Nel capoluogo lombardo è ormai tempo di bilanci. Ottobre sarà il mese nel quale i cittadini milanesi saranno chiamati a scegliere il governo della propria città per i prossimi cinque anni. Dal successo dell’Expo del 2015 e nel corso degli anni successivi, Milano è stata celebrata come la capitale italiana dell’innovazione tecnologica digitale. A guidare questo fondamentale processo di trasformazione è stata chiamata una professionista di lungo corso nel mondo dell’Ict, una figura non politica solitamente indicata come “tecnica”: Roberta Cocco. Incontrarla non è stato semplice, impegnata anche nelle ultime settimane della giunta guidata dal Sindaco Giuseppe Sala a portare a termine il programma amministrativo relativo alla trasformazione digitale. Tra una riunione e l’altra siamo riusciti a incontrarci con l’obiettivo di delineare un primo bilancio delle attività svolte nel corso della legislatura.
“Il mio ingresso in Giunta a Milano nel 2016 è avvenuto dopo 25 anni trascorsi in Microsoft, un periodo nel corso del quale avevo vissuto direttamente l’esplosione del tema dell’innovazione digitale a livello globale così come nazionale. Ecco che la nostra missione è stata fin da subito molto chiara: mettere la tecnologia al servizio dei cittadini per migliorare la loro vita”. Così Roberta Cocco, Assessora uscente alla Trasformazione Digitale e Servici Civici del Comune di Milano, e neo coordinatrice del Comitato Consultivo per la PA digitale nominato dal Ministro per l’Innovazione tecnologica e la Transizione digitale, Vittorio Colao, esordisce nel descrivere la sua esperienza in ambito pubblico.
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Partiamo da che cosa è stato fatto a Milano per poter attuare questa missione…
Nel 2016 prima di tutto ci siamo resi conto della necessità di comprendere a fondo quali fossero le reali necessità dei cittadini e di conseguenza su quali ambiti bisognava intervenire. In secondo luogo dovevamo contemporaneamente identificare quali fossero le strutture di supporto preesistenti. Più nel dettaglio abbiamo deciso, quindi, di lavorare su una strategia caratterizzata da due componenti molto importanti e complementari tra loro. Da una parte quella tecnologica, decidendo di lavorare sull’infrastruttura per innovarla, consolidarla, ammodernarla e ampliarla il più possibile. Dall’altra quella dello sviluppo dei servizi digitali per i cittadini, che andassero appunto a rispondere alle esigenze di questi ultimi creando una relazione sì sempre più digitalizzata ma anche alla loro portata. Per poterlo fare era necessario compiere un’opera di semplificazione dei processi e lavorare per agevolare al massimo la fruizione dei servizi. Nel contempo bisognava anche lavorare a livello culturale, in quanto non potevamo accelerare la digitalizzazione senza impegnarci sull’inclusione. A tal fine abbiamo pensato a progetti, iniziative e programmi di educazione digitale.
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Cosa intendiamo con questa ultima espressione, educazione digitale, e a chi è rivolta?
È un tema che tradizionalmente viene focalizzato sulla fascia dei cittadini più anziani. È vero. C’è una parte di popolazione anagraficamente più adulta, fatta di persone che sia per il lavoro che hanno svolto che per circostanze del proprio quotidiano, non hanno mai avuto occasione di interagire con la tecnologia. Però ce ne sono anche altre che hanno per natura reazioni negative di fronte ad essa oppure utilizzano continuamente device come gli smartphone per poi non fidarsi dei servizi digitali che un’Amministrazione può offrire. Abbiano quindi compiuto uno sforzo in partnership con un gruppo privato per indirizzare l’educazione al digitale e diffondere competenze. Proprio su questo fronte abbiamo lavorato per far capire quanto fosse importante svilupparle non solo in vista di obiettivi di studio e lavoro futuri ma anche per vivere al meglio il presente.
