Addio monti sorgenti dall’acque dice Lucia nei Promessi sposi. Ma ora su quei monti ci si vuole restare e a volte tornarci. Nel 2018 la regione Lombardia si è data per la prima volta un assessorato alla Montagna e ha accelerato le politiche di valorizzazione del territorio montano iniziate un decennio fa. Perché questa scelta? Da una parte perché oltre il 40% del territorio regionale è in montagna – anche se pochi se lo ricordano – e dall’altra perché oggi i monti non sono più un luogo da cui fuggire, anzi. Nel nuovo modo di pensare, che piace anche ai più giovani, i monti sono un patrimonio di tutti e reclamano alle città di pianura le attenzioni che meritano.
Il neo assessore regionale alle montagne della Lombardia si chiama Massimo Sertori, ha 51 anni, è della Lega Nord di Matteo Salvini e arriva dalla Valtellina, dove è stato presidente della provincia di Sondrio e vicesindaco del comune di Ponte in Valtellina. Nel mandato affidatogli nel 2018 dal presidente regionale Attilio Fontana ci sono anche le deleghe agli enti locali, ai piccoli comuni, alle risorse energetiche e ai rapporti con la Svizzera. Ai piani più alti del grattacielo di Palazzo Lombardia si trova bene – dice – perché gli sembra di essere in montagna. Tra Sondrio, Bergamo, Brescia, Como, Varese e Pavia il lavoro non gli manca, e i piccoli comuni in regione sono davvero tanti.
Poi c’è il tema dell’energia idroelettrica, con la Lombardia che ne produce tanta grazie a una delle risorse primarie della montagna: l’acqua. Un punto importante quest’ultimo perché la produzione e la distribuzione dell’energia elettrica sono state rivoluzionate dalla tecnologia e oggi sono al centro di una nuova proposta di compensazione territoriale tra pianura e la montagna. Ecco cosa ci ha risposto quando lo abbiamo intervistato.
Assessorato agli enti locali, montagna e piccoli Comuni: perché?
Perché in Lombardia la montagna è oltre il 40% del territorio e il 52% della popolazione vive in paesi con meno di 3.000 abitanti, buona parte dei quali è ubicata in territorio montano. Montagna e piccoli comuni sono quindi due caratteristiche della nostra regione e meritano un’attenzione particolare.
Tanti comuni piccoli non sono un problema?
O una risorsa… dipende. Rispondo così perché su questo argomento ho una posizione che definisco laica. Il tema delle fusioni tra comuni è certamente attuale, ma ogni situazione ha una specificità che non deve essere trascurata. In montagna ci sono comuni della stessa vallata dove mettere a fattor comune strategie e servizi potrebbe risultare positivo; in altri casi invece avrebbe poco senso e porterebbe a rischio equilibri identitari faticosamente conquistati. Le motivazioni sono storiche: nelle zone alpine, dove le condizioni di vita sono più difficili, l’aiuto tra persone e vicini di casa è stato da sempre importante per la sopravvivenza, e questo ha originato un senso di comunità che si è sviluppato anche attraverso la nascita di tante piccole e distinte municipalità.
I municipi, appunto: più sono e più costano…
Su questo sarei prudente perché non sempre corrisponde al vero e ci sono anche altre considerazioni da fare. Dove c’è un piccolo comune ci sono spesso un sindaco e degli assessori che prestano la loro opera da volontari, e ne conosco diversi che la domenica mattina puliscono le strade o riparano le cunette. Questo succede perché il piccolo comune agevola un coinvolgimento maggiore nell’ambito della comunità rispetto al grosso centro, e questo patrimonio sociale è un valore per l’intera nazione. Ciò non toglie, e qui torno alla mia posizione di equidistanza, che certamente ci sono situazioni in cui è bene fare delle fusioni tra comuni, ma solo dopo una consultazione che coinvolga la cittadinanza. Per questo scopo esiste il referendum consultivo, che sebbene sia solo una consultazione, permette ai cittadini di far conoscere la loro opinione.
C’è già stato un assessore alla montagna in Lombardia?
No questa è la prima volta, ma è anche il risultato di un’evoluzione che parte da lontano. Se penso alle ultime tre amministrazioni, compresa quella attuale, la Lombardia ha avuto dapprima un delegato alla montagna, poi un sottosegretario alla montagna – l’amico Ugo Parolo – e adesso con il sottoscritto ha un assessore alla montagna. Parliamo dunque del risultato di un percorso mirato a dare sempre più strumenti e più forza alla gestione del territorio alpino. Cosa peraltro naturale visto che in Lombardia 10.208 chilometri quadrati su 23.864 sono di fatto un territorio montano.
