“Andamento lento”, cantava negli anni Ottanta Tullio de Piscopo. Potrebbe essere l’inno dei sostenitori di zona 30, cioè della diffusione nelle aree urbane di un limite di velocità abbassato a 30 km/h. Si tratta di una misura già adottata in molte città e Paesi europei, sia a livello locale sia, in alcuni casi, a livello nazionale: è il caso di Spagna e Olanda. In Italia, dove si sta diffondendo nonostante le molte resistenze, ha appena segnato un importante punto a suo favore: lo scorso 9 gennaio, infatti, il Consiglio comunale di Milano ha approvato una mozione per trasformare l’intera città in zona 30 dal 1 gennaio 2024. Il provvedimento, a prima firma del consigliere della lista Sala Marco Mazzei, prevede l’estensione del limite di velocità a 30 km/h a tutte le strade urbane, con la sola esclusione di alcune arterie a scorrimento veloce dove il limite diventerebbe di 50 km/h. È prevista un’importante campagna di comunicazione che informerà e coinvolgerà i cittadini: si baserà su un dossier, redatto da Amat (Agenzia mobilità ambiente territorio), che conterrà tutti gli elementi utili a comprendere quanto il limite dei 30 km/h in città sia una grande opportunità per tutti. La mozione ha ottenuto il parere favorevole dell’assessore alla Mobilità di Milano Arianna Censi, mentre un altro consigliere della lista Sala, Enrico Fedrighini, ha osservato come oggi a Milano la velocità media sia di 15 km/h, anziché 30, sottolineando la necessità di ridurre il numero di auto circolanti, ricorrendo anche a misure impopolari. Non si tratta comunque di una decisone già presa: il testo è ancora un ordine del giorno e deve, quindi, essere approvato in giunta, sebbene il parere favorevole dell’assessore suggerisca un probabile via libera definitivo. La misura è stata sonoramente bocciata dal segretario della Lega, ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti nonché vicepremier Salvini, mentre il presidente della Regione Fontana ha mostrato cautela insistendo sulla necessità di un provvedimento graduale. Quanto al sindaco Sala, che in passato aveva affermato “Non è tempo per una città a 30 all’ora”, ha cambiato in parte idea. “Milano a 30 km/h non può essere l’unica soluzione. Va verificato, e gli uffici ci stanno lavorando, dove si può applicare: non su tutta la città”, ha detto il sindaco dopo le polemiche seguite all’approvazione del documento in Consiglio comunale. ”Al momento è uno stimolo che ci dà il Consiglio comunale su cui sto riflettendo con attenzione” ha aggiunto Sala. “Credo che si debba analizzare la questione della mobilità anche in senso più largo: ci devono essere anche altre componenti e un modo diverso di muoversi. Quindi ad oggi non so dire se è realistico immaginare il 1 gennaio 2024, posso confermare che ci stiamo lavorando, anche tramite Amat”. Sala ha aggiunto di guardare ai modelli delle capitali di Regno Unito e Francia: “Ciò che proporrò a Milano è quanto vedo accadere nelle grandi città internazionali. Verso fine mese sarò a Londra per incontrare il sindaco e verificare quello che Londra sta facendo. La stessa operazione farò su Parigi”.
La riduzione della velocità a 30 km/h nelle aree urbane porta con sé numerosi benefici, dal miglioramento della qualità dell’aria alla riduzione dell’inquinamento sonoro e da gas di scarico (basti pensare che per accelerare da 30 km/h a 50 km/h la quantità di emissioni e i consumi di carburante si quadruplicano) fino alla diminuzione degli incidenti stradali. L’Organizzazione mondiale della sanità stima che, con la riduzione generalizzata della velocità ai 30 km/h nelle aree urbane, si potrebbero salvare almeno 25.000 vite da qui al 2035. Un aspetto quanto mai importante se parliamo del nostro paese, dove proprio gli incidenti sono un tasto dolente: si registrano, infatti, 3.500 morti e più di 200 mila feriti all’anno, con una media di circa otto decessi e 502 feriti al giorno, secondo i numeri di Aci-Istat. I costi relativi ammontano a circa 16,4 miliardi di euro e rappresentano quasi l’1% del Pil nazionale. La tendenza, inoltre, segnala un deciso aumento dopo gli anni del Covid, con un aumento del 24,7% degli incidenti, del 15,3% dei morti e del 25,7% dei feriti. I dati europei ci dicono che tre quarti degli incidenti mortali avviene in città e che, degli oltre 600 pedoni investiti, più di 300 stavano attraversando sulle strisce. La percentuale di vittime tra gli utenti vulnerabili della strada, come ciclisti e pedoni, è in aumento: gli automobilisti sono stati, infatti, i principali beneficiari del miglioramento della sicurezza dei veicoli mentre sono aumentati il peso, la potenza e la velocità massima delle nuove vetture vendute, cosa che comporta maggiori rischi per la sicurezza stradale. Anche le Nazioni Unite si sono spese per le zone 30: in occasione dell’edizione 2021 della Settimana per la sicurezza stradale, hanno, infatti, lanciato la campagna “Streets for life, love 30”, invitando i responsabili politici ad agire per le strade a bassa velocità nelle città di tutto il mondo, limitando, appunto, la velocità a 30 km/h dove le persone vivono, lavorano e giocano perché le strade a bassa velocità rendono le città non solo sicure, ma anche sane, verdi e vivibili.
