Quando per più giorni consecutivi si registrano temperature estremamente elevate, spesso associati a tassi elevati di umidità, forte irraggiamento solare e assenza di ventilazione, si può parlare di ondate di calore senza rischiare di essere additati come allarmisti. Non esiste una soglia di rischio fissata e universale, superata la quale far scattare questa definizione: dipende dalle condizioni climatiche di una specifica città, dalla sua latitudine, ma non solo.
Per provare a prevedere questo fenomeno, si può far riferimento al Sistema nazionale di previsione e allarme. Nei periodi in cui si verifica, è più alta la probabilità che si creino isole di calore urbano (UHI). Nulla centra con le isole: si resta in città e accade che le temperature siano molto diverse da quelle registrabili nelle aree rurali attorno a causa dell’eccesso di calore emesso e del guadagno solare intrappolato dall’ambiente urbanizzato. Non aiuta poi il fatto che le città siano di solito più coperte da superfici impermeabili, che amplificano il caldo e l’effetto UHI già esistente.
Di ondate e di isole, di calore, se ne sente parlare ogni estate, sia a vanvera che con cognizione di causa. È quindi importante averne ben chiara la natura, per non inciampare in tentativi di procurato allarme, ma reagire con piglio intraprendente, comprendendo in che direzione muoversi. La migliore soluzione, quella verso cui molte città si stanno incamminando, è quella delle Nature-based solutions, soluzioni definite dalla stessa Unione Europea come risposte alle sfide sociali ispirate e sostenute dalla natura, economicamente efficaci e in grado di fornire simultaneamente benefici ambientali, sociali ed economici e aiutando a costruire la resilienza.
Foreste in città: slogan o soluzione?
Nel corposo elenco di opzioni ripara o mitiga danni che la natura propone a chi la ascolta, ci sono anche le foreste urbane. Per la mitigazione delle isole di calore che caratterizzano le città moderne sono tra i più gettonati rimedi, e danno buoni risultati in generale su tutto ciò che concerne la crisi climatica.
Per prima cosa favoriscono il raffreddamento, sia fornendo ombra, come intuibile, sia attraverso l’evapotraspirazione, processo con cui le loro foglie rilasciano nell’atmosfera acqua, che, per evaporare, preleva una parte dell’energia termica dell’aria circostante, riducendo il calore alla base delle isole di calore. Con il loro fogliame, le foreste urbane rappresentano anche una valida protezione dai raggi ultravioletti del sole.
Maria Chiara Pastore, architetto e docente del Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico, le definisce letteralmente “un formidabile alleato per migliorare la qualità dell’aria e della vita in città, influendo sulle isole di calore, sulla concentrazione di CO2 e sul drenaggio acqua, come sulla quantità di ombra e sulle temperature”. Esistono benefici anche in chiave di conservazione della biodiversità. La strategia 2030 dell’UE a riguardo incoraggia esplicitamente la creazione di infrastrutture verdi biodiverse e accessibili nelle città, spazi importanti per ospitare creature che non avrebbero modo di vivere in ambiti urbani senza verde. Spazi importanti anche per ridurre il rumore, migliorando i livelli di benessere e di salute dei residenti.
Anche in veste di Direttrice Scientifica di ForestaMI, progetto di comunità, con il coinvolgimento di Fondazione Cariplo e Fondazione di Comunità di Milano, Pastore ricorda che le comunità locali usano lo spazio verde per l’esercizio fisico e le interazioni sociali nonché per il rilassamento e il ripristino mentale. “La presenza di spazi spinge le persone a un maggiore movimento, riduce il rischio di malattie cardiovascolari e ci incoraggia a stare più tempo all’aria fresca, esigenza che sempre più persone sentono, soprattutto dopo il periodo della pandemia” spiega.
Le foreste cittadine sembra impattino anche sulla salute dei bambini in grembo, sulla qualità dell’invecchiamento e sull’insorgenza della demenza, riducendo la mortalità e la morbilità da malattie croniche nonché l’obesità.
Esistono anche benefici non misurabili con un checkup, ma che riguardano la nostra salute mentale: “meno stress, più benessere e più comfort, e anche una maggiore capacità di concentrazione” sintetizza Pastore. E non è uno slogan, è l’esito di molti studi, tra cui quello del 2023 pubblicato su Lancet. Nello stesso si apprende con amarezza che raddoppiando la copertura arborea urbana nelle città europee, dal 15% al 30%, avremmo potuto salvare oltre 2.600 vite durante l’ondata di caldo estremo del 2015, riducendo il numero di morti di quasi il 40%.
