Oggi per la Pa è sempre più importante andare incontro ai bisogni del cittadino, abituato ad avere un accesso semplice e rapido a diversi tipi di servizi privati. Questo processo non può prescindere dalla transizione digitale, le cui direttrici sono state indicate nel Piano Triennale per l’informatica nella Pubblica amministrazione e ribadite nel capitolo del Pnrr “Italia Digitale 2026”. Fra le linee guida spiccano il digital & mobile first per i servizi e la loro inclusività e accessibilità, il cloud first, l’interoperabilità, la sicurezza e la privacy fin dalla progettazione, i prodotti e servizi user-centric, che mettono cioè al centro le esigenze degli utilizzatori. E ancora, il miglioramento continuo dei servizi digitali basato sull’esperienza degli utenti e la misurazione di prestazioni e utilizzo, il concetto di once-only, ossia il fatto che i dati una volta forniti a un’amministrazione diventino patrimonio condiviso di tutta la Pa e non debbano più essere richiesti. Di tutto questo fa parte anche la citizen experience, concetto mutuato dalla customer experience del settore privato. A cambiare non è semplicemente una lettera: ci sono differenze anche nell’approccio. La customer experience esiste da 15 anni nelle aziende, anche se spesso la si confonde con il customer service o la customer satisfaction. E proprio da 15 anni a questa parte la società, in maniera progressiva, si è profondamente digitalizzata: l’ultimo momento chiave in questo senso è stata la pandemia. Oggi tutti gli aspetti della vita si confrontano con la trasformazione digitale, alcuni analisti considerano la nostra addirittura una società post digitale. I social e le piattaforme e-commerce hanno abituato il cittadino ad un’offerta sempre più personalizzata e omnicanale, aumentando le loro aspettative di un’esperienza digitale innovativa, semplice, rapida e coerente. É quello che il cittadino si aspetta sempre più anche quando si interfaccia con una Pa. Un’esigenza crescente che richiede soluzioni IT integrate e processi interni consolidati, spesso mediante l’utilizzo di piattaforme di experience management che rendono la gestione interna più uniforme e semplificano l’accesso alle risorse da qualsiasi dispositivo. Ad esempio, se un cittadino inizia a compilare un modulo online e poi volesse continuare dal cellulare, dovrebbe poterlo fare senza ricominciare da capo.
Per quanto riguarda il settore privato, secondo l’osservatorio Omnichannel customer experience del Politecnico di Milano, nel 2022 addirittura il 98% di chi vive un’esperienza interamente omnicanale si dichiara pienamente soddisfatto. Dal punto di vista delle aziende questo significa non poter più pensare di costruire recinti in cui tenere fermi i clienti, perché non farebbero che rivolgersi ad un altro fornitore. Quindi diventa fondamentale fare customer experience: un’azienda deve riuscire ad entrare nella sfera personale del cliente, capendone i bisogni e riuscendo a soddisfarli. Per poter fare questo le aziende devono utilizzare l’empatia e riorganizzarsi attorno ai bisogni dei clienti. Ma in Europa solo il 6% delle aziende ha raggiunto un livello soddisfacente in questo senso.
In modo analogo, la Pubblica amministrazione ha bisogno di soddisfare le esigenze dei cittadini, tradizionalmente propensi a considerare la qualità dei servizi pubblici non proprio eccellente. É questo l’arduo compito della citizen experience in Italia. Va innanzitutto sottolineato che cliente e cittadino sono la stessa persona e che se uno si abitua ad un certo tipo di servizio nel privato lo vuole anche nel pubblico. Pensiamo, per esempio, alle nuove generazioni, che un certo tipo di complicazioni del servizio nella Pa proprio non le capiscono e non le accettano. Va anche detto, però, che su certi aspetti la cultura della Pa è più avanti rispetto a quella aziendale. Per esempio, il primo ambito in cui deve intervenire chi si occupa di customer experience è la costruzione di una visione del cliente, cioè la visione che l’azienda vuole avere di sé stessa agli occhi dei suoi interlocutori. Lo stesso vale per la Pa e la citizen experience. A livello privato é difficile portare avanti questo tipo di trasformazione perché esistono due spinte diverse: da un lato le aziende, e in particolare i settori marketing, si concentrano su che cosa vogliono vendere e con quali strategie, dall’altro chi si occupa di customer experience, si chiede che cosa l’azienda voglia rappresentare per i clienti. Invece, nel settore pubblico, è il livello politico a farsi interprete della visione del cittadino, che però da sola non basta: deve diventare operativa. Deve essere, cioè, accompagnata dalla volontà di riorganizzare la struttura intorno ai bisogni dei cittadini, e questo punto potrebbe non essere condiviso nelle Pa. Nel settore pubblico, infatti, non c’è concorrenza: se un cittadino ha bisogno di un documento da una Pa, in genere, non può richiederlo ad un’altra. Ma la riorganizzazione è necessaria e va condivisa all’interno della struttura, azienda o Pa che sia.