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Si dice in tal senso che i nativi digitali siano avvantaggiati…
In realtà non bisogna confondere tra nativi digitali e chi possiede competenze digitali perché sono cose molto diverse. Sicuramente i ragazzi sono facilitati, essendo nati in un’epoca in cui il telefono con il filo è ormai un lontano ricordo. Ma questo non basta. Da qui parte l’iniziativa SteminTheCity, che per 5 edizioni ha avuto l’obiettivo di lavorare con tutti gli stakeholder della città per aiutare le giovani generazioni – e in special modo le ragazze – a comprendere il valore delle competenze digitali per il loro futuro lavorativo, a prescindere dalla professione.
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Quanto è importante la gestione e analisi dei dati per poter innovare una città come Milano?
È fondamentale. Noi in particolare ci riferiamo alla necessità di avere una bussola per orientare la città, qualcosa che nel nostro percorso di innovazione abbiamo strutturato proprio attraverso l’analisi dei dati. Un tema che nel corso dell’ultimo anno è sulla bocca di tutti, proprio in relazione alla pandemia. Si parla di dati giusti, di dati sbagliati, di chi li deve controllare. Si affronta il tema della privacy, della manutenzione e sicurezza dei database. Fin dall’inizio abbiamo iniziato a lavorare sul fronte interoperabilità per far sì che la mole straordinaria di dati raccolti da tante direzioni potessero diventare un bacino unico di informazioni rese disponibili al momento del bisogno a supporto dei servizi digitali. Il piano ha quindi previsto la creazione di un data lake diventato poi uno smart lake, strutturato su più layer e con vari gradi di protezione. E con le informazioni consultabili attraverso una ventina di dashboard per monitorare dati interni ed esterni sulla PA, anche su dispositivi mobili.
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Abbiamo già citato la pandemia. Qual è stato l’impatto su Milano e come avete reagito?
Dopo lo shock iniziale, e siamo nel febbraio 2020, abbiamo avuto l’esigenza di metterci immediatamente al lavoro. La prima fase ha riguardato la gestione dell’emergenza per la quale la parte digitale è risultata fondamentale, in primis per abilitare la grande maggioranza dei dipendenti comunali al lavoro in smart working evitando l’interruzione dei servizi essenziali per i cittadini in lockdown. Nel corso delle prime tre settimane abbiamo quindi lavorato per implementare quelle tecnologie che permettessero di lavorare da casa esattamente come se fossero al proprio desk in ufficio, per un totale di 7.000 persone. In secondo luogo abbiamo sviluppato una serie di servizi digitali per fornire quelle informazioni e servizi ai cittadini, i quali, in un momento così drammatico, avevano bisogno di essere accompagnati e rassicurati. Terzo, abbiamo rafforzato la nostra linea di contatto telefonico, dato che tutti i cittadini potevano avere accesso ai servizi digitali. Quindi è stata rafforzata l’Infoline 020202 che ha gestito sia le segnalazioni delle emergenze che il consueto supporto informativo. Infine abbiamo abilitato al digitale anche la macchina amministrativa – quindi commissioni consiliari, Consiglio comunale e Giunta con relativi assessori – per poter garantire la governance della città.
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Qual è stata la base dei servizi digitali che avete erogato in questo periodo?
Ancora una volta i dati, con la premessa che tutto quanto è stato fatto non sarebbe stato possibile senza il lavoro portato avanti negli anni precedenti per creare un unico bacino a abilitare un elevato grado di interoperabilità. Parlo ad esempio del Fascicolo digitale del cittadino che, già disponibile, era prima accessibile solo da pc mentre ora è consultabile tramite app. Inoltre, grazie alla collaborazione con Facebook, abbiamo sviluppato un chatbot per rispondere alle domande più frequenti poste allo 020202. Utilissimo per lasciare la linea telefonica libera per le emergenze e per divulgare velocemente le informazioni legate all’emergenza sanitaria.