Foreste democratiche
Vivendo, giocando e imparando nel verde, anche se urbano, i bambini che abitano in città possono godere dei benefici che offre la natura sia a livello mentale che fisico. Lo stesso vale per gli anziani che possono vederle come un elisir di lunga vita, oltre che come punto di riferimento anche per la propria vita sociale.
Anche chi ha un’età di mezzo, che sia uomo o donna, ricco o povero, originario della zona, o cittadino d’adozione, ha diritto a uno spazio verde vicino. Intesi come infrastrutture urbane critiche, gli alberi in città sono essenziali per la salute e il benessere pubblico e devono essere equamente distribuiti sul territorio, “non solo in alcuni quartieri, non solo in centro, non solo attorno – spiega Pastore, parlando di “equitable access”. Un’utopia, oggi, se si guarda all’Italia, ma anche all’intero mondo.
Quando si tratta di accesso democratico e di qualità e manutenzione omogenea degli spazi verdi, non c’è area che si salvi da un giudizio pessimo. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ci ha provato, raccomandando di fare in modo che tutte le persone risiedano entro 300 metri di spazio verde, ma le raccomandazioni nazionali e locali variano e quasi mai esiste una vera e propria linea guida dedicata all’accesso per specifici gruppi vulnerabili. Suggerimenti e consigli non mancano, anzi, diamo i numeri, si direbbe, ma poi non li applichiamo nel concreto. C’è lo standard Accessible Natural Greenspace stabilito da Natural England (2010) che raccomanda almeno 2 ettari di spazio verde a cui accedere entro 300 metri dalla propria casa. C’è la regola del “3-30-300” proposta dall’ecologo forestale Cecil Konijnendijk secondo cui tutti dovrebbero essere in grado di vedere almeno tre alberi dalla propria casa, ogni quartiere dovrebbe avere almeno il 30% di copertura per alberi e le persone dovrebbero raggiungere un’area verde di 1 ettaro entro 300 metri. Per passare dalla teoria alla pratica, però, serve un’azione mirata senza la quale difficilmente vedremo ridursi le disuguaglianze nell’accesso a spazi verdi di alta qualità.
Dove vige il diritto di foresta
Pur sforzandosi di essere un modello per i diritti umani nel mondo, l’Europa quando si tratta di spazi verdi non si dimostra attenta a garantirne di uguali a tutti. Le città del nord e dell’ovest dell’Europa hanno più verde in totale al loro interno rispetto alle città dell’Europa meridionale e orientale. Non sempre sono aree accessibili al pubblico, dipende dalla posizione e dalle caratteristiche delle singole zone. Se poi si guarda all’interno delle singole città, il grado di inverdimento dipende fortemente dai quartieri: la qualità crolla nelle aree dove vivono persone di status socio-economico inferiore oppure in quelle con un’alta percentuale di immigrati e minoranze etniche. Tutti esempi di categorie che hanno meno accesso a spazi verdi di alta qualità, a Oslo ma, senza andare troppo lontano, anche a Torino, in Italia.
Le differenze sono ovunque, se si guardano i numeri riportati dall’Europa, ma non sono sempre le stesse: dipendono in modo specifico dalla posizione, dalla pianificazione urbana e dalle politiche abitative. Questo significa che esistono anche buone pratiche a cui guardare per provare a migliorare la distribuzione del verde nella propria area. La città di Berlino utilizza il principio di giustizia ambientale nella sua pianificazione, intenzionalmente e proprio per evitare l’accumulo di molteplici problemi ambientali e sociali in quartieri specifici. Vienna la segue a ruota ma con la propria ricetta: l’integrazione dello spazio verde nella pianificazione degli alloggi sociali. Seguono altri esempi come Anversa, Augustenborg e Lindängen, città meno note ma che, non per questo, non hanno da insegnarci come l’edilizia sociale possa diventare più verde. E poi c’è Tallin, che ha realizzato dei giardini terapeutici per dimostrare come si possa facilitare l’inclusione delle persone con disabilità, anche nei boschi urbani. Lo stesso può valere per altri gruppi vulnerabili, come gli anziani con mobilità ridotta che spesso non possono utilizzare gli spazi verdi urbani a causa della mancanza di posti a sedere, servizi igienici o fontane. E poi c’è il fattore sicurezza: quante volte si sente dire che in un certo parchetto è meglio non andare a passeggiare da soli? Peccato, è così bello abbandonarsi al proprio passo in un’area verde, ma non tutti a volte si sentono al sicuro.