Il problema è stato affrontato anche dall’Unione Europea: il 6 ottobre 2021, l’Europarlamento ha approvato una risoluzione indirizzata alla Commissione che chiedeva di introdurre in tutte le città dell’Unione il limite di velocità a 30 chilometri l’ora nelle zone residenziali e in quelle con un numero elevato di ciclisti e di pedoni. L’obiettivo era quello di dimezzare il numero di morti sulle strade del Continente entro il 2030 e azzerarli entro il 2050, ciò che non è accaduto tra il 2010 e il 2020: ogni anno, infatti, in Europa ben 22.700 persone perdono la vita e 120.000 vengono ferite gravemente a causa di incidenti stradali. Nel 2020 nell’Unione europea ci sono stati 42 morti a seguito di incidenti stradali per ogni milione di abitanti, con picchi di 85 morti per milione in Romania. Le strade più sicure sono quelle svedesi: 18 morti per milione. In Italia il dato è allineato con la media Ue: 40 morti, in calo del 25 per cento rispetto al 2019. Un ulteriore vantaggio delle zone 30 è che la riduzione della velocità nelle aree urbane è un forte incentivo per sviluppare modalità di spostamento e comportamenti diversi e più sostenibili. Per esempio, in Italia solo il 7 per cento dei bambini si sposta autonomamente, mentre in Germania la percentuale sale al 40: questo avviene perché i genitori sanno che nelle strade ci sono le condizioni di sicurezza necessarie perché anche i più piccoli possano muoversi in autonomia.
La prima città in Italia ad introdurre le zone 30 in maniera capillare è stata Olbia: il limite è in vigore dal giugno 2021. “Abbiamo adottato questa nuova disposizione che regolamenta la velocità non solo nella città di Olbia ma anche nelle frazioni limitrofe” spiega a Innovazione Pa il sindaco Settimo Nizzi. L’ispirazione è arrivata guardando ad alcune città europee. “Abbiamo partecipato ad un progetto europeo importante, insieme a città di altri paesi: osservando le misure prese dalle città capofila, come Amsterdam, ci siamo accorti che lì la qualità della vita era migliore. Abbiamo quindi voluto confrontarci con le città mitteleuropee che avevano fatto della qualità della vita un punto fermo dei mandati amministrativi e a giugno 2021 abbiamo emanato una delibera che imponeva il limite massimo dei 30 km/h in tutta la città e nelle frazioni. Abbiamo scelto di stabilirlo su tutte le strade comunali e per tutto l’anno per evitare fraintendimenti e confusione”. Gli inizi non sono però stati facili. “A parte le associazioni che si battono per la diffusione della mobilità dolce che ci hanno appoggiato, all’inizio c’è stato parecchio malcontento tra la cittadinanza, soprattutto tra i commercianti più ancora che tra gli automobilisti” racconta Nizzi “per cui nel primo anno non abbiamo emesso sanzioni, ma abbiamo accompagnato la popolazione nel percorso di accettazione di questa norma e ne abbiamo parlato parecchio sui vari mezzi di comunicazione”. La situazione sì è così evoluta nel modo migliore con la cittadinanza che ha preso coscienza della riduzione dell’inquinamento, delle emissioni nocive e del rumore. Addirittura, sono diventati i cittadini stessi a sollecitare interventi e sanzioni nei confronti di chi non rispetta la norma. “Dopo il primo anno di accompagnamento, abbiamo iniziato a posizionare telelaser per il controllo, soprattutto sulle strade per le quali venivamo maggiormente sollecitati dalla popolazione” spiega Nizzi “dove abbiamo elevato una trentina di sanzioni con quattro ritiri della patente per aver superato il limite”. Nel complesso il limite dei 30 km/h ha migliorato la qualità di vita nella città. “Olbia funziona molto bene adesso” afferma Nizzi “molte più persone si spostano in bicicletta, in generale la gente è più serena e si fa più attività fisica. Abbiamo anche cercato di ridurre il numero di stalli per i parcheggi per stimolare ancora di più l’uso delle biciclette. In più, gli incidenti si sono ridotti drasticamente perché le persone stanno più attente e camminano più piano”. Ad usufruire di questi miglioramenti sono anche i visitatori: “I turisti apprezzano l’esistenza del limite perché molti di loro sono stranieri e vengono da luoghi dove