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Torniamo al tema dell’inclusione digitale. Proprio durante l’emergenza cosa avete studiato su questo fronte?
L’idea è che il digitale debba includere e non escludere, altrimenti il rischio è di ampliare ulteriormente il gap esistente. Quindi, anche grazie al supporto dei privati, abbiamo messo a disposizione una linea telefonica, sempre attraverso lo 020202, che aiutava i cittadini a usare i servizi digitali disponibili, grazie al supporto dei Digital Angels di Samsung. Insieme a BIP, invece, abbiamo provveduto a erogare delle pillole di formazione, non potendo portare avanti i corsi di alfabetizzazione già previsti nelle periferie. Un’iniziativa per tutti municipi di introduzione ai primi rudimenti di digitalizzazione.
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Più in generale come avete invece affrontato tale tema all’inizio del vostro mandato?
Come ho già spiegato all’inizio quando siamo partiti con il nostro piano di trasformazione digitale ho deciso di non occuparmi solo di grandi progetti ma di guardare alla città nel suo profondo. Io penso che tecnologia e inclusione debbano correre sugli stessi binari in modo parallelo per cui fin dall’inizio abbiamo lanciato una open call tramite il bando “Alleanza per Milano digitale” che proseguirà fino a fine mandato coinvolgendo quelle realtà disponibili a collaborare con l’assessorato su progetti di digitalizzazione destinati anche ai giovani. In questi anni sono arrivate tantissime proposte, idee e progetti, ad esempio quello con EMiT Feltrinelli per un grande polo di formazione con corsi gratuiti per i cittadini, informazioni sull’uso di SpID o su come accedere al Fascicolo Sanitario Elettronico o scaricare certificati dal sito del Comune, accedere ai registri scolastici elettronici, verificare il corretto pagamento dei tributi, e così via. Certamente non basta: la pandemia ha ridotto la possibilità di tenere corsi in presenza per cui stiamo sperimentando anche alcune soluzioni alternative.
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Il tema delle smart city è particolarmente sentito a livello internazionale. Tenendo conto anche di quanto detto finora, a che punto è Milano?
Prima di tutto va contestualizzato il fatto che il 20 ottobre del 2016, poco dopo l’insediamento della giunta, abbiamo annunciato il piano di trasformazione digitale. A novembre c’è stata la prima attività pubblica con il gemellaggio tra Milano e New York e il lancio, con il CTO della metropoli americana, del progetto Digital Bridges. Questo per dire che un pilastro fondamentale della nostra strategia è stato il confronto con le città straniere. Perché se a livello italiano possiamo affermare che Milano negli anni si è costruita la fama di essere tra le città più innovative, certamente esistevano tantissime città internazionali dalle quali avevamo ancora moltissimo da imparare. Quindi siamo partiti con New York per poi stringere partnership con Barcellona, Chicago, Tallin, Amsterdam, Londra, Helsinki, dando vita così a un ampio network caratterizzato da uno cambio continuo di progetti e idee.
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Quali sono le tematiche al centro di queste collaborazioni?
Siamo partiti da una condivisione delle rispettive iniziative per poi concentrarci su due punti in particolare. Il primo è quello dei dati e della loro raccolta, monitoraggio e protezione. Il secondo è quello della Cities Coalization for Digital Rights, una coalizione di città impegnata sui diritti digitali dei cittadini. Si tratta di un tema molto delicato e di cui gli amministratori locali devono decisamente farsi carico. Sono molto orgogliosa del posizionamento di Milano, che viene ormai considerata tra le capitali internazionali su questi temi. Nell’estate del 2020 siamo arrivati in finale tra le città più innovative d’Europa, un bel riconoscimento per il lavoro fatto.
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Passiamo al presente. Quali sono le sue sensazioni anche tenendo conto del suo nuovo ruolo nel Comitato Consultivo per la PA digitale?