I problemi di equitable access non sono solo europei, ma mondiali. Sicuramente non mancano negli Stati Uniti dove l’organizzazione American Forests ha scoperto che i quartieri a maggioranza nera hanno in media una copertura arborea inferiore del 33% rispetto a quelli con maggioranza bianca, e che i quartieri con i più alti tassi di povertà hanno una copertura arborea inferiore del 41% rispetto alle comunità più ricche. La stessa ha quindi creato uno strumento di valutazione dell’equità arborea, il Tree Equity Score, per aiutare ad affrontare le dannose disuguaglianze ambientali dando priorità agli investimenti incentrati sull’uomo nelle aree con le maggiori necessità (https://www.treeequityscore.org/).
Verde in città fuori confine
Possiamo restare negli Stati Uniti e partire da lì per un giro di soluzioni intelligenti e ispiranti per l’aumento di aree verdi urbane, fatto in modo creativo e più equo possibile. La città di New York ci lavora da anni, almeno dal 2007 quando è stata lanciata dall’allora sindaco Michael Bloomberg la campagna MillionTreesNYC con l’obiettivo di piantare un milione di alberi in dieci anni. Raggiunto quello, anche in anticipo, la città ha da poco avviato la realizzazione di una “foresta tascabile”, importando questo format dall’Asia. Nello specifico dal Giappone, perché si tratta di un’invenzione del botanico giapponese Akira Miyawaki. La sua teoria, e la sua pratica, è quella di piantare alberi e arbusti densi, dotati di una crescita rapida, per ripristinare un habitat naturale in mezzo agli insediamenti fortemente cementificati. A New York lo si sta facendo da qualche mese all’estremità meridionale dell’isola di Roosevelt, nell’East River, a Manhattan. Si prevede in totale di inserire più di 1.000 piante autoctone su un terreno di 2.700 piedi quadrati, a beneficio della biodiversità e a contrasto delle inondazioni e delle mareggiate, sperando che le loro radici stabilizzino la terra e le loro chiome verdi abbassino le temperature e le concentrazioni di CO2, contribuendo a ridurre l’impatto della crisi climatica e a favorire il ritorno sul territorio di uccelli e insetti fuggiti anni fa dal caos cittadino.
Città di relazioni e di persone, Barcellona sta letteralmente creando dei corridoi verdi lungo il suo affascinante reticolato centrale, piantando alberi e fiori al posto delle auto. Per favorire la mobilità attiva e l’adattamento ai cambiamenti climatici mira a passare dall’1% al 12% di vegetazione lungo queste strade, piantandovi 400 alberi e oltre 8.000 mq di specie arbustive. Le macchine qui non sono benvenute: l’accesso sarà limitato ai residenti e ai veicoli di servizio per emergenza o carico e scarico. Si tratta di un processo lungo e complesso ma inesorabile e già in atto: Barcellona vuole diventare sempre più verde e sempre meno calda, e ha scelto di farlo minimizzando le aree pavimentate e addirittura eliminando l’asfalto, per dare spazio a sempre più alberi, ai pedoni e alle biciclette. Questi corridoi verdi spagnoli, man mano sono destinati a diventare sempre più numerosi e renderanno la città una superficie traspirante, grazie alla presenza delle tradizionali piastrelle di Barcellona, le “Flor de Barcelona” o in catalano “Panot de Flor”. Queste mattonelle di cemento 20 cm x 20 cm, con il loro prezioso disegno a petali, riducono le necessità di manutenzione stradale, mostrandosi anche molto resistenti e facilmente sostituibili.