queste misure esistono già” spiega il sindaco. Il rinnovamento di Olbia però non si ferma qui: “siamo stati i primi in assoluto in Italia ad approvare come consiglio comunale il Pediplan e il Biciplan (piani di mobilità per pedoni e ciclisti ndr) con lo scopo di spingere sempre più verso una mobilità sostenibile. A breve, inoltre, vedrà la luce anche il nuovo piano regolatore del traffico e della mobilità sostenibile” sottolinea Nizzi “La nostra città avrà uno sviluppo armonico, coniugando sostenibilità e sicurezza. In più abbiamo realizzato decine di chilometri di piste ciclabili, e adesso c’è un progetto di circa 20 milioni con il ministero delle Infrastrutture grazie al quale rimetteremo in sesto due quartieri, trasformando le strade in aree pedonali, cercando di far tornare i bambini a giocare sulle strade anziché stare in casa attaccati ai videogiochi e concedendo loro maggiore libertà di movimento e sicurezza”. In Sardegna anche Cagliari si è mossa verso una riduzione della velocità dei veicoli, inaugurando nel 2020 e successivamente allargando alcune zone a velocità 30 km/h.
Anche Bologna si sta muovendo con decisione verso un progressivo rallentamento del traffico urbano, con un progetto volto a cambiare la visione complessiva della città. “In realtà è dagli anni ’80 che Bologna lavora sulla moderazione del traffico” spiega a Innovazione Pa l’assessora alla Mobilità Valentina Orioli, “e ci sono già tante zone 30, compreso tutto il centro storico. La ratio di questo nuovo provvedimento è passare ad una visione complessiva di Bologna come città a 30 Km/h. Non parliamo quindi di singole zone ma della trasformazione dell’intero territorio cittadino. La motivazione principale è legata alla sicurezza, perché l’evidenza scientifica ci dice che se i veicoli in strada vanno più piano l’incidentalità si riduce perché si migliora lo stato di attenzione. Si riducono soprattutto gli effetti dell’incidentalità, perché se un pedone viene investito da un’auto che va ai 50 km/h l’impatto equivale ad una caduta dal terzo piano di un casa, se si viene investiti da un’auto che va ai 30 km/h l’impatto equivale ad una caduta dal primo piano”. L’obiettivo è quindi ridurre sia il numero di incidenti stradali sia la gravità delle conseguenze sugli utenti deboli, cioè pedoni e ciclisti. “Quello della città 30 km/h non è solo un tema di sicurezza” continua l’assessora Orioli “si lavora certo sulle nuove regole ma anche sul controllo e sul presidio dello spazio stradale e soprattutto sull’educazione delle persone e sulla qualità dello spazio pubblico, nell’ottica della mobilità come elemento che può trasformare la città nel futuro. Non a caso questo provvedimento va di pari passo con la costruzione di nuove piste ciclabili e linee tranviarie, ragionando anche sui percorsi casa-scuola, per esempio con l’introduzione di pedibus”. Il piano in questione coinciderà con l’abitato di Bologna; si definirà poi una rete 50, dove si continuerà ad andare a 50 km/h. All’interno delle zone a 30 km/h si individueranno poi alcuni luoghi principali, come aree scolastiche e centri di quartiere. “ La prima cosa che faremo sarà lavorare all’ordinanza e cambiare la cartellonistica stradale” continua l’assessora che poi puntualizza “Ci siamo impegnati ad assumere il piano entro giugno 2023, abbiamo già molti finanziamenti con cui stiamo iniziando a trasformare lo spazio cittadino”. I controlli in atto sulle attuali zone 30 evidenziano come la direzione sia quella giusta: “stiamo monitorando, da almeno cinque anni, che cosa succede nei punti specifici dove abbiamo effettuato interventi di moderazione della velocità come rialzo di incroci, attraversamenti pedonali… punti che di solito servono da ingresso nelle zone 30. Abbiamo visto che dove sono stati fatti questi interventi si è verificata una riduzione dell’incidentalità del 50-60%, che è un ottimo risultato. Poi l’obiettivo a lungo termine è quello di morti zero che non significa incidenti zero ma maggior controllo e minor gravità delle conseguenze dell’incidentalità”. Va da sé che per il buon funzionamento di un piano di questo tipo sia indispensabile la collaborazione