Siamo tra acqua e fuoco e non è un gioco di parole o il profilo di un oroscopo bensì è ciò che il nostro territorio sta vivendo in questi ultimi mesi e non è un fatto sporadico, ma una drammatica ricorrenza che si presenta negli anni.
A fine luglio, a Como, tutti i torrenti che scendono dalle montagne sopra il lago si sono ingrossati e sono esondati, hanno invaso le strade e provocato danni in tutti i centri abitati: auto trascinate a valle, cascate di acqua e fango, alberi e frane che hanno interrotto le strade di collegamento.
Sono caduti 300 mm di pioggia in tre giorni, 100 mm al giorno pari circa alla media mensile di tutto il mese di luglio, praticamente in tre giorni è caduta la pioggia attesa in tre mesi. (1)
Da Nord a Sud, a fine 2020 sono almeno quindici località state colpite da eventi catastrofici che hanno interessato, le Terme Vigliatore (8 agosto), Messina (8 agosto), Verona (24 agosto), Catania (14 settembre), Roma (23 settembre), Avellino (27 settembre), Limone Piemonte (2 ottobre), Garessio e Ceva (2 ottobre), ma anche Picinisco (15 ottobre), Crotone (21 novembre), Cirò Marina (22 novembre) e Bitti in Sardegna (29 novembre).
E ancora, negli ultimi 50 anni (1970-2019) frane e inondazioni hanno causato 1.670 morti, 60 dispersi, 1.935 feriti e più di 320 mila evacuati e senzatetto, come riporta l’analisi condotta da Greenpeace. Eventi, quindi, non inediti che riescono sempre a coglierci di sorpresa, come se ogni volta fosse la prima. La prova è nelle cifre investite in prevenzione: a fronte di una stima del danno per alluvioni e frane di circa 20,3 miliardi, l’Italia ha investito solo 2,4 miliardi per il risarcimento delle regioni colpite da questi eventi estremi, e altrettanti sono stati stanziati per la prevenzione. In particolare, dal 2013 al 2019 i fondi spesi in prevenzione sono stati 2,1 miliardi, un decimo dei danni fatti dagli stessi fenomeni estremi in Italia nello stesso arco di tempo. (2)
Ci si chiede ogni volta quale sia la causa di situazioni così disastrose e sembra che la risposta sia da ricercare in tre ordini di ragioni: territoriali, climatiche ed economiche.
Dal punto di vista territoriale, l’Italia, con il suo suolo prevalentemente montano-collinare, è un Paese morfologicamente fragile e predisposto a frane e alluvioni. Alla sfavorevole conformazione fisica si aggiungono, poi, gli effetti dei cambiamenti climatici, che provocano un incremento degli eventi meteorologici estremi, più difficili da prevedere e con effetti altamente distruttivi, come piene improvvise o cadute di fango e detriti provocando seri danni. Danni che ormai hanno superato i 14 miliardi di euro in un decennio, tra cali della produzione agricola nazionale e danni alle strutture e alle infrastrutture nelle campagne con allagamenti, frane e smottamenti, così segnala Coldiretti.
Inoltre, a partire dal secondo dopo guerra abbiamo costruito dove non si sarebbe dovuto, portandoci a una media di consumo di suolo ben più alta di quella europea. (3)
Negli ultimi 70 anni, il forte incremento delle aree urbanizzate, spesso non accompagnato da una corretta pianificazione territoriale, ha portato al drastico aumento dei siti esposti a frane e alluvioni. Parallelamente, l’abbandono delle aree rurali montane e collinari ha determinato l’assenza di un importante presidio del territorio. Dagli anni ‘50 a oggi, l’Italia ha incrementato il consumo del suolo dal 2,7% a oltre il 7%: nel periodo 1951-2011 è quasi triplicata la costruzione di abitazioni (passate da 11milioni e mezzo a più di 31milioni) nonostante la popolazione sia aumentata con un ritmo decisamente meno serrato (da 47milioni a 59milioni).
È dunque chiaro che il problema, molto italiano, del dissesto idrogeologico non dipende solamente dalla struttura della nostra Penisola, né dal cambiamento climatico: una parte di responsabilità è nostra. (4)
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Il tema del dissesto idrogeologico è particolarmente rilevante in Italia poiché interessa gran parte della penisola e causa impatti sulla popolazione, sulle infrastrutture lineari di comunicazione e sul tessuto economico e produttivo.
Il territorio nazionale per le sue caratteristiche morfologiche, litologiche e idrografiche è naturalmente predisposto a fenomeni franosi e alluvionali. Sul verificarsi dei primi influiscono la conformazione morfologica, con il 75% del territorio classificato montano-collinare (modello orografico semplificato d’Italia; Trigila & Iadanza, 2008), e la litologia, con il diffuso affioramento di formazioni argillose con scadenti caratteristiche meccaniche. Per quanto riguarda le alluvioni, il territorio nazionale è caratterizzato sia da bacini idrografici di notevoli dimensioni (Po, Adige, Tevere, Arno), sia da bacini di ridotte dimensioni con tempi di risposta estremamente rapidi tra l’inizio delle precipitazioni e il manifestarsi della piena (es. bacini lungo la costa ligure, calabra e siciliana).