Posso prima di tutto affermare che chi ha in mano le sorti del nostro presente e futuro ne ha tutte le competenze. E questo mi rassicura non solo nel ruolo che ricopro ma anche in quanto cittadina. Andando nel dettaglio, un gruppo come quello formatosi prima dell’estate è un segnale molto importante che parte da un grande ascolto delle esigenze espresse dai territori. Nella sostanza il messaggio è che il centro di controllo lavora per comprendere le necessità concrete grazie a una serie di voci con esperienze e background diversi che possano poi portare sul tavolo dei decisori centrali le varie istanze del Paese. Ritengo che il lavoro in team rappresenti un valore straordinario per raggiungere i migliori obiettivi, per cui parto già con un moderato ottimismo su quanto riusciremo a fare. Certamente sarà richiesto un grande impegno da parte di tutti.
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Come è possibile per una città orientare gli investimenti che arriveranno dall’Europa con il Next Generation EU?
Prima di tutto va chiarito che l’articolo 5 della Costituzione parla del più ampio decentramento amministrativo dei servizi. Di fatto le città sono la prima porta di accesso ai servizi per i cittadini e rivestono quindi un ruolo fondamentale per chi chiede aiuto e supporto, recependo nel contempo quanto deciso a livello centrale dal Governo. Inoltre le città hanno un’altra caratteristica fondamentale, ossia la variabilità delle esigenze e del numero di cittadini da servire. Per questo chi prende le decisioni e chi le attua concretamente deve tenere conto di quanto possano essere diversi gli scenari in cui vanno calate. Penso che non sia ancora stato definito un execution plan sulla distribuzione dei fondi, anche se è chiaro che la componente di digitalizzazione dovrà essere in primo piano, insieme ad altre tematiche fondamentali quali infrastrutture e lavoro. Anche in questo caso sono abbastanza ottimista sul fatto che quando si dovranno stabilire i meccanismi di erogazione sul territorio si terrà conto delle diversità a cui accennavo prima. Questo perché se da una parte ci sono territori molto avanti altri fanno ancora fatica e vanno affiancati.
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Tra le tecnologie che oggi sono sugli scudi c’è l’intelligenza artificiale…
Il Comune di Milano utilizza algoritmi particolari, ad esempio per la mobilità condivisa, per le mappe presenti sul geoportale e per aggregare dati che provengono da bacini diversi per arrivare a erogare un servizio più efficiente. Un esempio è quello della gestione delle richieste dei ristoratori per poter posizionare sui marciapiedi i propri tavoli. Migliaia sono le domande che abbiamo ricevuto con le relative autorizzazioni da erogare in pochi giorni. Abbiamo incrociato i dati dell’assessorato al commercio, quello ai lavori, quelli del geoportale per avere una vista precisa della mappa della città, evitando che si sovrapponessero i confini delle varie attività. In un paio di settimane siamo riusciti a fare qualcosa che in precedenza avrebbe richiesto un lavoro su carta.
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Qual è il messaggio che vuole infine dare sulla collaborazione tra pubblico e privato e il coinvolgimento dei cosiddetti tecnici?
Inizio dalla mia esperienza. Quando nel 2016 lanciai il piano di trasformazione digitale partendo da quello di interoperabilità mi fu detto che potevo permettermelo in quanto tecnica mentre un politico non sarebbe mai partito da qualcosa di così complicato. Io penso che non ci si possa fermare davanti al fare. Il nostro Paese ha bisogno di competenze e che le opere pubbliche non richiedano 30 anni per essere realizzate bensì 3 come dimostra la costruzione del nuovo ponte di Genova. Credo che la competenza tecnica, indipendentemente dal fatto che ci si trovi di fronte una figura politica o meno, sia importante così come il coinvolgimento del mondo del privato, in un lavoro congiunto per ricostruire l’Italia e guardare al domani e al dopodomani.
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