci si scopre negli ultimi anni anche città turistica, con un focus per lo più concentrato a celebrare il Genio e la sua vita. Il 2020 però rimescola le carte: la pandemia costringe a guardare a questa importante risorsa economica con un occhio diverso, con una prospettiva diversa. Il sindaco Giuseppe Torchia, al secondo mandato e in carica ancora fino al 2024, ci racconta in questa intervista quale idea di Cultura la città intenda promuovere per sfidare il futuro attingendo spunti e indicazioni da un passato geniale. E condivide anche le sue preoccupazioni in relazione al PNRR: la Pubblica Amministrazione, a tutti i livelli, è pronta alla sfida? E infine: una riflessioni sulle competenze comportamentali utili per svolgere il ruolo di sindaco, con un occhio alle nuove generazioni e alla pace sociale.
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Sindaco, cosa vi ha spinto a candidarvi e quali sono le prospettive nel caso doveste aggiudicarvi il premio, che è anche un premio importante dal punto di vista economico?
Mi lasci dire subito che non è tanto importante dal punto di vista economico, perché un milione di euro sul bilancio di un comune come Vinci non pesa tantissimo. È invece importante per quello che può rappresentare in termini di promozione della città, che poi si traduce in presenze turistiche sul nostro territorio. La scelta di candidarci a capitale della cultura nasce da una riflessione che abbiamo fatto a seguito delle celebrazioni dei 500 anni della morte di Leonardo. Siamo stati l’unico luogo in Italia in cui hanno avuto inizio le celebrazioni, alla presenza del Presidente Mattarella. C’è stata una mostra Importante, forse la più importante in Italia. La pandemia, i mesi di emergenza sanitaria ci hanno evidenziato bene come questo nostro approccio alle politiche culturali, che è un approccio a volte meramente celebrativo, sia molto molto fragile. Infatti, il crollo delle presenze turistiche a causa della pandemia ha creato problemi non indifferenti dal punto di vista economico e sociale per tutte le città d’arte, non solo Vinci. Pensiamo a Firenze e tutte le grandi città d’arte italiane che hanno sofferto di questo problema. Da lì è nata una riflessione su come superare questo approccio meramente celebrativo e cercare di trasformare le politiche culturali in elemento strutturale di crescita economica. Quindi ci siamo candidati preparando un dossier, cioè un progetto, che cerca di coinvolgere il territorio nella sua complessità e interezza, ovvero associazioni, realtà imprenditoriali, realtà economiche importanti, istituti scolastici, Università , comuni limitrofi. Un progetto che ci permetta di trasformare la cultura in elemento di crescita e non di mera azione celebrativa del grande Genio. È da qui che nasce l’esigenza di candidarci a Capitale della cultura, per noi è stato un mezzo col quale pensiamo di cambiare il nostro approccio alle politiche culturali, a prescindere se vinceremo o no. Intanto abbiamo costruito un progetto che si sviluppa in più anni. Lavoreremo per avviare questo processo di trasformazione, un processo non semplice che richiede risorse economiche e disponibilità anche dei soggetti privati. Pensiamo però sia importante e necessario avviarlo.
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Come nasce lo slogan “Cultura dell’Impossibile”.
Nasce da questa riflessione: Leonardo è stato grande perché riusciva a tenere insieme due elementi che erano la razionalità – perché tutto ciò che faceva era frutto di osservazioni della natura e rispondeva alle leggi matematiche e fisiche, rigorose – a cui affiancava un altro elemento importante, cioè la capacità di guardare oltre il perimetro del suo tempo. Leonardo pensava e rifletteva su cose che ai suoi contemporanei risultavano per lo più inverosimili. E quindi: l’impossibile. L’accostamento di questi due termini ci porta quello slogan che riflette ciò che vogliamo fare, cioè cominciare a pensare a questa città e a questo territorio in una prospettiva futura. L’impossibile abbinato alla cultura, alla razionalità. È un ossimoro perché mette insieme due elementi apparentemente inconciliabili, e come tutti gli ossimori è suggestivo.
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Quali saranno per lei come sindaco le sfide impossibili?