C’è il rischio che i lombardi si dimentichino delle loro montagne?
L’agricoltura nella nostra regione ha una delle massime espressioni a livello nazionale sia in termini di valore che di volumi, ma quanti pensano alla Lombardia come a una regione agricola? Con la montagna succede la stessa cosa: mettiamo in secondo piano quello che in realtà è un valore assoluto per tutti i cittadini. Basti pensare al contesto turistico del territorio alpino e al relativo fatturato, alle località sciistiche tra le più belle del mondo, ai campionati mondiali di sport invernali ospitati a Bormio, alle winter deaflympics che si svolgeranno a dicembre 2019 in Valtellina e Valchiavenna. Senza dimenticare la produzione agricola, casearia e zootecnica che origina in montagna.
Ciò premesso, anche se il compito di preservare gli straordinari paesaggi alpini spetta in primo luogo ai cittadini che vi abitano, stiamo parlando di un patrimonio di inestimabile valore che appartiene a tutti e che tutti hanno il preciso dovere di difendere. È dunque importante che le istituzioni diano corso e concretezza alle politiche per la montagna.
Qual è lo stato di salute del patrimonio montano?
Sicuramente buono, ma parliamoci chiaro: il patrimonio della montagna è il paesaggio e bisogna fare in modo che non venga intaccato dalle, pur necessarie, politiche di sviluppo. Dico questo perché in passato questo equilibrio non è sempre stato rispettato. Ci sono zone che in qualche modo sono state saccheggiate e questo non va bene. Gli sviluppi turistici degli anni ‘70 mirati alle seconde case e a un certo tipo di insediamenti alberghieri sono stati poco rispettosi dell’ambiente e questo ha lasciato delle ferite evidenti. Per fortuna però la sensibilità verso la montagna è molto cresciuta negli ultimi anni e oggi viviamo un contesto culturale diverso e positivo. In montagna si possono e si devono svolgere attività, ma in modo compatibile con l’ambiente.
il patrimonio della montagna è il paesaggio e bisogna fare in modo che non venga intaccato dalle, pur necessarie, politiche di sviluppo
Parliamo di turismo, quali sono a suo avviso i nuovi trend?
Il primo è sicuramente quello di Airbnb e simili, che mettendo il contatto diretto chi affitta con chi cerca un alloggio per periodi brevi sta facendo rivivere le seconde case. Con il vantaggio di dare più spazio a una clientela sensibile verso l’ambiente e di coinvolgere la popolazione residente. Chi offre un alloggio non si limita alla mera offerta economica ma tende a contornarla di servizi e informazioni che innescano un circuito virtuoso tra il turista e il residente.
Un altro aspetto importante è la crescita del turismo estivo, una sorta di destagionalizzazione della vacanza in montagna rispetto alla classica settimana bianca. La spinta in questo senso arriva soprattutto dal settore enogastromico ma non solo; penso per esempio alle mountain bike, a maggior ragione da quando le e-bike e la pedalata assistita hanno enormemente allargato la platea degli utilizzatori e l’offerta anche a noleggio di questo mezzo.
Internet e le tecnologie aiutano…
Oggi il turista 2.0 che va in vacanza in montagna non cerca soltanto la località alla moda, ma anche servizi e attività particolari. E lo fa con Internet, attraverso portali e siti, il che pone in primo piano il tema della connettività e della banda.
Il caso di Livigno in Valtellina è emblematico: ogni anno la Valtellina registra circa tre milioni di presenze turistiche, metà delle quali concentrate in questa zona franca al confine con la Svizzera. Qual è il motivo di tanto successo? Certamente il pieno di benzina e alcuni prodotti detassati continuano a essere un richiamo, ma non è più fare la spesa che porta i a Livigno turisti da tutta Europa. La differenza la fanno l’offerta di servizi, le sttrutture all’avanguardia e un marketing intelligente basato su un utilizzo intelligente del web. Lo si capisce vedendo che su Google la parola Livigno è più cliccata delle parole Valtellina e Bresaola, il che è tutto dire.
A che punto siamo con l’innovazione tecnologica?