Ci sono poi cinque competenze che sono il cuore della customer così come della citizen experience: la capacità di comprensione dei bisogni del cliente o del cittadino, che comprende il dotarsi della competenza per farlo; l’individuazione delle priorità; l’accountability, ovvero assumersi le responsabilità delle proprie scelte; la capacità di dimostrare i risultati ottenuti, dotandosi di strumenti di misurazione; e la capacità di disegnare percorsi, cioè fare il cosiddetto customer o citizen journey mapping. Un altro aspetto in cui la Pa è avvantaggiata rispetto alle aziende private è il design: a livello privato, quando si fa il customer journey mapping, si disegnano delle mappe che delineano le azioni del cliente – ad esempio se vuole un mutuo andrà in banca, parlerà con il direttore e così via. In questa fase le aziende tendono a considerare come soggetto non più il cliente in sé, ma la loro capacità di rispondere alla sua richiesta e vendere il prodotto. Nelle Pa, invece, c’è una cultura diversa per cui si capisce che la vita del cittadino esiste oltre i punti di contatto con l’organizzazione: ad esempio, se una coppia vuole comprare una seconda abitazione in campagna non andrà solo in banca, ma magari parlerà con gli amici, andrà a vedere alcune case e così via. Questo è un journey mapping che mette al centro la persona. Chi lavora nelle Pa, soprattutto ad alti livelli, dovrebbe utilizzare le cinque competenze di cui sopra per effettuare la trasformazione richiesta dalla società, mettendo il cittadino e i suoi bisogni al centro e creando una relazione umana tra persona e strutture. Non va dimenticato, infatti, che un’organizzazione è fatta di persone, ma anche di regole, funzioni e processi che non necessariamente esprimono umanità: anche su quelli bisogna lavorare.
Già da tempo l’Istat offre anche servizi digitali per i cittadini, che sono parte delle attività dell’istituto perché vengono coinvolti in indagini statistiche. Fino a qualche tempo fa l’interazione tra cittadini e Istat avveniva con un certo numero di servizi, ognuno dei quali era gestito internamente da persone diverse, e attraverso diversi canali di contatto: si trattava quindi di servizi frammentati dal punto di vista delle modalità di contatto e dell’erogazione, con livelli di supporto non uniformi. Ciò significava che la complessità dell’istituto si rifletteva nell’esperienza del cittadino. In ottica di Citizen Experience l’istituto ha deciso di ripensare questo approccio. “L’idea era quella di passare da un’erogazione di servizi basata su quello che l’istituto era, ad una che ponesse il cittadino al centro dell’attenzione, intercettandone bisogni ed esigenze” spiega ad Innovazione Pa – Rosa Elia, curatrice del progetto -, soddisfacendole senza dover ricorrere a diverse modalità di contatto. Volevamo quindi unificare l’immagine istituzionale di Istat, rendendola unica sia per chi richiede dati che per chi viene contattato per un’indagine”. Si tratta di un cambiamento profondo e sostanziale. “Quello che mi preme sottolineare” continua Rosa Elia, “è il radicale cambio di ottica nella concezione dei servizi, che è la chiave di questo progetto, non solo della parte già realizzata ma anche di quella in divenire”. Questo significa, dal lato interno, ottimizzare e razionalizzare la comunicazione, in modo che i dipendenti possano fornire un servizio migliore anche con un minore carico di lavoro. Da questo cambiamento è scaturita una maggiore facilità di contatto da parte dei cittadini, una maggiore chiarezza nei servizi, risultati più precisi e ottenuti con maggiore rapidità, sempre con attenzione alla privacy. “Questi vantaggi per i cittadini si ribaltano anche all’interno di Istat” prosegue Rosa Elia, “perché per erogare un servizio migliore bisogna riorganizzare i processi interni, semplificando e armonizzando”. Tutto questo cambiamento poggia saldamente su un processo di trasformazione digitale, che comporta, ad esempio, l’uso di multicanali e dell’automazione. La