Le sfide impossibili sono diverse, molteplici, ma penso che si Possano riassumere in una. La città di Vinci, come tutto il territorio di questa parte della Toscana, ha tante emergenze di tipo culturale, ma è anche una zona con una importante e determinante vocazione di tipo manifatturiero industriale. Le due cose da sempre viaggiano su binari separati. Pensi per esempio alla storia della città di Vinci: è una città che ha una forte vocazione industriale, ha tantissime grandi aziende e l’attività manifatturiera ancora oggi è l’elemento centrale dell’economia della città. E soltanto negli ultimi 20 anni ha avviato una trasformazione, diventando anche un polo di attrazione turistica per tutto ciò che è legato a Leonardo e per le politiche culturali messe in campo, per gli investimenti fatti dall’amministrazione comunale. Però i due settori della nostra economia, la parte manifatturiera industriale e la parte culturale turistica, non si incontrano. A mio avviso la sfida è impossibile è quella di metterle insieme affinché la cultura industriale manifatturiera di questo di questo territorio diventi anche elemento di eccellenza culturale. Perché il sapere artigianale che si è trasformato in realtà industriale secondo me è un elemento culturale che va tutelato e valorizzato. Questa è la sfida che noi vogliamo affrontare con la Capitale della cultura. È complicato, difficile, però penso sia l’unica vera prospettiva di crescita economica negli anni, cui si affianca tutto il ragionamento sull’innovazione, sull’ efficientamento energetico, sull’utilizzo delle nuove tecnologie. Nascono dei processi culturali che devono diventare elemento di crescita economica del territorio. Questa è la sfida impossibile, una sfida che va oltre il sottoscritto, ma che è giusto si inizi ad affrontare, per segnare una strada su cui chi verrà dopo potrà e dovrà proseguire…
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Avete già un’idea di come conciliare questi due aspetti? Cosa state osservando proprio anche a livello di comportamenti delle nuove generazioni?
Il problema è proprio questo: le nuove generazioni. Perché la preparazione che le istituzioni scolastiche danno loro è distante da quella che è la realtà economica, sociale e anche culturale del territorio. E questo è un gap che bisogna in qualche modo colmare. Sul nostro territorio, nella confinante Empoli, ha sede Computer Gross, partner importante della multinazionale Cisco. A settembre è stata ufficializzata la nascita della Fondazione Prodigi (che sta per pro digitale), che ha l’obiettivo di aiutare ad avviare i ragazzi degli istituti tecnici superiori a conoscere il mondo del digitale e quindi trasformare questa conoscenza in occasione di impiego, di lavoro all’interno del sistema industriale. Io incontro tanti imprenditori che mi dicono che sono alla ricerca di professionalità particolari e che con grande difficoltà riescono a trovarle. Questo è un elemento di freno alla crescita di aziende, che oggi hanno bisogno di alta professionalità che forse i nostri istituti tecnici, le nostre scuole non riescono più a garantire. Il progetto di Capitale della Cultura ha anche al suo interno questo aspetto.
Qui abbiamo poi un’altra realtà importante, Luxottica. Recentemente ha fatto un investimento sulla città di Vinci, acquistando una scuola di formazione professionale per gli ottici che è stata la prima in Italia. Nacque tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta e per oltre 50 anni ha formato gli ottici. Luxottica, che ha una vasta e ramificata rete commerciale, mancava in un istituto di formazione. È venuta quindi a Vinci acquisendo questa scuola di ottica facendola diventare punto di formazione per la propria rete commerciale. Ma non finisce qui, perché sempre in chiave di futuro stiamo pensando insieme a Luxottica a dei processi innovativi che sono legati alle nanotecnologie e all’applicazione che queste possano avere nel mondo delle lenti e degli occhiali e delle lenti a contatto, in particolar modo. Anche questo è un altro dei progetti della capitale della cultura. Si parte dagli dalle Osservazioni d’ottica di Leonardo per arrivare all’applicazione delle nanotecnologie.
Ancora un esempio: abbiamo inaugurato con l’Istituto Sant’Anna di Pisa una mostra sulla Robotica. E quindi si parte dai primi meccanismi di Leonardo per arrivare a capire come oggi i robot hanno logicità nelle loro azioni. Questo è un modo per superare l’approccio meramente celebrativo, cioè la città di Vinci non ha più bisogno di raccontare che Leonardo era bravo, bello e intelligente, ma abbiamo bisogno di partire dal pensiero di Leonardo per capire come oggi lo si può attualizzare per trasformarlo in una risorsa di crescita.