È indubbio che la montagna, alla stregua di tutti gli altri ambiti geografici, abbia una forte esigenza di beneficiare di una costante innovazione tecnologica e per alcuni aspetti ha esigenze anche superiori agli altri ambiti. Molto lavoro è stato fatto, per esempio per soddisfare la necessità di connettività in tutte le sue declinazioni – copertura telefonica, connessione a banda larga e ultra larga – che servono per garantire sicurezza e anche contrasto all’isolamento e alle difficoltà logistiche. Pensiamo alle attività di monitoraggio ambientale e al controllo dei rischi naturali che utilizzano sempre più tecnologie innovative. Altri interventi hanno riguardato la qualità della vita dei residenti e indirettamente l problematica dello spopolamento: come servizi per la telemedicina, la formazione a distanza e telelavoro in smart working per chi vuole desidera lavorare in un ambiente diverso dalla città. Tornando al turismo montano 2.0, sono importanti le sperimentazioni portate avanti da soggetti virtuosi come il Parco Nazionale dello Stelvio che da tempo si è impegnato nell’utilizzo di nuove tecnologie per rendere più attrattivo e accessibile il territorio. Non da ultimo, va sottolineato il lavoro che Regione ha fatto in questi 8 anni per evitare il digital divide portando la connessione a banda larga in oltre 100 strutture tra rifugi e alpeggi.
Turisti e residenti: quale convivenza?
Una convivenza possibile e necessaria. Il turismo è importante per far vivere la montagna e i residenti hanno interesse che il settore cresca. Però chi abita in montagna non è detto che riesca a vivere con i proventi del turismo, soprattutto in considerazione dell’elevato numero di residenti e della vastità del territorio montano. Dunque servono anche altri servizi come in tutti gli altri ambiti regionali; con la differenza che in montagna i servizi costano di più. Il digital divide è dietro l’angolo se non si interviene con politiche mirate.
Che cosa sono le Comunità montane e a che cosa servono?
I 513 comuni montani della Lombardia sono ripartiti in 23 Comunità montane: enti di secondo livello che in alcuni casi gestiscono servizi associati e in altri solo servizi di base. Chi mi conosce sa che non sono un sostenitore degli enti di secondo livello perché credo che i rappresentanti delle istituzioni debbano essere eletti direttamente dai cittadini, cosa che non avviene per le Comunità montane. Tuttavia riconosco che in Lombardia le Comunità montane sono le uniche entità che permettono di definire i confini della montagna e ciò ne giustifica l’esistenza. Mi spiego: se è vero come è vero che occorrono politiche specifiche per la montagna, devo anche essere nelle condizioni di distinguere ciò che è montagna da ciò che non lo è. Nel caso della Valtellina il problema non sussiste perché parliamo di un territorio interamente di montagna, ma nelle altre province come si stabilisce il confine? Ecco perché ho chiesto alle attuali comunità, atteso che in alcune di esse c’è davvero pochino di montano, uno sforzo insieme per ridefinire il perimetro nella sommatoria dei comuni effettivamente montani. Parliamo di un confine politico-istituzionale-amministrativo importantissimo per l’applicazione delle leggi che la Regione farà per aiutare i comuni montani.
Un altro tema riguarda il numero di questi enti, che certamente potrebbe diminuire. Qui penso al paradosso della mia Valtellina, dove la riforma dell’ex ministro Del Rio ci ha lasciato ben cinque comunità montane: se tornassimo a una provincia con un presidente eletto potremmo ridurre il numero degli enti di secondo livello e rendere tutto più snello.
le montagne producono acqua che scende a valle e con quest’acqua si produce energia idroelettrica, la più antica delle energie pulite rinnovabili
Quali strategie per lo sviluppo delle aree montane?
Oggi siamo tutti d’accordo che i territori montani vanno mantenuti e valorizzati, ma negli anni ’70 e ’80 non era così automatico. Il pensiero dominante era un altro: se in montagna costa tutto di più, andiamo a lavorare in città e ai monti tanti saluti. Da questa situazione ci siamo evoluti e siamo passati alla convinzione, tutt’altro che scontata, di una montagna patrimonio collettivo.