soluzione che Istat ha messo in campo è stato il Punto unico di contatto. “Si tratta di un progetto diviso in due parti” precisa Rosa Elia, “la prima è il Contact Center, in esercizio da marzo 2022, cui i cittadini si rivolgono per chiedere dati, pubblicazioni, ricerche storiche e così via. Tutti servizi che erano già disponibili digitalmente ma venivano erogati in modo diverso e tramite canali differenti”. La seconda parte del progetto, che sarà attiva nel 2024, riguarda invece le rilevazioni statistiche. Il Punto Unico di Contatto è pensato, quindi, come una piattaforma a cui il cittadino si rivolge sia se sta cercando dei servizi Istat sia se deve contribuire al lavoro dell’istituto, per esempio partecipando ad un’indagine. Il Contact Center sfrutta l’intelligenza artificiale per soddisfare le richieste standard degli utenti tramite un chatbot, dando così supporto agli operatori. É anche abilitato all’autenticazione con Spid e Cie, ma solo quando serve veramente perché si è notato che richiederla sempre è un disagio per i cittadini. L’istituto vorrebbe anche introdurre, per i servizi a pagamento, l’integrazione con strumenti come Pago Pa. Inoltre tutti gli operatori hanno una sola consolle e utilizzano strumenti di collaborazione, rendendo così la comunicazione interna più efficace. Un altro punto focale di questo cambiamento di Istat è stata l’assegnazione del numero unico di pubblica utilità, 1510, che rende riconoscibile l’istituto. Va anche ricordato che i numerosi vantaggi del Punto unico di contatto non sono solo frutto di nuove tecnologie e della trasformazione digitale, ma anche della grande esperienza di coloro che fanno questo mestiere da anni e conoscono bene le esigenze dei cittadini, riuscendo ad intercettarle al meglio o addirittura ad anticiparle. Un progetto che punta anche a migliorare i rapporti tra Pa e cittadini, che in Italia non sono proprio idilliaci. “Stiamo cercando di fare molto per migliorare il rapporto tra l’istituto e i cittadini” continua Rosa Elia, “la Citizen Experience è fondamentale perché l’approccio del cittadino nel momento in cui usufruisce di un servizio influenza il suo sentimento nei confronti della Pa. Se si trova ad aver a che fare con servizi non facilmente raggiungibili e comprensibili vuol dire che la Pa coinvolta non ha lavorato bene. L’ottica con cui il Punto unico di contatto è stato pensato è proprio questa: riuscire a porsi nei confronti del cittadino in modo che possa fruire in modo chiaro dei servizi, senza dover fare di più di quello che serve. Un rapporto che nel nostro caso é duplice, da un lato con il cittadino fruitore e dall’altro con il cittadino che partecipa ad un’indagine”. In un progetto di questo tipo è stata poi fondamentale la comunicazione. “La parte già realizzata è relativa al Contact Center” spiega ancora la curatrice del progetto. “Anche prima della messa in esercizio del portale ci sono state comunicazioni sul sito del vecchio Contact, che offriva molti servizi ma era un po’ datato. Avvisavamo che ci sarebbe stata una nuova piattaforma, spiegando che cosa sarebbe cambiato. Questo tramite news e avvisi. C’erano anche attività di supporto, ad esempio abbiamo fatto dei seminari alla conferenza nazionale di statistica, e il nostro direttore ha partecipato a diversi eventi per spiegare ed introdurre il nuovo Contact Center. All’inizio c’è stato qualche momento di disorientamento dovuto all’abitudine dei cittadini ad usare il vecchio sistema, ma ben presto abbiamo cominciato ad avere riscontri positivi da parte di chi usava la piattaforma e anche dai colleghi, che all’inizio erano un po’ diffidenti ma hanno cominciato rapidamente ad apprezzarne i vantaggi e anche a proporre miglioramenti, perché alla fine sono loro quelli che conoscono meglio le aspettative e le difficoltà dell’utenza. Un minimo di resistenza all’inizio c’è stata, quasi subito superata dall’apprezzamento dei benefici e del cambio di mentalità che c’era dietro questa piattaforma”.