dei cittadini. “In generale quando si parla di questi temi all’inizio molti percepiscono un elemento di costrizione per gli automobilisti, che sono costretti ad andare più piano” afferma l’assessora “in realtà io credo che qui da noi stia passando il messaggio che si tratta di un progetto di città che comporta maggiore rispetto da parte di tutti: anche perché se si prova ad andare ai 30 km/h ci si accorge che i tempi di percorrenza non sono poi tanto più lunghi perché ciò che fa la differenza è la fluidità del traffico. Chiaramente c’è anche il tema della messa in sicurezza delle strade: dopo il Covid abbiamo avuto una forte ripresa dei sinistri con una decina di incidenti gravi nella città metropolitana di Bologna”. Un appoggio costante in queste iniziative il Comune l’ha ottenuto dalla Consulta della bicicletta: “siamo completamente allineati” spiega l’assessora Orioli “la consulta è importante nel comune di Bologna, viene coinvolta nelle scelte sulla mobilità e contribuisce ad orientarle. Negli ultimi anni abbiamo fatto un lavoro importante sulla ciclabilità. Al nostro sforzo corrispondono dati importanti, con un più 62% di biciclette negli ultimi 10 anni e le rilevazioni continuano a dirci che stiamo facendo un buon lavoro. Registriamo addirittura un utilizzo record, anche da parte dei turisti, a livello nazionale delle biciclette in sharing, quasi tutte elettriche e a pedalata assistita. Naturalmente chi usa la bicicletta come mezzo di trasporto chiede sicurezza, obiettivo del nostro progetto Città 30 km/h”.
Anche altre città lombarde oltre a Milano scelgono di rallentare: è il caso di Bergamo dove la giunta, già nel 2020, aveva chiesto di trasformare l’insieme urbano in una “città attenuata” con l’80 per cento del reticolo di strade a marcia frenata. Questa richiesta si è trasformata nel progetto “Bergamo Città Zona 30”, iniziativa che aveva come scopo quello di garantire più sicurezza a ciclisti, pedoni, rendere il traffico più fluido e ridurre le emissioni inquinanti. Su quest’ultimo aspetto Bergamo si era già mossa riducendole del 21% negli scorsi 15 anni con un miglioramento di tutti i parametri presi in considerazione a partire dagli impianti di riscaldamento, ad eccezione proprio di quello legato alla mobilità privata, risultato in leggera crescita dal 2007. La riduzione delle velocità negli ambiti residenziali della città consentirebbe, quindi, di ridurre le emissioni derivanti dalla mobilità privata, in coerenza con gli obiettivi che l’amministrazione si è data nel piano di decarbonizzazione in vista del 2030. Anche Torino ha scelto le zone 30: il Consiglio comunale ha, infatti, deciso di abbassare il limite di velocità. Una scelta dettata dalla necessità di aumentare la consapevolezza dei cittadini, non solo i residenti ma anche chi si trova in città per lavoro o per turismo, sul rispetto delle regole e sulla moderazione nella guida dei veicoli. Al momento, i limiti dei 30 km/h sono previsti nei controviali, si va a 50 sulle altre strade e a 70 in quelle a scorrimento. Sulla base delle nuove decisioni, saranno create zone 30 praticamente in tutta la città abbassando a 50 il limite per le arterie di scorrimento. Provvedimenti che miglioreranno anche la qualità dell’aria. Nella stessa regione si è mossa in questa direzione anche Cuneo, che nel 2020 aveva trasformato un intero quartiere in zona 30. Già dopo un anno si sono visti i primi risultati, con un solo incidente rilevato nell’area 30 km/h e una velocità media delle auto di 32 km/h. Spostandoci più ad est troviamo altre città che, già da diverso tempo, hanno deciso di procedere con un andamento lento: nel centro storico di Vicenza si va ai 30 km all’ora dal 2015, a Treviso dal 2013, diverse strade di Verona hanno visto comparire cartelli con i nuovi limiti negli ultimi anni. In Toscana, ad Arezzo, il limite dei 30 è già in vigore, entro le mura, dal 2009. Anche in Emilia Romagna ci sono diversi comuni, oltre a Bologna, che hanno adottato la zona 30: Cesena è stata la prima a sperimentare questa misura: nel 1998 venne imposto il limite su una strada del centro storico, nel 2015 il limite riguardava 140 