L’Italia, inoltre, è un paese fortemente antropizzato con quasi 8000 comuni, 59.459 nuclei urbani, una rete autostradale di 6487 km, una ferroviaria di circa 16.000 km, una rete stradale principale di circa 360.000 km e una densità di popolazione di circa 200 abitanti/km. Il forte incremento delle aree urbanizzate, verificatosi a partire dal secondo dopoguerra, spesso in assenza di una corretta pianificazione territoriale e con tassi di abusivismo particolarmente elevati nelle regioni dell’Italia meridionale (Properzi et alii, 2006), ha portato ad un considerevole aumento degli elementi esposti a frane e alluvioni e, quindi, del rischio. Solo dopo l’evento catastrofico di Sarno del 5 maggio 1998, con l’emanazione del Decreto Legge n. 180 dell’11 giugno 1998, convertito nella L. 267/1998, è stata impressa un’accelerazione all’individuazione, perimetrazione e classificazione delle aree a pericolosità e rischio idrogeologico per frane e alluvioni. Complessivamente, come già anticipato, le superfici artificiali sono passate dal 2,7% negli anni ‘50 al 7,1% del 2019 ee l’abbandono delle aree rurali montane e collinari ha determinato, inoltre, un mancato presidio e manutenzione del territorio e dei manufatti antropici, come ad esempio i terrazzamenti agricoli (Bazzoffi et alii, 2013). A ciò si aggiungono gli effetti dei cambiamenti climatici con un aumento della frequenza degli eventi meteorologici estremi, poco prevedibili, e conseguentemente di fenomeni altamente pericolosi e potenzialmente distruttivi, quali piene improvvise o colate rapide di fango e detrito. In sinntesi oltre il 16% del territorio nazionale è classificato a maggiore pericolosità e il 91% dei comuni italiani è a rischio per frane e/o alluvioni.
Dai dati pubblicati nel Rapporto 2018 su Dissesto idrogeologico in Italia: pericolosità e indicatori di rischio emerge che:
• la popolazione a rischio frane in Italia residente nelle aree a pericolosità elevata e molto elevata ammonta a 1.281.970 abitanti, pari al 2,2% del totale;
• la popolazione a rischio alluvioni è pari a 6.183.364 abitanti (10,4%) nello scenario di pericolosità media con tempo di ritorno fra 100 e 200 anni;
• le famiglie a rischio frane e alluvioni sono rispettivamente 538.034 e 2.648.499;
• gli edifici a rischio frane sono 550.723 (3,8%) e quelli a rischio alluvioni 1.351.578 (9,3%);
• le industrie e i servizi ubicati in aree a pericolosità da frana elevata e molto elevata sono quasi 83.000 con 217.608 addetti a rischio, mentre sono 596.254 quelle esposte al pericolo di inondazione nello scenario medio (12,4% del totale) con 2.306.229 addetti a rischio.
Il rischio idrogeologico non risparmia neppure il nostro patrimonio culturale, purtroppo dalle ultime elaborazioni effettuate da ISPRA nel 2019 emerge che i beni culturali a rischio frane sono 36.738 di cui 11.833 sono ubicati in aree a pericolosità elevata e molto elevata; quelli a rischio alluvioni sono 39.472 nello scenario di pericolosità idraulica bassa P1, di cui 30.825 nello scenario di pericolosità idraulica media P2 (Annuario dei Dati Ambientali ed. 2019, ISPRA). (5) Insomma, dati poco rincuoranti, che assumono maggior grado di severità se consideriamo che la situazione negli ultimi anni è andata peggiorando, seppur sia aumentato il grado di consapevolezza e disastri.
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Grazie alle analisi condotte negli anni abbiamo appreso che il consumo del suolo è una delle princiali cause del rischio idrogeologico, ed è l’unica che possiamo arginare e ridurre.
L’aumento del consumo di suolo non va di pari passo con la crescita demografica e in Italia cresce più il cemento che la popolazione: nel 2019 nascono 420 mila bambini e il suolo ormai sigillato avanza di altri 57 km2 (57 milioni di metri quadrati) al ritmo, confermato, di 2 metri quadrati al secondo. È come se ogni nuovo nato italiano portasse nella culla ben 135 mq di cemento.
Lo spreco di suolo continua ad avanzare nelle aree a rischio idrogeologico e sismico e tra, le città italiane, la Sicilia è la regione con la crescita percentuale più alta nelle aree a pericolosità idraulica media. I cambiamenti rilevati nell’ultimo anno si concentrano in alcune aree del Paese, rimanendo particolarmente elevati in Lombardia, in Veneto (anche se, in questa regione, con una tendenza al rallentamento) e nelle pianure del Nord. Il fenomeno rimane molto intenso lungo le coste siciliane e della Puglia meridionale e nelle aree metropolitane di Roma, Milano, Napoli, Bari, Bologna. Gradi elevati di trasformazione permangono lungo quasi tutta la costa adriatica. La maggior densità dei cambiamenti è stata registrata quest’anno lungo la fascia costiera entro un chilometro dal mare, nelle aree di pianura, nelle città e nelle zone urbane e periurbane dei principali poli e dei comuni di cintura, in particolare dove i valori immobiliari sono più elevati e a scapito, principalmente, di suoli precedentemente agricoli e a vegetazione erbacea, anche in ambito urbano.
