Sono nove le città italiane che partecipano al programma europeo “100 Climate-Neutral and Smart Cities by 2030”, che fa parte del programma Horizon Europe e punta a trasformare le città europee in modelli di neutralità climatica. Le nove realtà urbane italiane hanno dunque un compito cruciale per tracciare una rotta che porterà fino al 2030 e potrà essere seguita da altre città, , in particolare da quelle che gravitano intorno ai Comuni capoluogo di Provincia, dove sono concentrate le maggiori fonti di emissioni climalteranti di tutto il Paese.
ASviS ha analizzato i nove Climate City Contract stipulati da Bergamo, Bologna, Firenze, Milano, Padova, Parma, Prato, Roma e Torino. In questi documenti ciascuna città presenta alla Commissione europea gli impegni strategici, i piani d’azione e i relativi investimenti per raggiungere l’ambizioso obiettivo di ridurre di almeno l’80% le emissioni climalteranti entro il 2030, adottando innovazioni che coinvolgono ogni ambito della vita nelle aree urbane: mobilità, infrastrutture, riscaldamento degli edifici, ciclo dei rifiuti, gestione delle risorse idriche e del verde.
“Le città sono ecosistemi complessi che allo stesso tempo influenzano e subiscono le dinamiche climatiche attraverso i sistemi dell’abitare, della mobilità, della produzione e consumo di energia e della gestione dei rifiuti”, spiega il direttore scientifico dell’ASviS, Enrico Giovannini. “Il percorso verso la neutralità è difficile ma possibile”.
In effetti non tutte le nove città italiane sono allo stesso punto con i lavori. Le più avanti attualmente sono Firenze e Parma che hanno già ricevuto l’approvazione del proprio Climate City Contract. Cinque città ovvero Bergamo, Bologna, Milano, Prato e Torino, sono in attesa dell’approvazione, mentre le ultime due, Padova e Roma, devono ancora completarlo e presentarlo. Per comprendere meglio la missione europea Anna Lisa Boni, coordinatrice delle nove smart cities italiane al lavoro verso la neutralità climatica, utilizza cinque parole chiave: la prima è città perché le città sono il fulcro delle emissioni e dei consumi, ma anche della capacità di ridurli, produrre energia pulita e promuovere innovazione; c’è poi contratto perché i Climate City Contract sono strumenti chiave per dare continuità alle politiche climatiche e promuovere un’azione sinergica e sistemica; la terza parola è coordinamento perché serve un coordinamento sia verticale (legislativo e finanziario) che orizzontale (all’interno degli ecosistemi urbani e metropolitani) tra tutti gli stakeholder locali, pubblici e privati; segue il termine cittadinanza perché senza un coinvolgimento diretto dei cittadini il cambiamento non potrà esserci; infine la quinta parola è cooperazione perché è necessario che le nove città italiane selezionate collaborino attivamente, scambiandosi esperienze e soluzioni per influenzare le politiche climatiche nazionali e creare una piattaforma di collaborazione verso la neutralità climatica al 2050.
Queste parole sono comprese nei Climate City Contract che a loro volta si suddividono in tre sezioni: la prima riguarda gli impegni strategici, che definiscono impegni firmati formalmente da amministrazioni locali e stakeholder ed hanno l’obiettivo di ridurre almeno l’80% delle emissioni climalteranti; c’è poi il piano d’azione, che identifica i punti di forza e le lacune nelle strategie e politiche esistenti, proponendo interventi coordinati con il piano di investimenti; proprio il piano di investimenti costituisce l’ultima sezione dei contratti ed è indispensabile per valutare costi e impatti delle azioni scelte, individuando i finanziamenti pubblici e privati necessari.
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