chilometri di asfalto e 33 zone della città. Anche Reggio Emilia e Parma stanno compiendo importanti passi verso il rallentamento del traffico urbano. A Parma il centro storico diventerà interamente zona 30 dal prossimo febbraio ed entro il 2024 il provvedimento riguarderà tutte le strade all’interno delle tangenziali. L’assessore alla Mobilità Gianluca Borghi ha precisato che si tratta di un progetto volto a ridurre l’inquinamento da traffico, e in particolare da gas di scarico e acustico. L’area interessata sarà di 15 chilometri quadrati: negli attraversamenti pedonali sui viali di circonvallazione si prevedono nuovi semafori a chiamata e saranno realizzate piste ciclabili nuove o di raccordo a quelle già esistenti. Infine, tutte le aree scolastiche saranno protette nell’ottica, anche, di una riduzione del traffico privato.
In Italia sono 50 le amministrazioni che hanno deciso di adottare le zone 30. Un numero ancora basso se si pensa che i comuni italiani sono 7904. “Quello che frena è la paura politica del consenso” spiega l’architetto urbanista Matteo Dondè, il primo in Italia a proporre progetti di urbanismo tattico, che prevede diversi tipi di azioni, a volte condotte direttamente dai cittadini, altre dalle amministrazioni locali, con lo scopo di migliorare gli spazi pubblici. C’è poi un altro fattore, prosegue Dondè, da tenere in considerazione e che differenzia nettamente le zone 30 italiane dalle loro corrispettive europee, di cui si parlerà più avanti: in queste aree, spiega l’architetto, non ci dovrebbero nemmeno essere le strisce perché pedoni e ciclisti dovrebbero avere sempre la precedenza ovunque, come succede per esempio a Berlino. Invece le nostre zone 30 sono ibride perché in Italia è ancora radicata l’idea che la strada sia dell’auto. Manca quindi la cultura della sicurezza. Inoltre, l’Italia è l’unico paese europeo a non avere linee guida per i tecnici. E siamo anche quelli che fanno meno controlli sulle strade (un decimo, rispetto al Nord Europa). Il primo progetto di urbanismo tattico di Dondè risale al 2013 ed è stato realizzato a Terni: più recentemente altre sue sperimentazioni hanno avuto luogo a Milano, una delle città italiane che rientra pienamente nella statistica che ci informa che il 40% dei tragitti cittadini in automobile è inferiore a 4 chilometri. “La metà delle automobili che circolano in un dato momento” spiega Dondè “impedisce all’altra metà di muoversi. Mentre tre chilometri in bicicletta si fanno in dieci minuti e non si perde tempo a cercare parcheggio”. Un terzo del tempo che passiamo seduti in automobile, infatti, lo perdiamo nella ricerca di un posto dove lasciarla. “Il risultato complessivo di tutto ciò” continua Dondè “è che all’ora di punta nelle nostre città le automobili vanno a una velocità media di 18 km/h”. Ovvero la stessa velocità di una bicicletta; ma siccome le strade sono pericolose spesso le biciclette non vengono utilizzate. Tra i vari progetti portati avanti da Dondè a Milano c’è il parcheggio, in gran parte illegale, di piazza San Luigi a Corvetto che è diventato una piazza interamente pedonale, grazie anche al contributo di Fiab e Genitori Antismog. Inoltre, il progetto TrentaMì e Mobi ha trasformato via Rovereto e l’ingresso del Parco Trotter. Dondè ha coinvolto i cittadini dei quartieri interessati: per dieci mesi, attraverso interventi di urbanistica a basso costo, che hanno visto la partecipazione attiva dei residenti, sono stati creati spazi verdi e aree di socialità. Tutte le sperimentazioni hanno portato ad una raccolta firme e quindi a progetti definitivi. L’Agenzia della Sanità pubblica di Barcellona ha stimato che se tali progetti venissero estesi a tutta la città, si potrebbero prevenire quasi 700 morti premature all’anno per inquinamento, e aumenterebbe l’aspettativa di vita di quasi 200 giorni in media a persona. Inoltre, per la città significherebbe un risparmio economico annuo di 1,7 miliardi di euro, con benefici per la salute derivanti dalla riduzione dei livelli di inquinamento atmosferico, del rumore da traffico e dalla mitigazione delle isole di calore dovute alla totale impermeabilità dell’asfalto.
