Su questo tema si sono confrontati quest’anno i diversi ricercatori presenti alla conferenza “Dai trial alla pratica clinica, il valore dei dati real world in oncologia“, organizzata a Milano. L’uso dei dati del mondo reale (RWD, Real World Data) nella ricerca clinica, infatti, sta diventando sempre più comune e importante. I RWD rappresentano informazioni raccolte al di fuori degli studi clinici controllati in modo rigoroso, ma possono essere utilizzati come fonte di evidenza per la valutazione dell’efficacia e della sicurezza dei farmaci.
I RWD possono provenire da molte fonti diverse, tra cui registri sanitari, dati di monitoraggio degli apparecchi medici, registri di farmaci e persino dati provenienti da social network e sensori mobile. Questi dati sono spesso ricchi di informazioni sulle condizioni mediche, le terapie precedenti, i risultati dei test e altre variabili che possono essere utilizzate per aiutare a modellare l’effetto di un farmaco nel mondo reale.
L’uso dei RWD può offrire molti vantaggi rispetto agli studi clinici tradizionali. In primo luogo, i RWD possono fornire informazioni su una popolazione molto più ampia e diversificata rispetto agli studi clinici, dove i partecipanti sono spesso selezionati con cura in base a criteri specifici. Ciò significa che i RWD possono fornire una migliore comprensione di come funziona un farmaco in un ambiente clinico reale e, in questo senso, si parla di real world evidence (RWE).
Inoltre, l’uso dei RWD può ridurre i costi e il tempo necessario per la ricerca clinica, poiché i dati sono già disponibili e non richiedono la raccolta di nuovi dati attraverso uno studio clinico. Ciò significa che i RWD possono essere utilizzati per accelerare il processo di sviluppo del farmaco e ridurre i costi associati. Tuttavia, ci sono anche alcune sfide associate all’uso dei RWD nella ricerca clinica. In primo luogo, i dati del mondo reale non sono sempre raccolti in modo sistematico e standardizzato, il che può rendere difficile la creazione di dataset completi e affidabili. Inoltre, i dati del mondo reale possono essere influenzati da fattori esterni, come le differenze regionali nei protocolli di trattamento o l’accesso ai servizi sanitari, il che può complicare l’interpretazione dei risultati.
E in effetti in Italia i real world data sono ancora poco utilizzati e poco sfruttati per quanto la comunità scientifica, le aziende farmaceutiche e gli organismi di governo del sistema sanitario guardino con attenzione al tema. Di fatto si tratta della possibilità di controllare quanto avviene con la pratica clinica di determinati trattamenti su vasta scala e in situazioni reali, laddove gli studi clinici sperimentali controllati randomizzati (RCTs) che valutano efficacia e sicurezza dei farmaci, in una prima fase, sono stati realizzati su popolazioni di pazienti selezionati e in presenza di condizioni ben precise.
La conferenza “Dai trial alla pratica clinica, il valore dei dati real world in oncologia” è stata l’occasione per presentare i risultati recenti di una ricerca Pfizer ma anche quella di confrontare le posizioni degli addetti ai lavori sull’utilizzo dei real world data in oncologia; tra questi sono intervenuti: Giuseppe Curigliano, ordinario di Oncologia medica all’Università di Milano e direttore della divisione di sviluppo nuovi farmaci per terapie innovative dell’istituto europeo di Oncologia di Milano, Alessandra Gennari, ordinario di Oncologia all’Università del Piemonte orientale e direttore della struttura universitaria di Oncologia medica dell’ospedale Maggiore di Novara, Angela Toss, ricercatrice presso l’unità di Genetica oncologica dell’Università di Modena e Barbara Capaccetti, Country medical director e vice presidente di Pfizer in Italia.
La funzione principale dei real world data è confermare i risultati di “efficacy”, ottenuti dai trial clinici controllati randomizzati, attraverso i risultati di “effectiveness”, ossia l’efficacia del farmaco nella vita reale.
In una nota a margine della confernza raccolta da Dire la professoressa Gennari ha sottolineato come il migliore risultato viene dall’uso combinato delle due metodologie: “i real world data possono essere usati per completare le evidenze scientifiche che si ottengono con gli studi controllati randomizzati. Nei real world data le caratteristiche dei pazienti possono essere lievemente diverse rispetto a quelle dei pazienti coinvolti negli
studi clinici randomizzati e questo può essere motivo di una lieve differente efficacia dei farmaci nella pratica clinica.