Un intervento pervasivo e per ora efficace, tanto quanto originale e ben accolto si è mostrato quello di Parigi. La capitale francese ha adottato da tempo una strategia di verde estremamente partecipativa, includendo anche la pratica retrofitting, quella di riaggiornare quello che già c’è in nuova ottica. Nello specifico, in architettura e urbanistica si intende la rigenerazione del tessuto edilizio e delle opere esistenti ripensandole e ridisegnandole, per aumentarne il valore di mercato, rielaborandone gli elementi per rispondere a esigenze contemporanee di utenti e committenza, sia in termini spaziali che funzionali. Negli scorsi anni ha portato il verde sulle pareti e sui tetti, spingendo molto su iniziative di inverdimento di edifici privati. Con il progetto collettivo “Végétalisons Paris” ha lanciato una piattaforma per coinvolgere e connettere privati, associazioni, aziende, condomini e supportarli nello sviluppo di nuovi spazi verdi, permettendo a tutti i partecipanti di condividere best practices e informazioni e richiedere assistenza, consigli, tutorship. Un esperimento di successo che ha trasformato Parigi metro quadro per metro quadro nel tempo ma in modo diffuso, grazie all’introduzione di alberi, all’allestimento di pavimentazioni erbose, alla vegetalizzazione dei marciapiedi e alla creazione di pareti verdi rampicanti, un aiuto concreto anche alla biodiversità in città. Non è rimasta però con il naso all’insù: Parigi ha creato anche numerose “rue végétales” con zero traffico facendo un appello ai cittadini per far fiorire aiuole, vasi e spazi verdi sui marciapiedi e nelle piazze, in ogni area possibile, dando spazio al verde anche sui propri balconi. Il Comune parigino ha creato un vero e proprio iter ufficiale di autorizzazione per un periodo di 3 anni a realizzare e mantenere uno o più spazi verdi, nel rispetto della Carta per la vegetalizzazione dello spazio pubblico. Tutto ciò si unisce all’iniziativa “un arbre dans mon jardin”: per incoraggiare i cittadini a vivere nel verde anche a casa propria, sono stati regalati alberi a tutti coloro che si dicevano intenzionati a prendersene cura, in cortili ma anche su terrazzi o tetti, da zero o sostituendo alberi caduti. L’importante era ed è contribuire ad aumentare il patrimonio forestale della città.
Anche in Italia, si coltivano progetti
Grazie al sensibile e attento sguardo di Pastore, oltre ad esempi internazionali, possiamo volgere lo sguardo alla nostra Italia senza scoraggiarci. E senza pensare che da noi certe cose non si riescono a fare. Padova e Prato, sono due città che mettono a tacere tutti coloro a cui piace stare con le mani in mano a coltivare sogni nei sogni, parlando di ambientalismo e sostenendo che le norme, la burocrazia, il territorio o quant’altro sono proibitive.
Nulla e nessuno hanno proibito a Prato di lanciare “Prato Urban Jungle” per rinnovare i distretti con maggiore criticità sociale, produttiva e ambientale, in modo sostenibile e inclusivo sviluppando aree ad alta densità di verde. Vere e proprie “giungle urbane” strategicamente integrate nel paesaggio cittadino, per abbattere le sostanze inquinanti e restituire alle persone il territorio in cui abitano. Particolarmente apprezzabile l’attenzione posta alle aree di marginalità che sono diventate hot spot di verde e benessere, un riferimento per tutti.
Queste zone non sono state calate dall’alto, sono frutto di progetti di co-creazione grazie a una strategia di pianificazione urbana condivisa, facilitata dall’uso di “Prato Forest City”. Questa piattaforma digitale ha dato spazio alla comunità cittadina, permettendo a tutti di dire la propria, a fare la propria parte, a includere e auto-includersi nel futuro di Prato. Un modello di governance innovativo e coraggioso che è stato premiato, dall’Europa ma soprattutto dalle persone.
Nel caso di Padova, abbiamo un esempio di città che progetta e pensa a lungo termine, con un piano del verde che tutte quelle sopra i 20.000 abitanti dovrebbero avere secondo l’Unione Europea, ma che solo 12 sopra i 50.000 per ora hanno. Questo strumento non è uno dei tanti documenti che si emettono tanto per, può essere un potente mezzo per cambiare il destino del proprio territorio. Padova sta mostrando giorno dopo giorno che si può fare: lo ha usato per definire i principi e i criteri per la realizzazione di aree verdi nella futura pianificazione urbanistica della città e ora la sta realizzando.