In Europa sono diversi gli esempi virtuosi di zone 30: Spagna e Olanda hanno addirittura una normativa nazionale e sono diverse le città europee, grandi e piccole, che stanno ponendo un freno alla velocità dei veicoli. La prima città ad introdurre il limite di 30 km/h è stata Chambery, capoluogo della Savoia di 60 mila abitanti. Le prime limitazioni risalgono al 1979 e riguardavano una parte molto ristretta della città. Sono stati, poi, gradualmente estesi e, ad oggi, sono presenti su gran parte del territorio urbano. I risultati, dal punto di vista della sicurezza stradale, sono stati notevoli: nel 1979 gli incidenti erano infatti 453, mentre nel 2006 erano scesi a 32. Rimanendo in Francia, anche Parigi ha scelto di rallentare: da fine agosto 2021 sulla grande maggioranza delle strade della capitale francese tutti i veicoli non possono superare i 30 km/h; i 50 km/h resistono solo sui principali assi stradali. Inoltre, gli Champs Elysèes stanno riducendo le corsie riservate alle auto da dieci a quattro, e Rue de Rivoli, che aveva quattro corsie veicolari, adesso ne ha una sola affiancata da una pista ciclabile e dalle corsie per il trasporto pubblico. Si tratta di una scelta fortemente voluta dal sindaco della Ville Lumière Anne Hidalgo, che negli ultimi anni ha avviato una sorta di rivoluzione nelle strade della capitale francese in direzione di una mobilità slow. L’obiettivo principale della giunta guidata dalla Hidalgo è quello di ridurre il numero di incidenti gravi e mortali causati dall’alta velocità e migliorare così la sicurezza dei pedoni, incentivando le forme di mobilità alternative. Inoltre, la creazione della nuova zona 30 aiuterà anche a diminuire il rumore causato dal traffico cittadino. Il provvedimento rientra in un piano di più ampio respiro promosso dal sindaco, che ha già incluso l’espansione delle piste ciclabili e prevede il dimezzamento dei posti di parcheggio disponibili in città. L’entrata in vigore del limite dei 30 km/h ha portato, nella capitale francese, a reazioni contrapposte e contrastanti. La gran parte dei parigini sembra apprezzare la decisione del sindaco, ma non tutti sono di questo parere. La misura, infatti, non è vista di buon occhio da chi vive in periferia e fuori dal centro cittadino e, per lavoro, raggiunge il centro della capitale francese in auto. Questi cittadini sostengono, infatti, che il limite di 30 chilometri orari potrebbe tradursi in più traffico, più ingorghi e più tempo passato in coda. Al loro fianco si sono schierati anche rider e tassisti. I primi sottolineano come le loro consegne subiranno inevitabili ritardi; i secondi, invece, fanno notare come il maggior tempo passato in strada avrà inevitabili effetti sul costo delle corse. Oltre ad un presunto maggior numero di ingorghi c’è un altro fattore che, secondo alcuni osservatori, inciderà sulla qualità di vita ovvero il fatto che i motori endotermici in uso hanno un miglior rendimento ad alte velocità: il rischio, quindi, è che “Parigi zona 30” faccia aumentare le emissioni di Co2 nell’atmosfera, andando così a peggiorare la qualità dell’aria. Anche altre città francesi come Grenoble, Lille, Nantes, Bordeaux, Strasburgo e Tolosa hanno puntato negli anni sulle zone 30.