I valori percentuali più elevati del suolo consumato sono in Lombardia (12,08%), Veneto (11,87%) e Campania (10,39%). Non mancano però segnali positivi: la Valle d’Aosta, con solo 3 ettari di territorio impermeabilizzato nell’ultimo anno, è la prima regione italiana vicina all’obiettivo “Consumo di suolo 0” e si dimezza la quantità di suolo perso in un anno all’interno delle aree protette.
Il consumo di suolo è più intenso nelle aree già molto compromesse. Nelle città a più alta densità, dove gli spazi aperti residui sono limitatissimi, si sono persi 28 metri quadrati per ogni ettaro di aree a verde nell’ultimo anno. Tale incremento contribuisce a far diventare sempre più calde le nostre città, con il fenomeno delle isole di calore e la differenza di temperatura estiva tra aree a copertura artificiale densa o diffusa che, rispetto a quelle rurali raggiunge spesso valori superiori a 2°C nelle città più grandi.
Un impatto evidente delle trasformazioni del paesaggio è dato dalla frammentazione del territorio, ovvero il processo che genera una progressiva riduzione della superficie degli ambienti naturali e semi-naturali e un aumento del loro isolamento. Quasi il 45% del territorio nazionale risulta nel 2020 classificato in zone a elevata o molto elevata frammentazione.
La valutazione dei principali servizi ecosistemici forniti dal suolo e persi a causa delle nuove coperture artificiali viene effettuata per la produzione agricola, la produzione di legname, lo stoccaggio di carbonio, il controllo dell’erosione, l’impollinazione, la regolazione del microclima, la rimozione di particolato e ozono, la disponibilità e la purificazione dell’acqua e la regolazione del ciclo idrologico, cui si aggiunge la qualità degli habitat con la valutazione e la mappatura dello stato degli ecosistemi e dei loro servizi, al fine di supportare le scelte di pianificazione e protezione degli ecosistemi.
Le aree perse in Italia dal 2012 avrebbero garantito la fornitura complessiva di 4 milioni e 155 mila quintali di prodotti agricoli e l’infiltrazione di oltre 360 milioni di metri cubi di acqua di pioggia che ora, scorrendo in superficie, non sono più disponibili per la ricarica delle falde e aggravano la pericolosità idraulica dei nostri territori. Nello stesso periodo, la perdita della capacità di stoccaggio del carbonio di queste aree (circa tre milioni di tonnellate) equivale, in termini di emissione di CO2, a quanto emetterebbero oltre un milione di autovetture con una percorrenza media di 11.200 km l’anno tra il 2012 e il 2020: un totale di oltre 90 miliardi di chilometri percorsi, più di 2 milioni di volte il giro della terra. Questo consumo di suolo recente produce anche un danno economico potenziale che supera i 3 miliardi di Euro ogni anno, a causa della perdita dei servizi ecosistemici del suolo.
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La strategia per la mitigazione del rischio idrogeologico deve mettere in campo una serie di azioni sinergiche, tra cui un’approfondita conoscenza del territorio, una corretta pianificazione territoriale con l’applicazione di vincoli e regolamentazioni d’uso, gli interventi strutturali, le delocalizzazioni, la manutenzione del territorio e le buone pratiche in campo agricolo e forestale, le reti di monitoraggio strumentale e i sistemi di allertamento, la pianificazione di emergenza, la comunicazione e diffusione delle informazioni ai cittadini.
La comunicazione e la diffusione delle informazioni sul dissesto idrogeologico costituiscono un obiettivo strategico per ISPRA. Informare i cittadini sui rischi che interessano il proprio territorio favorisce una maggiore consapevolezza e decisioni informate su dove acquistare la propria casa o ubicare nuove attività produttive e ha pertanto importanti risvolti sociali ed economici, contribuendo alla riduzione dei danni e dei costi. Le Mosaicature nazionali di pericolosità, gli indicatori di rischio e le frane dell’Inventario IFFI sono pubblicati sulla piattaforma nazionale IdroGEO: un sistema informativo open source, multi-device, multilingua che consente la consultazione, la condivisione e il download di dati, mappe, report, foto e documenti. Tra le diverse funzionalità risulta particolarmente utile quella relativa al “Calcolo dello scenario” che restituisce la stima degli elementi esposti (popolazione, famiglie, edifici, imprese) su una porzione di territorio circoscritta attraverso un poligono disegnato dall’utente. L’interoperabilità è garantita mediante servizi cartografici pubblici WMS (Web Map Service) erogati per la pubblicazione attraverso il Cloud.