Da sempre il Comune di Verona ha investito nell’ambito ICT, dapprima con un ottica di risparmio economico, poi con sempre maggiori risorse, grazie anche al Pnrr. Va sottolineato che Verona è una città importante e turistica ma non metropolitana. Nonostante ciò ha un’esperienza ventennale nell’ambito dei servizi digitali rivolti ai cittadini e in prospettiva anche ai turisti. Già nel 2004 era stato attivato Teseo, portale online che consentiva pagamenti via web. Nel 2010 è stato poi attivato il servizio “Veronese Doc”, per documenti e certificati; nel 2012-2013 sono stati introdotti lo sportello del contribuente e lo sportello zero per i certificati anagrafici online. “Il settore pubblico è sempre stato percepito come autoreferenziale, poco flessibile” dice ad Innovazione Pa Barbara Lavanda, dirigente ICT e trasformazione digitale del Comune di Verona. “Oggi più che mai la Pa ne ha acquisito la consapevolezza, incentivata anche dal legislatore che spinge sul digitale. La soddisfazione dei cittadini e la qualità della Pa dipende soprattutto da quanto il servizio ricevuto risponde alle aspettative. La grande attenzione della Pa sta senz’altro cambiando la visione che ne hanno i cittadini. La citizen experience è il cuore del cambiamento, perché la progettazione di servizi semplici e personalizzabili non può che migliorare l’esperienza e quindi l’opinione dei cittadini. In generale l’obiettivo delle Pa deve essere il miglioramento continuo, raggiungendo sempre più cittadini, oltreché la riduzione dei tempi e la semplificazione”. Tra i servizi innovativi attivati dal Comune di Verona c’è la comunicazione di avvenuta contravvenzione tramite l’app IO (per le violazioni che riguardano le ztl, gli autovelox fissi e le corsie preferenziali riservate ai bus). Il cittadino può fare tutto dall’app, evitando così di pagare le spese di notifica. Un altro servizio in quest’ottica è la comunicazione dell’avvenuta rimozione di un veicolo. La notifica sull’app IO arriva in tempo reale, così il cittadino può contattare l’operatore e capire dove è stato portato il veicolo, pagare il verbale e quindi rientrarne in possesso. I risultati sono stati molto buoni, con oltre il 70% di avvisi ricevuti e subito pagati. Un ulteriore servizio, pensato più che per i cittadini per i professionisti e le aziende dei trasporti pubblici locali, è quello relativo ai lavori che coinvolgono le strade. L’idea è nata dal fatto che a Verona da fine aprile è attivo il più grande cantiere del dopoguerra, che servirà per la realizzazione della filovia. Si tratta di un’opera che interessa il centro e le direttrici ad alto flusso di traffico e altera quindi in maniera consistente la viabilità, causando disagi. Sapere se sono in corso lavori di posa di fibra ottica o cantieri edili è importante: tramite questo servizio si fa una domanda online con lo Spid e viene creata una mappa digitale dell’area di interesse. Questo consente di dare la concessione per le tempistiche necessarie (con la creazione di un qr code a disposizione anche della polizia locale), di conoscere in tempo reale se il pagamento è stato eseguito, ma soprattutto c’è l’obbligo per chi gestisce il cantiere di indicare esattamente la data di conclusione.
