Accesso ai dati sanitari, la ricetta dell’Ocse
Governance forte e leggi chiare che impongono l’interoperabilità. Sono queste le due caratteristiche principali individuate dall’Ocse negli stati in cui l’accesso ai dati sanitari è una realtà consolidata. Nello specifico l’Ocse ha esaminato Australia, Danimarca, Finlandia, Giappone e Regno Unito.
Accesso ai dati sanitari, le esperienze raccolte dall’Ocse
L’Australia utilizza un sistema nazionale “opt-out” (l’adesione è automatica, ma si può rinunciare), basato su un repository centralizzato. L’idea è quella di adottare una condivisione “obbligatoria per default” dei referti con incentivi economici per i medici.
La Danimarca vanta una lunga tradizione di digitalizzazione, iniziata negli anni ’70. Attualmente il Paese è dotato di un portale nazionale che aggrega in tempo quasi reale dati da tutti i setting assistenziali (ospedale, medici di medicina generale, municipi) grazie a un identificativo unico e a standard interoperativi obbligatori per i fornitori di software. Inoltre, i cittadini possono vedere chi ha fatto accesso al loro fascicolo. Tutto ciò a garanzia di trasparenza e affidabilità.
In Finlandia il punto di forza è la forte base legislativa che obbliga gli erogatori a caricare dati su un sistema centralizzato. Sistema all’avanguardia nella definizione di standard tecnici per integrare i dati generati dal paziente, come la misurazione della pressione, nel record clinico, in linea con il futuro Spazio Europeo dei Dati Sanitari (EHDS).
Importanti passi avanti li sta facendo anche il Giappone, grazie alla strategia nazionale “Healthcare DX”. Il portale adottato dal Paese del Sol Levante è collegato alla carta d’identità nazionale e sta integrando progressivamente dati clinici standardizzati.
Infine, il Regno Unito utilizza un’app nata prima del Covid ma esplosa durante la pandemia. L’applicazione offre principalmente accesso ai dati della medicina generale e, in crescita, a quelli della specialistica. Utilizza un modello decentralizzato, in cui i dati rimangono nei sistemi sorgente (per esempio nel software del medico di medicina generale) e vengono fruiti via Api.
Che cosa può imparare l’Italia
Da queste esperienze il rapporto dell’Ocse ha tratto dieci buone pratiche che possono essere d’aiuto per Paesi che, come l’Italia, sono ancora indietro nella gestione intelligente dei dati sanitari: governance chiara e legislazione abilitante, co-progettazione con fornitori IT e professionisti, standard obbligatori e interoperabilità, modelli di architettura “open by design”, condivisione completa (con eccezioni motivate), coinvolgimento attivo dei professionisti, trasparenza sull’uso dei dati, integrazione dei dati del paziente, modello “opt-out” e inclusività, alfabetizzazione digitale.