Un piano regolatore del verde pubblico, unito all Piano di Assetto del Territorio, al Piano degli Interventi, al Piano d’azione per l’energia sostenibile e il clima e al Piano di adattamento ai cambiamenti climatici, permette di conoscere, censire, valorizzare, tutelare e progettare le presenza di alberi e vegetazione nella città con un orizzonte temporale pluridecennale. Pensare e pianificare, ragionare a lungo termine è oggi più che mai importante per non agire sempre e solo sull’onda dell’emergenza, climatica o di altro tipo. Creare le condizioni di contesto urbane, culturali e normative affinché il verde urbano diventi sempre di più un affidabile alleato è un lavoro lungo ma possibile. Richiede volontà e capacità di fare rete e la presenza di esperti, meglio se – come a Padova – uniti in un comitato specifico sullo sviluppo urbano che detti le linee guida di un piano sensato. Un piano partecipato e condiviso con i cittadini intesi come singoli ma anche associazioni di categoria, ordini professionali, operatori economici del settore verde e turismo, associazioni ambientaliste. Nessuno deve essere escluso o discriminato e si deve partire esaminando l’infrastruttura e il verde esistente con onesto realismo, per pensare ad una strategia complessiva per il futuro che sia davvero trasformativa e contribuisca alla qualità della vita degli abitanti apportando valore sociale, estetico, culturale, ambientale, ecologico ed economico. Mentre la implementa, Padova sta realizzando anche molte iniziative di sensibilizzazione ed educazione ambientale, per far crescere consapevolezza diffusa anche nelle giovani generazioni che potranno portare avanti quanto iniziato qualche anno fa. La piantumazione di nuovi alberi e operazioni di de-impermeabilizzazione del suolo e tante altre micro strategie focalizzate sulla visione di città spugna, per migliorare la gestione delle acque superficiali e delle superfici impermeabili. Una priorità, per Padova, che non ha però tolto spazio a iniziative a favore della biodiversità come la realizzazione di corridoi ecologici e di aree per l’agricoltura urbana, verde di prossimità e una città a misura di cittadino, con tanto di itinerari culturali attraverso il sistema dei canali e dei fiumi navigabili.
Luce verde in ogni sfida
Essere una città più verde, creare boschi urbani e altri progetti dello stesso colore, non è semplice ma possibile. Uno degli aspetti che può mettere in difficoltà è la crisi climatica, ma serve insistere perché una maggiore quota di alberi in città può mitigarne gli effetti, ma Maria Chiara Pastore fa giustamente notare che la forte incertezza rispetto al futuro climatico non aiuta. “Ci sono città che alcuni mesi devono gestire la siccità e, improvvisamente e imprevedibilmente, si possono poi trovare a dover fronteggiare forti piogge. Investire in opere di mitigazione a lungo termine con queste forti variazioni non prevedibili è complesso. A maggior ragione serve realizzare iniziative di squadra, coinvolgendo molti esperti di diverse discipline” spiega. D’altronde “ormai abbiamo asfaltato tutto e perso conoscenza e capacità di coltivare e gestire il verde: dobbiamo re-imparare come si fa” aggiunge. Secondo Pastore, però, in Italia non si fa più fatica di altrove, il problema è che “bisogna cambiare la mentalità: tuttora continuiamo a voler fare le cose come sempre, senza uscire dal tracciato. L’unico modo per cambiare la situazione è rendere i cittadini consapevoli che la natura e i boschi non devono essere considerate una ciliegina sulla torta: devono diventare una parte infrastrutturale delle città. Si deve partire dalla presenza della natura per pensarle, poi il resto viene di conseguenza se i cittadini sono convinti: gli amministratori spesso seguono il consenso e le tecnologie non mancano”.
Come squadra di professionisti attiva sia in Italia che all’estero, CRA-Carlo Ratti Associati vede come sfida principale quella di “convincere le amministrazioni a non consumare più suolo e intervenire solo sul recupero dei vecchi edifici, dai centri storici ai quartieri residenziali. L’Italia è un paese che non cresce dal punto di vista demografico e non abbiamo bisogno di nuovi interventi, ma di recupero in chiave circolare” spiegano.
Questo studio di design e innovazione con sede a Torino e New York fondato da Carlo Ratti lavora per portare il verde e la natura in tanti tipi di tessuti urbani diversi, da anni. Recente è il suo progetto per Parco Romana, nell’omonimo quartiere di Milano, una riqualificazione che mette al centro il benessere di residenti e visitatori e la sostenibilità. È l’esempio di come possa essere possibile, oggi, in Italia, “sviluppare un modello unico di integrazione tra natura e città: dove una volta c’erano barriere, ferrovie, mura, porte, adesso immaginiamo un parco ‘sensibile’ che ricollega i quartieri circostanti” spiega.