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L’espressione di uso comune “Difesa del Suolo” racchiude in sé la sintesi di due concetti complementari: la difesa idraulica del territorio e la conservazione del suolo. La prima è stata storicamente appannaggio del Ministero dei Lavori Pubblici, fino all’istituzione del Ministero dell’Ambiente, e in origine era caratterizzata da un approccio prettamente “ingegneristico”, centrato sulle opere per la guardia idraulica delle piene. La seconda, invece, è soprattutto legata al contenimento dell’erosione e alla salvaguardia dell’uso agricolo e forestale dei terreni, per i quali il la funzione primaria è stata svolta dal Ministero dell’Agricoltura che, tuttora, ne mantiene alcune competenze.
Questi due aspetti complementari si sono progressivamente sovrapposti e integrati nella legislazione nazionale, fino ad arrivare alla legge n.183 del 7 maggio 1989 “Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della Difesa del Suolo” che ne ha definito, per la prima volta, un quadro organico ed unitario nelle politiche per il contrasto al dissesto idrogeologico in Italia.
Questo passaggio ha rappresentato, di fatto, il quadro di riferimento iniziale dell’approccio “moderno” alla difesa del suolo, ma va comunque “letto” come parte di un processo di evoluzione normativa che è tutt’ora in corso, e nel quale l’emanazione dei principali provvedimenti è spesso in correlazione con il succedersi degli eventi calamitosi più gravi.
Se così è il modo di operare, appare evidente che più che una difesa e protezione le misure e le attività normative sono una “rincorsa” a recuperare un danno, piuttosto che anticiparlo o minimizzarlo!
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Le principali disposizioni recate dalla legge di bilancio 2021 (L. 178/2020) in materia di contrasto al dissesto idrogeologico prevedono:
• nei territori colpiti dagli eventi alluvionali avvenuti nel 2019 e nel 2020 per cui è stato dichiarato lo stato di emergenza, una spesa di 100 milioni di euro per l’anno 2021, al fine di provvedere agli interventi urgenti, anche strutturali, per la riduzione del rischio residuo e alla ricognizione dei fabbisogni per la ricostruzione pubblica e privata;
• al fine dell’accelerazione e dell’attuazione degli investimenti sul dissesto idrogeologico, a consentire il ricorso a contratti di lavoro a tempo determinato con durata non superiore al 31 dicembre 2021. Per tale fine viene prevista l’istituzione di un apposito fondo con una dotazione di 35 milioni di euro per il 2021;
• un incremento di 5 milioni di euro, per ciascuno degli anni 2021 e 2022, destinate all’ISPRA per il completamento della carta geologica ufficiale d’Italia;
• al fine di far fronte ai danni causati dagli eccezionali eventi meteorologici del 28 novembre 2020 in Sardegna, prevedono l’istituzione di un apposito fondo, con una dotazione di 5 milioni di euro per l’anno 2021, per la concessione di contributi in favore dei soggetti pubblici e privati e delle attività economiche e produttive danneggiati;
• l’incremento di 1 miliardo le risorse stanziate e di ampliare le finalità a cui sono destinate, prevedendo che possano essere utilizzate anche per l’acquisto di forniture;
• la proroga al 31 dicembre 2021 la sospensione del pagamento delle rate dei mutui con banche o intermediari finanziari per i soggetti residenti nei comuni interessati da eventi calamitosi, tra i quali gli eventi alluvionali del 17 e 19 gennaio 2014 (in provincia di Modena) e gli eccezionali eventi atmosferici avvenuti tra il 30 gennaio e il 18 febbraio 2014 (che hanno colpito diverse province venete). (7)
Mentre il “Piano nazionale per la mitigazione del rischio idrogeologico, il ripristino e la tutela della risorsa ambientale”, approvato con il D.P.C.M. 20 febbraio 2019, ha il suo aspetto sicuramente più innovativo nella scelta di ricondurre esplicitamente all’ambito della mitigazione del rischio idrogeologico una serie di azioni ed interventi per la tutela del territorio che erano sempre stati oggetto di pianificazioni indipendenti e separate. Per la prima volta vengono aggregate in un unico strumento organico misure d’emergenza, prevenzione e manutenzione che afferiscono a funzioni statali diverse, distribuite nelle competenze del Dipartimento della protezione civile (DPC), del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare (MATTM), del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali (Mipaaf), del Ministero dell’interno (MInt) e del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (MIT), integrandole con un insieme di ulteriori misure organizzative, di semplificazione e di rafforzamento della governance.
Il piano è articolato in trentaquattro Azioni distinte, accorpate per tipologie di misure omogenee in quattro Ambiti d’intervento.
Ambito d’intervento 1 – Misure di emergenza; è di competenza del DPC e contiene le azioni relative al Piano emergenza dissesto, costituito prevalentemente da interventi di messa in sicurezza, ripristino di strutture danneggiate e riduzione del rischio residuo, connessi con gli eventi emergenziali legati al dissesto idrogeologico. Gli interventi sono coordinati ed attuati mediante ordinanze di protezione civile, adottate in deroga ad ogni disposizione vigente ed emanate dopo aver acquisita l’intesa delle Regioni e delle Province autonome territorialmente interessate;
Ambito d’intervento 2 – Misure di prevenzione; è di competenza del MATTM e la sua azione principale consiste nell’elaborazione del Piano operativo dissesto idrogeologico, predisposto anch’esso (come il Piano stralcio) attraverso Conferenze di servizi, in deroga al Decreto Criteri, e sulla base degli interventi individuati come prioritari dai Commissari straordinari per il dissesto.