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Tra passato e futuro: Leonardo è storia, ma è anche simbolo di futuro. Come intendete valorizzare o magari fare propria la sua visione capace di andare oltre i confini del qui e ora, oltre i confini delle prossime elezioni per andare ina una direzione da cui magari non sarete nemmeno direttamente …
… interessati! Vede, io sarò sindaco fino al 2024, quindi ho ancora due anni davanti. Però il mio obiettivo è quello di lasciare un progetto affinché chi siederà su questa poltrona dopo di me possa avere una strada sulla quale continuare il cammino. Perché oggi la sfida si fa su questo, sui progetti a lungo termine. Le città che non accettano queste sfide rischiano veramente di rimanere indietro. Io sono profondamente convinto che l’emergenza abbia cambiato le nostre vite in modo talmente forte, radicale, che – quando sarà rientrata – non ritorneremo più alla situazione pregressa. E questo è particolarmente vero anche per il flussi turistici. Io penso che negli anni successivi alla pandemia avremo logiche diverse rispetto a quelle che abbiamo conosciuto prima, cioè tutti quegli assembramenti con i tour operator, il mordi e fuggi, saranno superati. Il turista cercherà qualcosa di diverso, e sicuramente maggiore sicurezza.
E poi c’è la grande partita del PNRR, cioè delle risorse che arriveranno, e secondo me quelle risorse vanno impiegato e spese sulla base di un’idea, di un progetto.
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Questo è un altro tema importante per chiunque si occupi di amministrazione, di gestione delle risorse: capire – una volta ricevute – come investirle al meglio. Cosa serve, dal suo punto di vista, per riuscire a gestire le risorse in maniera davvero efficace e virtuosa?
La mia esperienza di sindaco mi insegna che purtroppo la pubblica amministrazione in Italia pecca di competitività. Tutto possiamo dire della pubblica amministrazione ma non che sia competitiva o produttiva. È legata a una burocrazia pressante che limita e vincola le professionalità che ci sono al suo interno e così facendo vincola anche la capacità degli amministratori di poter programmare, progettare e pianificare il futuro di una città. Io sono fortemente preoccupato anche per i tempi di utilizzo delle risorse del PNRR, perché con i vincoli, con le lentezze burocratiche, con la perenne situazione di sottodimensionamento degli enti a causa di scelte politiche sbagliate fatte negli anni pregressi, con un personale di età mediamente alta, sicuramente le sfide dell’innovazione non si vincono. Questa è una grande preoccupazione. Negli ultimi anni in seguito ai provvedimenti dei governi sul ricambio, al blocco del turn over e così via, la pubblica amministrazione ha diminuito notevolmente il numero dei propri dipendenti e ha elevato notevolmente l’età media, quindi abbiamo dipendenti che arrivano dall’era predigitale e che oggi forse con difficolta riescono ad accendere il computer. Ma questo non è un solo problema di Vinci, è un problema di tutti i comuni e di tutte le pubbliche amministrazioni d’Italia. Io penso che se non si allentano i vincoli e se non si entra nella logica che va innovata anche la pubblica amministrazione, non solo negli strumenti che utilizza, ma anche nel qualificare il personale, difficilmente riusciremo a vincere la sfida del PNRR. Mi misuro quotidianamente con questi problemi: anche per spendere pochi euro in un appalto pubblico noi impieghiamo mesi e mesi perché siamo vincolati a norme, regole, codici degli appalti, eccetera, che rendono incomprensibile per qualsiasi cittadino il perché ci si impieghi un mese per tappare una buca o per cambiare la lampada di un lampione.
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Cosa farebbe quindi per cambiare le cose?