Questi progetti hanno richiesto un’intensa attività di comunicazione. “In generale l’approccio alla comunicazione è multicanale, c’è un ufficio stampa che cura i rapporti con i media, un sito web aggiornato, poi, a seconda dei servizi, inviamo anche comunicazioni personalizzate” spiega ancora Barbara Lavanda. “Abbiamo anche constatato che ormai buona parte degli anziani ha competenze digitali: c’è comunque sempre una quota di popolazione non raggiunta dai servizi digitali e in questo senso il Comune è molto orientato all’inclusione. Per questo abbiamo scelto di conservare anche i servizi fisici, come, ad esempio, gli sportelli anagrafici sui territori e nei quartieri, a cui si accede prendendo appuntamento online o con una telefonata. Abbiamo poi anche creato delle palestre digitali, e nei centri comunità per anziani dei diversi quartieri sono attivi corsi di alfabetizzazione digitale”. Riferimento per il Comune di Verona sono le grandi città metropolitane: il capoluogo veneto è infatti la prima città non metropolitana d’Italia come finanziamenti assegnati (ad esempio, 4 milioni per il cloud), ma le strutture e le capacità sono molto diverse da quelle delle metropoli. Sull’app IO il Comune di Verona ha 50 servizi, 44 sono stati attivati grazie al bando Pnrr. Ora l’amministrazione scaligera vuole rinnovare anche il sito comunale, perché con il Pnrr ci sono le risorse, mentre prima c’era solo la volontà. Il nuovo sito sarà open source, e progettato con tecnologia digitale cloud. L’idea è di puntare su servizi user friendly, facili da trovare e da usare per il cittadino. Attualmente il sito è composto da 82mila pagine con quasi un milione e mezzo di visite nel 2022. C’è ancora tanto lavoro da fare sul lato comunicazione, condivisione, formazione e informazione. “Il completo rifacimento del sito web istituzionale è un progetto che ci impegnerà per un anno” spiega ancora la dirigente, “e che riusciremo a realizzare grazie al Pnrr. Abbiamo scelto una piattaforma progettata per gestire con un unico accesso la comunicazione, integrata anche con Spid. L’approccio ai servizi sarà completamente orientato al cittadino, e sarà accompagnato da un’attività di comunicazione molto spinta, dalla rilevazione della soddisfazione e dal coinvolgimento attivo dei cittadini. Inoltre, Verona è stata tra i primi Comuni ad introdurre la digitalizzazione delle comunicazioni a valore legale”. Progetti di questo tipo comportano anche inevitabilmente delle criticità, soprattutto la scarsità di risorse umane, la difficoltà nel reclutarne di nuove e nel trovare le competenze specifiche. Criticità che però vanno affrontate perché le risorse economiche messe a disposizione dal Pnrr sono importanti, ma i tempi sono molto ristretti e se non si raggiunge un obiettivo, o lo si raggiunge solo in parte, si rischia di perdere l’intero finanziamento. I cittadini e impiegati del Comune di Verona si sono dimostrati entusiasti dei progetti di citizen experience. “Il riscontro che abbiamo avuto è stato molto positivo” afferma Barbara Lavanda, “c’è una richiesta sempre maggiore di questo tipo di servizi, anche da parte degli operatori comunali. Riceviamo proposte sia dall’esterno che dall’interno del Comune. Stiamo investendo molto in formazione del personale per accrescerne la cultura digitale. Questo perché la consapevolezza è il motore della digitalizzazione. Da parte dei cittadini c’è interesse a collaborare nello sviluppo di nuovi servizi, sarà nostra cura ampliare il loro coinvolgimento diretto, tramite, ad esempio, le sopracitate palestre digitali”.
