L’Italia non è certo l’esempio più efficace da proporre, ma nel mondo la quota di popolazione nativa digitale sta diventando predominante ed è fisiologicamente destinata a diventare pari al 100%. Lo stesso deve obbligatoriamente accadere per i documenti della Pubblica Amministrazione, e in tempi molto più stretti.
Così esperti in archivi cartacei come siamo in Italia, non ne sentiamo forse una particolarmente pressante esigenza, inconsapevoli dei vantaggi immediati e necessari che ne deriverebbero. Bando all’inerzia diffusa, c’è da prendere atto che l’Europa chiede a tutti gli Stati membri di digitalizzare i servizi cittadini on line e, per mettersi in linea con questa direttiva, non possiamo che incamminarci e investire in questa evoluzione. Le indicazioni non mancano, difficile perdersi, quindi, se non per pigrizia o deficit di determinazione.
C’è il regolamento eIDAS (Electronic Identification Authentication and Trust Services) che indica come fornire servizi e quali strumenti usare per gestire documenti informatici come firme elettroniche, servizi elettronici di recapito assicurato e servizi di conservazione di documenti digitali. C’è il Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD) che già nel 2005 ha equiparato il documento cartaceo a quello informatico, regalando anche a quest’ultimo una valenza giuridica.
La transizione verso i documenti digitali è un obbligo, come lo è anche quella di diventare in grado di gestirli al meglio, garantendo processi fluidi ed efficienti. Può essere vista come una scomoda incombenza, l’ennesima burocratica richiesta dell’Unione Europea a cui rispondere per evitare multe. Può essere invece trasformata in una fase di rincorsa, per poi spiccare un volo verso la PA del futuro, innovativa e smart, efficiente e proattiva. Come tutte le fasi preparatorie, implica pazienza, costanza e coraggio e non restituisce soddisfazioni immediate. Ma ne promette molte nel futuro, e sono tutte oggettivamente aspettative credibili e auspicabili.
Document management per nativi cartacei e digitali
Man mano, anzi, prima che i documenti diventino tutti nativi digitali, è necessario imparare a gestirli e organizzarli, ma anche a occuparsi della loro assegnazione, classificazione, fascicolazione, reperimento e conservazione. Dietro al termine document management si nasconde un intero ciclo di vita che, se fluisce in modo virtuoso, accresce la competitività del Paese e garantisce servizi più rapidi e sicuri ai cittadini.
È una delle classiche situazioni “win-win” con numerosi benefici: i dipendenti pubblici, liberati da lavori superflui e pesanti, possono dedicarsi a impegni più importanti e a valore aggiunto, aumentando la produttività propria e della PA tutta. Allo stesso tempo, il solo fatto di avere a che fare con documenti in versione informatica, rende le informazioni più facilmente reperibili, consultabili e condivisibili, contribuendo all’efficienza del sistema pubblico. Da non trascurare anche un altro aspetto molto concreto, scontato ma spesso dimenticato, come quello degli spazi fisici. L’immaterialità dei documenti digitali rende superflui ed eliminabili quasi tutti gli ingombranti archivi di cui il Paese è cosparso, aumentando la qualità e l’efficienza dell’ambiente di lavoro ma, soprattutto, abbattendo i costi di manutenzione di ambienti che oggi esigono di essere tenuti in vita, illuminati, protetti e puliti.
Un sogno che, per essere raggiunto il prima possibile, deve richiede la dematerilizzazione dei documenti. Questa procedura non si riguarda i documenti nativi informatici ma quelli cartacei da convertire in digitale in seconda battuta, con scanner, per esempio, oppure anche con semplici smartphone. Non è la stessa cosa: la copia immateriale ottenuta potrebbe presentare problemi in caso di firme autografe o di caratteristiche fisiche che hanno un intrinseco valore giuridico (la filigrana, per esempio, o in caso di timbri o punzoni a pressione).
I documenti informatici generati molto probabilmente non sarebbero inoltre in formato elaborabile, un aspetto che limiterebbe gli impatti in termini di benefici e vantaggi della digitalizzazione. La dematerializzazione resta comunque un processo prezioso nell’ambito del document management, portando a un taglio dei costi, semplificando fortemente i processi e, soprattutto, mettendo il cittadino al centro del progetto, al posto dei processi e delle attività di routine. Questo senza contare i vantaggi in termini di impatto ambientale e di efficienza di archiviazione, ovvero di autenticità, integrità, affidabilità, leggibilità e reperibilità. La dematerializzazione deve comunque restare solo e soltanto un’opzione per documenti in formato cartaceo già esistenti e che solo così si possono far transitare in un mondo tutto digitale. Non deve diventare una scusa per continuare a produrne altri.