In Spagna, la prima città ad adottare le zone 30 è stata Bilbao nel 2020, coprendo l’87% delle strade. Si tratta di un traguardo storico che fa della città spagnola la prima al mondo ad aver esteso un criterio così stringente sulla quasi totalità della superficie urbana. La misura è stata presa per rendere più sicura la mobilità e fare di Bilbao una città più sostenibile, pacifica ed umana. Stando ai numeri con questa scelta, applicata negli ultimi mesi in maniera graduale dall’amministrazione, la velocità media dei veicoli è scesa del 5%. L’altro punto di forza che ha permesso a Bilbao di convertire quasi tutta la città in zona 30 è rappresentato dall’affidabilità del trasporto pubblico locale, utilizzato d’abitudine da un residente su quattro; anche durante il Covid non è stato registrato un crollo nel suo utilizzo. Quest’abitudine all’uso del trasporto pubblico si riflette anche su un altro comportamento che ha contribuito ad una rapida accettazione delle zone 30: appena l’11% dei residenti utilizza abitualmente l’auto privata in città. Anche Barcellona si è mossa nella direzione di un rallentamento del traffico veicolare, con l’intenzione di diminuirlo. Già nel 2016, infatti, sono stati creati dei superquartieri, vietati ai veicoli a motore o almeno con forti limitazioni al loro accesso. Servizi pubblici come asili, scuole, centri sportivi, librerie e case di riposo sono raggiungibili quasi esclusivamente a piedi e alcuni di essi vengono rinnovati o ricostruiti. È inoltre in programma una strategia di piantumazione e di creazione di nuove zone verdi, tutte opportunamente segnalate dall’applicazione cool walks che aiuta pedoni e ciclisti a trovare i percorsi più ombreggiati. In Galizia, regione nel nordovest della Spagna, la città di Pontevedra, che conta oltre 80mila residenti, si è spinta ancora oltre: ha iniziato a restringere lo spazio per le automobili da inizio millennio, inaugurando molte zone 30 km/h, e attuando una massiccia politica di pedonalizzazione che ha restituito 300mila metri quadrati agli utenti di forme alternative di mobilità. I risultati sono stati il crollo del 95% dei livelli di inquinamento e il miglioramento della qualità della vita, testimoniato anche dagli 8mila nuovi abitanti che il comune è riuscito ad attrarre. Rifacendosi anche a queste esperienze, a maggio 2021 il governo spagnolo ha emanato una normativa nazionale che limita a 30 km/h la velocità nei centri abitati: secondo le stime pubblicate dalla Dirección General de Tráfico, l’introduzione di questa novità del codice della strada interesserà quasi il 90% delle strade urbane. Inoltre, il limite da 30 km/h è sceso addirittura a 20 km/h nei casi in cui si circoli con permesso in una zona pedonale. Sono previste multe fino a 100 euro per chi supera i 30 all’ora, ma le sanzioni possono spingersi anche a 600 euro per chi va oltre i 70 km/h.
Anche nei Paesi Bassi, in Germania, in Danimarca, in Belgio e in Svizzera ci sono numerosi esempi di zone 30 km/h: a Bruxelles, per esempio, il limite è in vigore dallo scorso gennaio; l’amministrazione prevede di chiudere l’anno con una riduzione del numero di morti e feriti gravi del 50%, mentre è già verificabile il calo del rumore e dell’inquinamento. In Olanda, il limite dei 30 km/h è in vigore da fine 2020 su tutte le strade urbane presenti nel Paese, cioè nelle aree edificate e residenziali: fanno eccezione solo le strade a scorrimento e le arterie viarie per entrare e uscire dalle aree urbanizzate. In Germania, sono oltre 260 i comuni che si sono uniti per chiedere l’attivazione di zone 30 sui loro territori, che spetta al governo federale. Anche la Svizzera rallenta: dal prossimo anno diventerà più semplice istituire nuove zone 30. Il Consiglio federale ha infatti modificato alcune ordinanze cosicché le autorità locali non dovranno più redigere un’analisi tecnica per disporre zone 30 km/h su strade non destinate prevalentemente al traffico veicolare e potranno istituire questi limiti anche per migliorare la qualità di vita dei residenti.
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