Ambito d’intervento 3 – Misure di manutenzione; riguarda principalmente le competenze del MInt (Piano dissesto piccoli comuni) e quelle più ampie del Mipaaf (Piano difesa idrogeologica aree montane, Schemi irrigui, Gestione forestale sostenibile, Progetto riforestazione, Trasformazione del danno forestale in risorsa), anche con il coinvolgimento di risorse del MIT.
Ulteriori azioni riguardano invece il coinvolgimento della comunità scientifica e altre collaborazioni (con competenze variamente distribuite tra Presidenza del Consiglio, Ministeri e Regioni) su temi che vanno dall’osservazione spaziale fino all’impiego dei Carabinieri del CUFAA (Comando unità per la tutela forestale, ambientale e agroalimentare) per azioni di presidio e sorveglianza nelle aree a rischio idrogeologico e di verifica degli interventi finanziati.
Ambito d’intervento 4 – misure su semplificazione, rafforzamento organizzativo e governance; le azioni di questo ultimo ambito definiscono una serie di indirizzi e di obiettivi “da realizzare anche con appositi interventi normativi” finalizzati alla razionalizzazione organizzativa, al rafforzamento della governance e della gestione ordinaria, alla semplificazione dei processi.
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Gli interventi per la difesa del suolo, in quanto opere pubbliche, sono sottoposti a monitoraggio da parte di diversi soggetti, ciascuno con finalità ed ambiti di interesse specifici che si riflettono in differenti strutture e tipologie delle informazioni raccolte nelle rispettive banche dati. Il Repertorio Nazionale degli interventi per la Difesa del Suolo(ReNDiS) è un sistema informativo sviluppato dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) con l’obiettivo di realizzare un quadro unitario, sistematicamente aggiornato, delle opere e delle risorse impegnate nel campo della difesa del suolo, condiviso tra le Amministrazioni che operano nella pianificazione ed attuazione degli interventi.
Il progetto nasce nel 2005 a partire dall’attività di monitoraggio operativo che l’ISPRA già svolgeva, per conto del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, sugli interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico finanziati dallo stesso Ministero. Grazie a questa specifica origine il ReNDiS è oggi l’unico sistema di monitoraggio nazionale in cui, oltre ai dati economico/attuativi di ciascun intervento, vengono sistematicamente gestite le informazioni sulla tipologia dei dissesti, la classificazione tecnica delle opere, la georeferenziazione dei dati, l’accesso agli elaborati progettuali degli interventi.
L’acquisizione delle informazioni si basa sull’alimentazione diretta (tramite interfaccia web) da parte dei diversi soggetti coinvolti nell’attuazione del singolo intervento e può essere svolta, sussidiariamente, da ciascuno di essi.
Oltre al ReNDiS, ed ai sistemi gestionali propri di ciascun Ente titolare, i principali sistemi informativi a cui vanno trasmessi i dati sugli interventi fanno capo al Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica della Presidenza del Consiglio dei Ministri (DIPE-PCM), alla Ragioneria Generale dello Stato del Ministero dell’Economia e delle Finanze (RGS-MEF), all’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), e sono sinteticamente qui elencati:
• MIP il sistema di Monitoraggio degli Investimenti Pubblici è utilizzato dal DIPE nel controllo della spesa per investimenti sostenuta dal Paese.
• BDU la Banca Dati Unitaria fa parte del Sistema nazionale di monitoraggio (SNM) con cui RGS, e in particolare il suo Ispettorato Generale per i rapporti finanziari con l’unione Europea (IGRUE), effettua il controllo sugli interventi finanziati nell’ambito delle politiche comunitarie e di coesione.
• MOP il Monitoraggio Opere Pubbliche è gestito dalla RGS nell’ambito della Banca Dati delle Amministrazioni Pubbliche (BDAP) ed è focalizzato sul controllo della spesa nazionale nello specifico settore delle opere pubbliche.
• SIMOG il Sistema Informativo Monitoraggio Gare raccoglie le informazioni utilizzate dall’ANAC per la vigilanza sui contratti pubblici, e vanno a confluire nella Banca Dati Nazionale Contratti Pubblici (BDNCP). I dati di ciascun appalto vengono associati al Codice identificativo di gara (CIG) che le stazioni appaltanti sono tenute a richiedere attraverso il SIMOG e che non può essere rilasciato su progetti d’investimento sprovvisti del CUP.
A questi sistemi si è aggiunta recentemente anche la piattaforma KRONOS implementata dal MATTM come sistema informatico locale per la gestione del Piano Operativo Ambiente. (8)
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Appare evidente che intervenire “dopo” a copertura dei danni sia una rincorsa destinata a rendere il nostro territorio sempre più fragile e ridotto esponendo cittadini e strutture: non possiamo stare “al sicuro”. Le azioni da mettere in campo devono essere di diversa natura, ma soprattutto ben integrate ed orchestrate verso una strategia condivisa tra amministrazioni, territori e cittadini. Purtroppo, osservando il quadro normativo e la distribuzione di responsabilità e competenze a più livelli e tra più enti, dubito che tale integrazione si possa fare velocemente. Peccato che i fenomeni climatici avversi non aspettano che la nostra macchina complessa impari a far parlare sistemi e banche dati.