Processi digitali in arrivo, tra inerzia e rischio lock-in
Mentre eccellono in firme per documenti informatici, protocollo di scambio documenti e loro trasmissione tramite PEC, le PA italiane arrancano sulla procedura di conservazione. A sottolineare questa diversità di performance è Enrica Massella Ducci Teri, Dirigente dell’area Qualificazione e accreditamento di AGiD, spiegandone anche i motivi. “Abbiamo spesso ancora archivi misti, cartacei e documentali. Sono difficili da gestire e si opta per gestire tutti in formato cartaceo invece di dematerializzare – spiega – oggi si potrebbe fare anche in modo massivo e semplice: è più una questione culturale e di abitudini. La PA vede inoltre la conservazione come ancora legata a aspetti archivistici, non come un assist per l’innovazione”. Anche la tipologia di soluzioni proposte dai fornitori non aiuta: “si focalizzano quasi sempre su quei documenti che devono essere digitali per obbligo, come quelli tributari o sanitari” spiega Massella Ducci Teri. E poi c’è l’annoso tema della mancanza di interoperabilità tra sistemi. In questo caso tra quelli di conservazione, con un forte rischio di lock-in.
Consapevole di questo trabocchetto in cui le PA non devono poter cadere, AGiD sta lavorando in prima persona, assieme a Ministero della Cultura, notai e Regioni, a dei “poli di conservazione intermedi”. Andrebbero ad aggiungersi a quelli destinati a documenti di oltre 30-40 anni fa, accogliendo invece i più giovani, ma soprattutto quelli che restano senza casa se termina il contratto con un fornitore, causa interoperabilità.
L’obiettivo di AGiD, in questo preciso progetto, è di arrivare a definire un modello organizzativo valido per tutta la PA, mentre quello più ad ampio respiro è contenuto nelle sue Linee Guida sulla formazione, gestione e conservazione dei documenti informatici.
Le linee guida AGiD
In vigore da gennaio 2022 per favorire digitalizzazione delle pratiche amministrative e la transizione verso una PA pienamente digitale, entrano nei dettagli dell’intero ciclo di gestione dei documenti informatici, indicando regole e modalità, obblighi e strumenti opportuni. Oltre a migliorare fin da subito la qualità del document management, le Linee Guida AGiD sul tema irrompono con l’intento di introdurre un brusco ma doveroso cambio di prospettiva. Si digitalizza non per ubbidire all’Europa o ai tempi che corrono, ma per supportare i processi decisionali della PA e favorire la tutela dei diritti di imprese e cittadini.
La procedura per la formazione, la gestione e la conservazione del patrimonio di documenti suggerita in tal senso inizia con l’individuazione di quelli da trattare, per poi procedere con la loro metadatazione. Questo associarvi, uno per uno, informazioni descrittive e di contesto, rappresenta un passaggio fondamentale per fornire un minimo comun denominatore tra tutti i formati di file conservati, un linguaggio condiviso da tutti, con il quale i vari sistemi possano interloquire. Per l’utente, ciò significa poter ricercare, selezionare e localizzare le informazioni più facilmente.
Più nativi digitali, più digitale diffuso
I benefici legati strettamente al non banale processo di metadatazione, come quelli indotti dalle Linee Guida AGiD nella loro totale ampiezza, non sono gratuiti. Richiedono un forte investimento in competenze digitali, a partire da quelle dei responsabili della conservazione, ma non solo.
Serve un aggiornamento generale che l’Italia sembra ancora far fatica a compiere.
Non si pretende che tutti i dipendenti arrivino ad acquisire competenze e conoscenze tecnico-archivistiche, giuridiche, organizzative e informatiche. Quelle sono doverose solo per i responsabili del settore, ma chiunque abbia a che fare con documenti, quindi tutti i dipendenti, nel quotidiano devono poter operare in modo spigliato ed efficiente. Questo obiettivo va raggiunto mettendo a terra o potenziando differenti iniziative in modo parallelo e strutturale, sia in ambito di talent attraction, sia di reskilling/upskilling, con l’intento di non lasciare nessuno indietro o fuori.
La situazione di partenza non è incoraggiante, presenta luci e ombre e va analizzata abbracciandone la complessità. Limitarsi a guardare la posizione in cui ci costringe il punteggio DESI nel contesto europeo può suonare allarmistico, può essere uno sprone emotivo, ma non aiuta a comprendere come e su cosa investire davvero energie, fondi e risorse per essere efficaci.
La connettività, per esempio, come anche l’integrazione delle tecnologie digitali, sono due punti di forza per l’Italia che si classifica rispettivamente settima e ottava in Europa da questi due punti di vista. Sembra un altro Paese quello che invece presenta pessime performance proprio nel capitale umano, meritevoli solo del terzultimo posto tra tutti paesi della UE.