Prima di tutto cercherei di semplificare, semplificare le procedure burocratiche, semplificare i livelli di decisione. Perché oggi per qualsiasi progetto noi abbiamo bisogno di tanti nullaosta da tanti enti diversi che richiedono mesi per essere messi insieme. A questo ci si aggiungono le indagini della gara di appalto e le carenze del personale degli enti, per cui alla fine per spendere un milione di euro in un’opera pubblica si impiegano due anni e non è assolutamente una cosa ragionevole, praticabile. In tutto ciò oggi in Italia sono i comuni quelli che più utilizzano le risorse pubbliche, che più appaltano risorse pubbliche rispetto a tutti gli altri enti. Quindi si figuri…
E anche quando i fondi arrivassero direttamente a noi, cosa che potrebbe avere una logica, l’altro passo assolutamente necessario è poter contare su personale, sufficiente come numero e qualificato. Lei pensi che c’è tutta una procedura completamente diversa rispetto a quella classica, perché bisogna utilizzare la CUC; Centrale Unica di Committenza, e poi ci sono le nuove procedure per la rendicontazione delle risorse che sono lunghissime. Quindi avremo bisogno di persone, perché poi oltre a spendere le risorse del PNRR, c’è da fare il quotidiano, cioè ogni mattina aprire le scuole, garantire la pubblica illuminazione, sistemare le strade, far funzionare i servizi sociali. Tutte cose altrettanto importanti che non possiamo mettere da parte, perché poi i cittadini ti giudicano su quello. La scuola la mattina deve essere aperta, deve essere funzionante, i marciapiedi devono essere efficienti, le strade devono essere punite, i rifiuti devono essere portati via. Insomma… con le persone che abbiamo, facciamo dei miracoli.
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Il tema delle competenze mi sembra starle molto a cuore, competenze che spesso sono legate all’età delle persone. Nella Giunta del Comune di Vinci ma anche nel consiglio comunale ci sono tante persone giovani.
Io penso che il consiglio comunale sia una buona palestra per i futuri amministratori. Per chi pensa di ricoprire ruoli istituzionali anche importanti, come quello di sindaco – perché il sindaco è forse tra i ruoli più importanti in Italia, perché gestisce servizi e risorse pubbliche – penso sia necessario un passaggio prima di approdare ai poteri cosiddetti esecutivi all’interno dei consigli comunali. Stare in consiglio vuol dire frequentare una palestra per capire come funziona la pubblica amministrazione. Penso sia necessario investire sulle nuove generazioni. Per questo nella maggioranza che ci sostiene ci sono tante persone tra i 30 e 40 anni. Iniziano a comprendere come funziona la pubblica amministrazione e possono benissimo subentrare a me nei prossimi anni, perché hanno un’idea precisa di come funziona. La politica è un’arte complicata e difficile e si apprende attraverso la pratica. Il consiglio comunale è una buona pratica.
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Come sono state scelte?
Per i motivi che dicevo prima, ho scelto e individuato per il ruolo di assessori delle persone che avevano già esperienza all’interno del consiglio comunale e che avevano avuto un risultato positivo alle elezioni. Non ho scelto assessori esterni al consiglio comunale, ma interni ed eletti dai cittadini. Questo è un passaggio chiave. Non solo hanno il mio consenso, ma hanno il consenso dei cittadini e quindi quando si rapportano a loro sanno che valore ha quel rapporto. La loro legittimità nasce dal consenso e non da una scelta del sindaco. Io penso che questo sia importante e a mio avviso tutte le amministrazioni dovrebbero adottare questo metodo.
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E come si fa a far sì che poi l’esperienza politica, che abbiamo visto essere fatta anche di ostacoli, di difficoltà operative pratiche, di lungaggini, non sia un fattore nel tempo demotivante? Come si fa a mantenere la voglia di fare le cose quando ci si confronta con situazioni del genere?
Io penso questo: per fare il sindaco o fare l’assessore, in qualsiasi Comune in Italia, in particolare nei comuni e nelle città medio piccole, serve passone. Se manca la passione per la politica, per il governo delle cose pubbliche, difficilmente può ricoprire questi incarichi. Perché sono incarichi di grandissima responsabilità e con riconoscimenti economici ridicoli. Io prima di fare il sindaco facevo il libero professionista e dal punto di vista economico, come anche gli altri assessori, stavo molto meglio rispetto a oggi. Il lavoro del sindaco è un lavoro a tempo pieno, che non ha pause, non ha momenti morti. Uno è sindaco dal lunedì alla domenica, non esiste il sabato, non esistono le ferie. Sei sempre sotto sotto pressione, in qualsiasi momento ti possono chiamare perché magari c’è un pericolo di alluvione, come è successo prima di questa intervista. E allori allerti la squadra della protezione civile e la notte si sta con il fiato sospeso in attesa di aggiornamenti che si sperano positivi. Io sono sempre a disposizione. Dalla mattina quando vado al bar a prendere il caffè, dove incontro i cittadini che hanno mille domande, alla sera in cui l’ultima riunione finisce a mezzanotte. E se non lo si fa per passione, uno difficilmente lo fa.