Credo che ormai sia chiaro che i dati, la loro raccolta ed elaborazione intelligente attraverso tecnologie come l’Iot (Internet of Things) e Intelligenza Artificiale possono contribuire ad anticipare e quindi contenere i rischi eppure i comuni, le regioni ed i Ministeri fanno difficoltà a fare passi avanti significativi.
Come è altrettanto evidente che alcune azioni decisive debbano essere prese quali: “per le Aree naturali, vietare la costruzione di abitazioni, strade, ferrovie, aree produttive e ricreative in zone di pertinenza fluviale o in settori non prettamente idonei. Per le aree urbanizzate e interessate pesantemente da processi di instabilità naturale, bisogna rivedere i piani regolatori imponendo precisi vincoli urbanistici al fine di evitare ulteriore proliferazione di situazione di rischio. Inoltre bisogna vietare o limitare notevolmente la ricostruzione in siti già gravemente coinvolti in passato e dunque delocalizzare” Fabio Luini, geologo del CNR.
Ricordo che nel 2010 viaggiando per l’Italia ed incontrando sindaci di diversi comuni raccontavo dei 5500 comuni esposti a rischio idrogeologico: neanche una delle 350 città che ho incontrato decise di affrontare questo problema.
A distanza di più di 10 anni leggo che la situazione non è cambiata, anzi è peggiorata.
Oggi le soluzioni ci sono, grazie anche al contributo di giovani sviluppatori, Università, start-up ed imprenditori coraggiosi, il problema è più che mai critico: cosa manca per un’azione radicale?
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Artys è una start-up fondata nel 2014 ed è stata uno spin-off dell’Università di Genova fino a giugno 2021. Infatti la soluzione sviluppata Smart Rainfall System è il risultato di un’attività di ricerca sull’innovazione nel monitoraggio ambientale condotta dall’Università di Genova, con i suoi dipartimenti DITEN (Dipartimento di Ingegneria Navale, Elettrica, Elettronica e delle Telecomunicazioni) e DICCA (Dipartimento di Ingegneria Civile, Chimica e Ambientale) e da Darts Engineering, una PMI genovese. La tecnologia è brevettata in Italia (UIBM n. 0001412786).
Smart Rainfall System (SRS) è la proposta disruptive della start-up per la stima e la precisa localizzazione delle piogge in tempo reale e la previsione a breve termine del rischio idrogeologico.
SRS genera mappe di pioggia in tempo reale e ad alta risoluzione, sfruttando in maniera innovativa un fenomeno ben noto nel ramo delle telecomunicazioni: l’attenuazione delle onde elettromagnetiche dovuta a precipitazioni atmosferiche. A partire dall’analisi del segnale TV satellitare ricevuto da una rete di comuni antenne paraboliche distribuite sul territorio, SRS elabora mappe dell’intensità della pioggia, tramite le quali si può verificare il superamento dei livelli pluviometrici critici nelle aree monitorate.
Grazie a queste informazioni e all’applicazione di un modello idrologico semi-distribuito in continuo, SRS è in grado di stimare in anticipo le conseguenze delle piogge.
SRS rappresenta uno strumento sostenibile e innovativo per una migliore gestione dei territori e delle emergenze di natura idrogeologica. (9)
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WaterView, spin-off the Politecnico di Torino, con IR2 (Instant Rain Rate) una nuova tecnica di image processing, riesce a monitorare in tempo reale l’intensità della precipitazione atmosferica partendo da immagini fotografiche e filmati in cui siano visibili le gocce di pioggia in caduta. Le immagini possono arrivare da macchine fotografiche, telecamere di sorveglianza, webcam e, nei prossimi mesi, anche da smartphone.Tutto viene poi inviato ad un server in cloud, dove il motore di IR2 completa in tempo reale il calcolo dell’intensità della precipitazione. Partendo dai parametri di scatto e dalle caratteristiche della fotografia, IR2 individua un volume entro cui è possibile calcolare la posizione, la dimensione e la velocità delle gocce visibili, ottenendo una stima dell’intensità della pioggia fotografata. Sono in corso installazioni con l’obiettivo di avere una costante copertura territoriale, combinando il monitoraggio di dispositivi fissi come le telecamere e quello più sporadico, ma concentrato in corrispondenza di forti eventi localizzati, che presto sarà fornito dagli smartphone. I dati ottenuti da IR2 verranno memorizzate in un database, dal quale si potranno costruire mappe di pioggia che illustrano la situazione delle precipitazioni su determinate porzioni di territorio nel tempo.