Gli studi dimostrano che la Pa sta affrontando un percorso che la porterà verso un’integrazione orizzontale tra le sue diverse articolazioni. Dovrà quindi adottare modelli di governance collaborativa. Si tratta di un percorso partito negli anni 2000 spinto dalla necessità di ripensare i servizi in ottica user center, con la Pa invitata ad aprirsi e ad intraprendere pratiche di open government. Ma questo non basta per affrontare le sfide della Citizen Experience, spiegano da Sogei, perché oggi la Pa si sviluppa prevalentemente a silos verticali, per cui ciascuna delle sue articolazioni si occupa solo di determinati argomenti. Le pubbliche amministrazioni devono quindi fare rete, condividere e interoperare. Altrimenti non potremo definire l’Italia un paese digitale. A dir la verità, anche a livello europeo, sono pochi i paesi che possono affermare di avere un vero digital government, con servizi user driven, in cui, cioè, sono gli utenti a guidare lo sviluppo dei servizi stessi. Quando si pensa ad un servizio si pensa ad una relazione tra azienda o Pa e relativo utente, in cui c’è un erogatore e un fruitore che a volte può dare un feedback sul servizio ricevuto, ma il servizio pubblico è complesso, sia perché é regolato da norme sia perché deve coordinarsi con altri enti. Deve inoltre essere accessibile in qualunque momento e in qualsiasi posto, anche da dispositivi mobili. Ne consegue che il modo in cui un servizio è pensato ha un impatto su come viene progettato e successivamente manutenuto. Se il servizio viene definito dal punto di vista dell’ente spesso si usano parole che i cittadini capiscono poco. Nel percorso verso una Pa orizzontale si deve, invece, vedere quel servizio dal punto di vista dell’utente, inserendolo nei suoi momenti di vita. Si deve, quindi, pensare il servizio non più come una transazione singola ma come un’esperienza, in cui gli attori che partecipano devono essere interconnessi. Il servizio, inoltre, deve essere concepito in modo phygital (cioè ibrido, che unisca la dimensione fisica a quella digitale), perché non basta pensare al digitale come una versione online del fisico. Per procedere in questo cambiamento è necessaria l’interoperabilità: non solo quella tecnica, ma anche quella organizzativa e semantica: cittadini, Pa e imprese devono co-progettare servizi user driven, e devono essere utilizzati modelli di dati condivisi per razionalizzare ed uniformare le informazioni.
Non sono solo i cittadini ad avere difficoltà con la Pa, ma anche le imprese. Per questo Unioncamere ha promosso la realizzazione del servizio di collegamento delle imprese alla Pdnd (Piattaforma digitale nazionale dati), che abilita l’intero perabilità dei sistemi informativi degli enti pubblici rendendo concreto il principio “once-only” – così come i cittadini, anche le imprese dovranno fornire i loro dati alla Pa una volta per tutte. L’interconnessione coinvolge le banche dati di Inps, Inail, Agenzia delle Entrate e Agenzia delle Entrate Riscossione e riguarda la Piattaforma composizione negoziata della crisi d’impresa di Unioncamere. Attraverso il servizio di collegamento, gli esperti incaricati di individuare, insieme all’imprenditore, possibili soluzioni alla crisi d’impresa avranno a disposizione un sistema rapido e sicuro per acquisire le informazioni sulla posizione debitoria dell’impresa sotto il profilo tributario, contributivo e assicurativo: un protocollo di interoperabilità completamente automatizzato attivato su esplicita autorizzazione del legale rappresentante.
La gestione della composizione negoziata della crisi è anche uno dei primissimi casi di utilizzo della Pdnd. In poco più di tre mesi è stata portata a termine un’integrazione molto complessa che ha coinvolto anche il dipartimento per la Trasformazione digitale, la Cabina di regia Pnrr della Presidenza del Consiglio dei ministri e l’Unità di gestione Pnrr del ministero della Giustizia. La piena interoperabilità tra la piattaforma di Unioncamere e le banche dati degli enti pubblici si muove nella direzione della semplificazione, accelerando le attività di tutti i soggetti impegnati nel processo di soluzione della crisi. Ma il progetto, oltre a semplificare il dialogo fra imprese e Pa, va oltre. Nel la seconda parte del 2023, infatti, anche il Cassetto digitale dell’imprenditore impresa.italia.it sarà arricchito con nuove funzionalità, per consentire al legale rappresentante di accedere ai dati certificati della propria impresa, gestiti dalle Pa collegate alla Pdnd.
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