Guardando il progetto, ci si trova infatti di fronte a un modello di “quartiere a 15 minuti” con tutti i servizi necessari in una zona strategica a cavallo tra centro e periferia, ma anche una strategia attenta a biodiversità, resilienza, connettività e benessere. Di particolare interesse il Parco Sospeso, tutto monitorato 24 ore su 24, 7 giorni su 7, da una tecnologia e da una sensoristica che permette interventi di lettura e gestione in tempo reale di un polmone verde che si svilupperà lungo la linea ferroviaria, creando una sorta di corridoio ecologico costituito da uno spazio verde multifunzionale, in grado di offrire a tutti, cittadini e turisti, i servizi necessari all’interno di un contesto a misura d’uomo. Alberi, percorsi pedonali e orti comuni e iniziative ancora tutte da pensare e vivere.
Smart city e il caldo che verrà
Per aiutare le città ad affrontare eventuali ondate di caldo non esiste solo il bosco urbano, secondo CRA-Carlo Ratti Associati, “e anche la tecnologia, non vuol dire solo sensoristica avanzata, ma anche l’utilizzo innovativo di vecchi materiali. Come nel Padiglione Italia per l’Expo di Dubai, progettato insieme a Italo Rota, dove era presente un sistema di mitigazione climatica senza aria condizionata”. Questo progetto prevedeva una facciata multimediale composta da corde realizzate con due milioni di bottiglie di plastica riciclata e nuovi materiali da costruzione – dalle alghe e fondi di caffè alle bucce d’arancia e sabbia.
Con il claim “La Bellezza unisce le Persone” questo padiglione resterà nella storia per il mix saggio di ricerca e innovazione, anche grazie all’uso di materiali sperimentali e tecnologie sostenibili, ma soprattutto per un immersivo giardino rigoglioso di verde e acqua, arte e scienza, strutturato intorno a un sistema di passerelle centrali sospese, ascendenti e discendenti che richiamavano le connessioni delle attività cerebrali e per la già citata facciata, permeabile e interattiva, con corde nautiche realizzate con bottiglie di plastica riciclata e illuminata con led integrati. Un’architettura circolare che mette al centro la sostenibilità, sperimentando anche prodotti a impatto zero, decarbonizzati, realizzati con materiali biologici ricompostabili e riutilizzabili. Quella di Padiglione Italia per l’Expo di Dubai è un’architettura che fa sognare ma che non deve impedirci di restare con i piedi per terra. Ci aiutano le parole di CRA sulle attuali priorità da non perdere di vista. “L’Italia deve pensare a interventi di mitigazione e resilienza. Ad esempio attraverso architetture cinetiche che rispondono in tempo reale alzandosi e abbassandosi rispetto al livello del mare per evitare le piene dei fiumi, come abbiamo progettato per il recupero del Lungo Po a Torino”.
Lo studio si è infatti di recente occupato di adattare i Murazzi del Po al cambiamento climatico. Compito che eseguirà ridisegnando gli argini del fiume, integrandovi strutture galleggianti innovative mirate a creare spazi comunitari in grado di resistere alle ricorrenti inondazioni del fiume. Lo potremo vedere e vivere nei prossimi anni.
Verso le senseable city
Alla definizione di ‘Smart City’, CRA ha da tempo sostituito quella di ‘Senseable City‘: “presuppone un utilizzo della tecnologia non fine a se stesso ma capace di ascoltare in modo sensibile i bisogni della città – spiega – Non esistono condizioni pre-esistenti necessarie: ogni città può diventare ‘Senseable’, vale a dire integrare la tecnologia nell’infrastruttura urbana e nell’ambiente costruito, per favorire non tanto l’efficienza ad ogni costo quanto la realizzazione dei potenziali dei cittadini e la vivacità della vita urbana.”. Per chi volesse approfondire, senza attendere che questo sogno realizzabile si realizzi, c’è il libro che Carlo Ratti ha scritto con Antoine Picon, “Atlas of the Sensitive City” (Yale University Press, 2023) per iniziare a familiarizzare con un futuro possibile e auspicabile.
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