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Ise-net, nata nel 2012 come spin-off del Politecnico di Torino, opera nel campo dei servizi di monitoraggio ambientale e dissesto idrogeologico. L’azienda si propone di realizzare modelli 3D sofisticati, attraverso l’utilizzo di droni e laser scanner, per il monitoraggio ambientale di frane, valanghe, ma anche dighe e tutto il comparto di ingegneria civile. Grazie a specifici laser scanner si riesce a realizzare modelli tridimensionali in scala 1:1 di qualsiasi ambiente e con un’app di realtà aumentata si permette a un tecnico di monitorare l’area indossando un visore Htc Vive direttamente dal proprio ufficio. Potrebbe essere molto utile dopo dissesti o terremoti. Con i droni si possono ricostruire intere aree ad esempio ad Amatrice, modellare in 3D uno scenario post terremoto e permettere di eseguire misurazioni e analisi a distanza, in tutta sicurezza. Ise-Net ha realizzato lo studio della frana del Mont de la Saxe, in Valle d’Aosta, eseguendo diversi rilievi con strumentazione laser scanner che hanno permesso di calcolare i volumi di materiale franato e di valutare le velocità del fenomeno di dissesto. Questo lavoro ha facilitato le operazioni di sgombero ed ha consentito di elaborare scenari di pericolosità e rischio applicando ai modelli appositi algoritmi creati in collaborazione con i centri di ricerca coinvolti. L’obiettivo adesso è l’integrazione di tecnologie a basso costo (fotogrammetriche e Lidar) per il monitoraggio di grandi porzioni di territorio, in modo da supportare amministrazioni pubbliche e gestori di infrastrutture nelle fasi di emergenza e post emergenza causate fenomeni di dissesto idrogeologico. (10)
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Envisens Technologies ha ideato MicroRadar Net, una rete di radar in banda X che serve a quantificare le precipitazioni in quelle aree, come vallate e piccoli bacini montani, dove, in caso di pioggia, spesso la situazione è più difficile da controllare perché cambia di ora in ora. Se i grandi radar e i satelliti meteorologici sono utili per monitorare i grandi bacini fluviali, si dimostrano troppo lenti per cogliere e diramare allarmi in caso di eventi improvvisi. Oltre al fatto che il costo elevato non ne permette una diffusione capillare sul territorio. Envisens ha ideato piccoli radar a basso costo, di basso ingombro, di facile installazione e con bassi consumi, ma con la possibilità di trasmettere i dati già elaborati in tempo reale. È stato sviluppato inoltre un software in grado di integrare tra di loro le mappe di pioggia prodotte a intervalli di un minuto dai singoli radar mappando, per esempio, lunghe vallate. Bastano 30, 40 postazioni a coprire uniformemente tutto il Piemonte. I dati sono visualizzabili anche su smartphone con l’app Meteoradar. Attualmente sono attive 15 stazioni monitorabili attraverso l’app Android meteoradar-IT o sull’omonimo cruscotto, oltre a quelle utilizzate dai clienti, principalmente pubbliche amministrazioni e consorzi agricoli. (11)
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WeAct, l’educazione civica sul web per risolvere i problemi delle comunità. Ospitata presso Treatabit, percorso di incubazione di I3P dedicato ai progetti digitali, WeAct è una piattaforma di segnalazione civica che punta a coinvolgere il maggior numero di persone possibile per risolvere i problemi delle comunità. L’app consente ai cittadini di condividere foto e video riguardanti la prevenzione di un problema o la segnalazione di un pericolo, quale ad esempio l’acqua che sale dal fiume o la presenza di un ramo caduto che potrebbe bloccarne il deflusso. Le segnalazioni dei cittadini di WeAct potrebbero consentire la manutenzione preventiva delle zone fluviali per evitare i rischi di esondazioni in caso di forti piogge. Si va dalla manutenzione e la gestione dei sentieri di montagna, al monitoraggio della qualità del servizio delle linee di trasporto urbane. La piattaforma è partita con un progetto pilota soltanto nell’estate 2016 con un MVP (minimum viable product ) sul territorio del Parco Fluviale Gesso e Stura a Cuneo e in 10 comuni. (12)
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Bio Soil Expert nasce in seguito un finanziamento ottenuto e l’incubazione da parte di Trentino Sviluppo ed è stata una start-up selezionata a partecipare ad EXPO 2015. La loro grande innovazione, il sistema Erosion Control utilizza micro-ecosistemi di piante erbacce che, abbinati a microorganismi del suolo, possono sviluppare apparati radicali folti e resistenti in grado di contrastare l’erosione superficiale di suolo. Ad oggi Bio Soil Expert sta applicando Erosion Control in diverse regioni italiane, come Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna e Trentino. C’è tantissima domanda per questo tipo di prodotto, specie dalle pubbliche amministrazioni che si trovano sempre di più ostaggio dell’erosione dei suoli e dei costi elevati per la messa in sicurezza del territorio. Inoltre, le piante utilizzate non fungono solo come dispositivo di messa in sicurezza dal dissesto ma anche svolgono una funzione di mitigazione ambientale, in particolare in riferimento delle emissioni di CO2. Ogni pianta del sistema ErosionControl ha la capacità di assorbire fino a 3kg di anidride carbonica. In Italia il fenomeno dell’erosione “accelerata” del suolo è in crescita e, in meno di 20 anni, il 16% delle campagne è stato cancellato. La cementificazione selvaggia ha soppiantato oltre 2 milioni di ettari di terreno coltivati. L’erosione del suolo nel nostro Paese non fa che aggravare una situazione già allarmante. (13)
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SIM IDRA s.r.l. è uno spin off dell’Università degli studi di Trento, che si è costituito nel 2011 a seguito di un percorso di pre-incubazione. Lo spin off nasce a partire da un’attività di ricerca pluriennale condotta nell’ambito del Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale dell’ateneo sui temi della modellazione matematica e numerica delle colate detritiche e di trasporto solido intenso.