Ora serve un ulteriore passo, che è quello di fare in modo che le risorse della montagna rimangano prima di tutto in montagna. Traduco in questo modo: se i monti dispongono di una risorsa importante come l’acqua e la produzione idroelettrica, non ha senso che i proventi scappino a valle in attesa che dalla pianura si provveda a perequare. Facciamo piuttosto in modo che le risorse prodotte a monte rimangano in primis sul territorio di produzione, il che porta valore in montagna e abbassa la necessità di perequazione. Quando parlo di questo argomento mi vengono in mente le parole dell’amico sindaco di Poschiavo, in Svizzera: in montagna abbiamo tre cose oltre al paesaggio, l’acqua, il legno e i sassi.
Cominciamo dal legno allora…
Altra risorsa preziosissima è il legno. In Valtellina ci sono boschi e segherie che quotano il 12-15% per cento della produzione nazionale di legname. Però, udite udite, il 90% della domanda interna è soddisfatto dal legname importato dalla vicina Svizzera. Evidentemente abbiamo qualche problema, dal punto di vista legislativo e anche culturale Gli svizzeri e gli austriaci hanno capito meglio di noi che il bosco coltivato in modo sostenibile è una fabbrica inesauribile, e hanno fatto della filiera bosco-legno un punto di forza della loro economia. Su questo basterebbe copiare e avremmo già fatto un passo avanti.
E l’agricoltura?
Certo, poi ci sono le attività di agricoltura, allevamento e produzione casearia, che in buona parte gravitano attorno agli alpeggi e dipendono da quanto si riesce a valorizzare il prodotto di montagna, anche e soprattutto consumato sul posto. Certi meccanismi di assegnazione degli alpeggi, spesso legati a finanziamenti europei, hanno dimostrato di funzionare male e si sono tradotti in uno svuotamento delle baite dalle attività di produzione primaria. E quando in un alpeggio vengono meno le braccia che lo lavorano si perdono anche la coltivazione del bosco e la cura del suolo… è come un sasso che inizia a rotolare. Occorre rendersi conto che in montagna i terrazzamenti coltivati con la vite da vino e i meleti sono parte integrante del paesaggio e prendersene cura in modo sostenibile equivale a prendersi cura di un territorio che appartiene a tutti.
Acqua e di risorse energetiche
Le montagne producono acqua che scende a valle e con quest’acqua si produce energia idroelettrica, la più antica delle energie pulite rinnovabili. A suo tempo ci fu una sorta di contratto non scritto tra le società che costruirono le dighe in montagna e le popolazioni che quelle dighe le ospitarono sul proprio territorio: forza motrice per produrre energia in cambio di posti di lavoro. Di questo accordo hanno beneficiato negli anni migliaia di famiglie e si è riusciti a distribuire equamente ricchezza su tutto il territorio regionale. Poi però c’è stata una normale evoluzione delle cose che, soprattutto per via delle innovazioni tecnologiche, ha ridotto drasticamente la domanda di forza lavoro. Nel frattempo buona parte delle concessioni inerenti le dighe è arrivata a scadenza e siamo ora nella necessita di ritrovare un accordo. Che si tratti di tratti di un contratto scritto o non scritto, in molti pensiamo che la merce di scambio non può più essere la forza lavoro come è stato in passato, ma che serve trovare una nuova forma di compensazione territoriale.
Compensazione territoriale, per esempio?
Personalmente non credo che la compensazione territoriale possa consistere in sconti sulla bolletta elettrica agli abitanti della montagna. In questo modo infatti riapriremmo la strada al saccheggio del territorio con le seconde case, le produzioni energivore troverebbero interesse a trasferire in montagna le produzioni pesanti e il territorio ne risentirebbe in modo a mio avviso disastroso. Quella che ho in mente è piuttosto a una compensazione mirata su alcune cose, che può essere contemporaneamente di tipo economico, ambientale e strategico. Penso per esempio agli impianti di risalita, che sono molto energivori, non possono essere delocalizzati e necessitano di grandi investimenti per essere realizzati e poi manutenuti. Rimodulare il contratto con le società che gestiscono le dighe tenendo conto di questi aspetti sarebbe un modo per compensare il prelevo di risorse che avviene in montagna con una nuova distribuzione di ricchezza che coinvolge in primo luogo gli abitanti della montagna. Mi fa piacere che questa mia posizione sia condivisa anche dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti, che conosce molto bene l’argomento. Attualmente la questione è regolata da una legge del 1993 e da norme che prevedono sia lo stato centrale a dare le linee guida e a indirizzare le regioni sulla base di gare di gare d’appalto. In Lombardia abbiamo un’idea diversa e pensiamo che il punto sia la compensazione territoriale, non chi offre di più.
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