I dati real world rispecchiano di più la pratica clinica ma non sono sufficienti a far approvare un farmaco, perché è sempre necessario uno studio con un braccio di controllo con la terapia standard”. Il caso presentato in occasione della conferenza riguarda lo studio P-Reality-X, realizzato da Pfizer, che aiuta a comprendere l’efficacia della terapia combinata di prima linea palbociclib con un inibitore dell’aromatasi in un setting del ‘mondo reale’, fondamentale per migliorare la cura del carcinoma mammario metastatico.
Sul tema Giuseppe Curigliano ha sottolineato come: “È sempre più importante integrare le evidenze degli studi clinici randomizzati con quelle real world perché i pazienti arruolati negli studi prospettici randomizzati (RCT) sono selezionati sulla base di criteri estremamente selettivi e spesso non sono confrontabili con i pazienti che visitiamo nei nostri ambulatori.
Gli studi real world complementano gli studi prospettici randomizzati andando a valutare l’efficacia in un setting di vita reale. Lo studio P-Reality-X è uno studio real world che ha valutato l’effectiveness di palbociclib in un setting di popolazione nella vita reale, che ha dimostrato un vantaggio di sopravvivenza e di progression free survival (PFS) nella coorte di pazienti che hanno ricevuto palbociclib con un inibitore dell’aromatasi, con un prolungamento della sopravvivenza da 43 mesi a 57 mesi”.
La disponibilità sempre maggiore di grandi database di dati clinici e amministrativi rappresenta, quindi, una grande opportunità. Tuttavia, le informazioni derivanti da questo tipo di ricerca vanno accuratamente interpretate e contestualizzate con la ricerca sperimentale, verificandone la metodologia. Gli studi di RWE (real world evidence) sono quindi considerati oggi complementari, e non sostitutivi, degli studi clinici randomizzati, confermando in un setting di pazienti non selezionati l’efficacia di un nuovo trattamento. Inoltre, sono dati preziosi per approfondire soprattutto il profilo di sicurezza di un farmaco, permettendo, quindi, di colmare importanti lacune nel panorama scientifico. Ma perché i risultati siano affidabili, la RWE deve essere condotta con rigore scientifico e con un accurato controllo della qualità dei dati raccolti.
Al riguardo Angela Toss ha ricordato che: “I pazienti arruolati negli RCT sono popolazioni selezionate e idonee a partecipare ai trial. Invece, i dati real world rappresentano realmente la popolazione di persone che l’oncologo vede in ambulatorio e sono dati che lo confortano perché rispecchiano più fedelmente la realtà della pratica clinica. Osservando quello che accade nella pratica clinica posso rendermi conto di qual è il reale profilo di tollerabilità di un farmaco e osservare anche la comparsa e la gestione di eventi avversi che sono più rari nei trial clinici randomizzati. L’oncologo spiega che la scelta di un determinato farmaco è avvenuta sulla base di studi che suggeriscono che quel farmaco è la scelta migliore per quel tipo di tumore e di paziente. Credo però che sia utile e necessario dire ai nostri pazienti che la scelta si basa su dati solidi legati a studi clinici ma anche che, per alcuni farmaci, la scelta si basa sul fatto che il farmaco è già da diversi anni utilizzato nella pratica clinica e che i dati raccolti su come questo farmaco si è comportato negli anni successivi alla sua approvazione confermano i risultati dei trial clinici”.
Negli ultimi anni la Real World Evidence è sempre più utilizzata dai diversi stakeholders: dalle aziende farmaceutiche per la ricerca e lo sviluppo, dalla comunità medica per l’analisi della pratica clinica, dalle agenzie regolatorie per monitorare la sicurezza post-marketing. La RWE è, quindi, un’opportunità per valorizzare il farmaco durante tutto il suo ciclo di vita, anche perché i farmaci necessitano di un piano di generazione delle evidenze sempre più articolato rispetto al passato.
Su questa linea si muove, per esempio, Pfizer come spiega Barbara Capaccetti: “La nostra visione è quella di integrare le RWE su tutto il ciclo di vita dei nostri farmaci, con l’obiettivo generale di accelerare in modo mirato il loro sviluppo e, in ultima analisi, aiutarci a garantire che il farmaco giusto arrivi al paziente giusto al momento giusto. La real world evidence può migliorare l’organizzazione, l’accesso e l’utilizzo dei dati di ricerca, consentendo di accelerare il processo di generazione delle evidenze per ciò che ancora non conosciamo ed integrare dati non completi o mancanti negli studi clinici. A questo punto, sono diversi gli obiettivi da raggiungere: produrre evidenze sempre più solide e affidabili riguardo specifiche sottopopolazioni; fornire ai decisori strumenti operativi di monitoraggio; generare, nei ricercatori, nuovi importanti quesiti di ricerca per ulteriore attività scientifica”.
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