SIM IDRA offre strumenti e servizi utili per la mappatura e la mitigazione del rischio idrogeologico legato a colate di detriti e alluvionamenti torrentizi. In particolare, è stato sviluppato un pacchetto di software, il Trent2D Workspace, per la simulazione idrodinamica, per la preparazione dei dati di input e per l’analisi dei risultati. Questo software permette di dare risposte concrete sia alle esigenze di pianificazione dell’ente pubblico che a quelle progettuali dei liberi professionisti che operano nel settore. (14)
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Vaia start-up fondata da tre giovani under-30, inseriti nella classifica Forbes Italia “100 NumberOne – L’Italia dei giovani leader del futuro”, nasce da un disastro idrogeologico.
L’uragano Vaia nella notte tra il 28 e il 29 ottobre del 2018, spazzò via intere vallate nelle Dolomiti:
8.5 milioni di metri cubi di legno caduto, 42500 ettari di superficie forestale colpita, 2.8 miliardi di euro di danni stimati, 494 comuni coinvolti, di cui alcuni a rischio idrogeologico. Sono i numeri impressionanti provocati dall’uragano. I ragazzi di Vaia, in seguito hanno iniziato a promuovere la vendita online e senza spese di spedizione di un amplificatore per smartphone completamente in legno, il Vaia Cube, realizzato grazie alla collaborazione di falegnamerie e artigiani delle zone colpite. Si tratta di un cubo dal design essenziale dotato di una fessura per accogliere lo smartphone e amplificarne i suoni in maniera naturale. Prodotto in maniera del tutto artigianale utilizzando i larici e gli abeti delle aree colpite, ogni cubo è un pezzo unico in quanto a nervature e anelli del legno.
L’obiettivo, spiegano i ragazzi di Vaia, è far rivivere le foreste colpite piantando un nuovo albero per ogni amplificatore venduto, in ottica di economia circolare: Ad oggi la startup di Borgo Valsugana ha venduto oltre 15mila Vaia Cubes in tutto il mondo, riuscendo a conquistare una vivace community di oltre 40mila follower online, e a farsi notare da aziende che operano in una logica di corporate e social responsibility. (15)
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Aerodron, start up emiliana nata nel 2013, ha voluto puntare sull’utilizzo civile dei droni, riuscendo a scoprire applicazioni virtuose e inedite, e a raccogliere finanziamenti per 400 mila euro, ossia 100 volte l’investimento di partenza. La società lavora con 5 velivoli, sui quali possono essere sistemate comuni fotocamere o apparecchiature più sofisticate. Si tratta sia dispositivi ad ala fissa, simili ad aerei in miniatura, sia di oggetti multirotori, assimilabili a dei piccoli elicotteri. Veri e propri capolavori hi-tech che possono arrivare a costare anche 20mila euro ciascuno. Vengono lanciati in aria e poi controllati a terra, attraverso software specifici. Aerodron ha collaborato con la Regione per il monitoraggio delle aree a rischio idrogeologico, mediante un sistema di “rilievo fotogrammetrico”. I droni hanno anche setacciato 400 metri di spiaggia, nella zona di Cervia, per trovare un frammento di residuo bellico. Nella Val di Taro, zona che vive in continua allerta per la situazione di dissesto, un robot del cielo ha aiutato a tener sotto controllo la frana. Un lavoro che, senza drone, avrebbe richiesto almeno due settimane di tempo. Il drone invece ha permesso di raccogliere i dati in una giornata, senza esporre persone in un lavoro pericoloso, viste le condizioni del terreno. Il tutto a un terzo del costo di un elicottero o di una squadra. (16)
3 https://www.coldiretti.it/meteo_clima/maltempo-grandinate-triplicate-nellestate-2021
4 https://www.linkiesta.it/2020/12/dissesto-idrogeologico-italia-alluvioni-frane/
5 https://www.isprambiente.gov.it/files2020/pubblicazioni/rapporti/rendis-2020.pdf
7 https://www.camera.it/temiap/documentazione/temi/pdf/1202478.pdf?_1629648729006
8 https://www.snpambiente.it/wp-content/uploads/2021/07/IT_Sintesi_Rapporto_consumo_di_suolo_2021.pdf
11 https://www.wired.it/attualita/ambiente/2017/01/16/startup-frane-alluvioni/?refresh_ce=
14 https://knowtransfer.unitn.it/archivio/knowtransfer/5/prevenire-il-rischio-idrogeologico.html
15 https://www.themapreport.com/2020/11/16/economia-circolare-vaia-il-cubo-dopo-la-tempesta/
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