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Oltre alla passione, che altri tratti caratteriali sono importanti? Se dovesse scrivere una job description del sindaco o della sindaca ideale, cosa metterebbe?
In primis, la pazienza. Cercare di non perderla mai. Qualche volta l’ho persa anch’io, però raramente. E poi la capacità di ascolto, perché ogni cittadino che si rivolge al sindaco chiede una risposta e ha diritto a una risposta. Poi se la sua istanza è giusta o sbagliata, si vedrà. Però ha diritto a una risposta e io penso che questo sia fondamentale. La pubblica amministrazione, il sindaco, un assessore ha il dovere di dare delle risposte. Magari non tutte piaceranno, non si può dire sempre sì. Anzi un buon amministratore è quello che dice di no quando serve, e sa come dirlo. Quindi pazienza, capacità d’ascolto e una visione chiara del futuro.
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Viviamo un momento di contrapposizione sociale molto forte. Da una parte i pro vax, dall’altra i no vax e in mezzo una comunicazione che un po’ sparge benzina sul fuoco esasperando le posizioni dell’una e dell’altra parte. Lei che per definizione in quanto sindaco è chiamato ad essere imparziale, come sta affrontando questo momento?
Anche qui secondo me ci vuole equilibrio. Non è necessario a mio avviso fare le crociate contro chi la pensa in modo diverso. Io mi sono vaccinato, l’ho raccontato ai cittadini, li ho invitati ad andare a vaccinarsi, però tra coloro che ho incontrato, con cui ho parlato, che sono non favorevoli al vaccino, non ho mai trovato posizioni ideologiche. Molto spesso i media enfatizzano posizioni che sono minoritarie nel Paese. Ho incontrato piuttosto tante persone impaurite. Forse questa paura deriva da informazioni sbagliate, da fake news, da strumenti non adatti di informazione… E quindi secondo me in questi casi bisogna evitare di fare le crociate ideologiche, ma cercare di convincerli con argomenti scientifici, con numeri, rispettando le loro posizioni, anzi, partendo dal rispetto della loro paura. Forse qualcuno l’ho convinto, non tanti. Ma questo ha determinato all’interno del territorio l’assenza contrasto ideologico come per esempio a volte succede nelle grandi città, o come i media raccontano. Su questo grossi problemi non ci sono stati. A Vinci oltre il 90% della popolazione è vaccinata e ha fatto almeno una dose.
Anche i media molte volte sbagliano perché alimentano e fomentano una sorta di duello rusticano tra le parti, pro Vax e No Vax, mentre poi la realtà è sempre diversa, ha mille 1000 sfumature. 1000 forme diverse rispetto a quella che si racconta e si banalizza. Si parla di una minoranza a volte influenzata dalla cattiva informazione ma non da posizione ideologica.
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Un’ultima domanda. Ci sono dei sindaci nel panorama attuale italiano che sono per lei dei punti di riferimento?
Ci sono tanti buoni e bravi sindaci in Italia. E penso che fare il sindaco in una città del Centro Nord sia completamente diverso rispetto a fare il sindaco di una città delle regioni meridionali, in particolare mi riferisco alla Calabria, alla Sicilia e alla Campania. Perché le condizioni al contorno in quelle regioni sono molto più difficili, molto più complicate. Ci sono situazioni di estremo degrado, di marginalità economica e sociale intriso di criminalità organizzata che forse altrove sono più limitate. E quindi io ammiro i sindaci delle città meridionali, in particolare quelli bravi, e sono tanti, perché capisco che agiscono in condizioni molto più difficili rispetto a quelle in cui agisco io. Oltre a tutto il problema della burocrazia che si diceva prima, ci sono altre situazioni più estreme dove la criminalità organizzata è l’unico elemento economico forte che crea consensi e che condiziona anche la pubblica amministrazione. E quindi in quei casi bisogna avere forza e coraggio e schiena dritta perché non è facile.
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