Non si parla solo di PA ma di tutti i cittadini, ma poco cambia: resta comunque urgente un investimento di lungo periodo che veda coinvolte le scuole, le università e la formazione aziendale. Il PNRR può fornire un forte sostegno, perché se mancano le competenze digitali, la digitalizzazione resta un sogno, ma più potente sembrerebbe essere l’effetto fisiologico del cambio generazionale. Massella Ducci Teri ne è convinta e spiega: “tutti gli inserimenti nella PA realizzati negli ultimi tempi riguardano persone giovani e nativi digitali. Saranno loro a colmare il gap che oggi rappresenta una criticità. Mi aspetto un salto quantico”.
Per favorirlo, AGiD contribuisce attivamente anche alla formazione degli archivisti informatici: “finora si sono guardati quasi unicamente gli aspetti amministrativi, ora è necessario spingere affinché ogni dipendente della PA prenda in considerazione anche quelli informatici e inizi a usare gli strumenti digitali come prima scelta naturale” aggiunge Massella.
Le altre sfide
Nota, combattuta, sentita e urgente, quella delle competenze non è l’unica sfida da vincere per poter contare su una gestione documentale digitale efficiente e moderna.
È necessario anche creare una visione chiara e soprattutto condivisa, mettendo le basi e coltivando la volontà di mantenere un confronto attivo e permanente con i vertici delle pubbliche amministrazioni per definire una visione di sviluppo comune e che guidi tutte, in modo indiscriminato, ciascuna a seconda del proprio contesto. Proprio in questo tipo di approccio, sarebbe necessario assicurare che i diversi progetti già implementati e altri pilota siano condivisi con le altre PA. Sarebbe un modo per minimizzare i tempi di digitalizzazione nazionali e per ottimizzare i risultati ottenuti dalle tante sperimentazioni oggi spesso condotte in modo sparso e in anonimato.
Anche la normativa su queste tematiche chiede di essere sviluppata attraverso un percorso di dialogo e confronto tra legislatore italiano ed europeo, senza escludere i Garanti della privacy, in modo che l’ecosistema diventi favorevole allo sviluppo e all’introduzione delle innovazioni. Un importante boost alla digitalizzazione potrebbe arrivare anche dalla nascita e dallo sviluppo di partnership pubblico-private. Sinergie reali, concrete, pragmatiche e con obiettivi chiari e condivisi, finalizzate a creare nuove applicazioni per migliorare i processi esistenti e fornire nuovi servizi ad alto valore aggiunto.
Un document management intelligente è possibile
La presenza di competenze digitali nella PA costituisce anche uno dei requisiti fondamentali per permettere a chi vuole introdurre innovazione tecnologica di farlo, con maggiori probabilità che attecchisca con successo.
Scommettendo sulle nuove generazioni di dipendenti pubblici, AGiD sta lavorando per introdurre dei nuovi paradigmi innovativi per la gestione documentale facendo leva sull’intelligenza artificiale. Uno riguarda i metadati: si può pensare di affidare a questa tecnologia l’oneroso e lungo lavoro di associazione delle opportune informazioni a ogni singolo documento, automatizzando un’operazione così dispendiosa che generalmente spinge tutti a mantenere le procedure cartacee.
Sempre grazie al potere dell’AI, potrebbe diventare possibile anche effettuare ricerche avanzate sui documenti conservati e, soprattutto, anche su singoli dati. “Questo ultimo aspetto è strategicamente significativo perché segna il passaggio da un approccio incentrato sui documenti a un approccio che guarda ai dati – spiega Massella Ducci Teri – assieme al Ministero della Salute e al MEF stiamo già lavorando a un progetto in ambito medico con i fondi del PNRR: il fascicolo sanitario elettronico 2.0. Permetterà di mettere a disposizione i dati contenuti a livello nazionale per ricerche e monitoraggi anche su situazioni epidemiologiche. Uno strumento che durante l’epidemia di Covid-19 avrebbe fatto molto comodo”.
L’AI nel futuro del document managent italiano
Dall’AI del presente – o del futuro prossimo – a quella utilizzata come General Purpose Technology, da sfruttare in diversi campi e ambiti di applicazione. Secondo molti esperti, in ambito globale, lo scenario che ci aspetta è quello di una PA sempre più efficiente e funzionante grazie al supporto dell’AI. Un’aiutante collaborativa e tuttofare potrebbe favorire un più rapido miglioramento del funzionamento dei servizi esistenti e la nascita di nuove offerte per i cittadini, ma anche per le imprese.
Tutto il Paese ne avrebbe beneficio, vedendo anche aumentare la sua capacità di attirare capitali e player innovativi che investano sulla nostra forza lavoro e sul territorio.
Guardando a questo potenziale panorama tecnologico futuribile, e alla PA reale di oggi, è opportuno notare che serve pianificare e compiere uno step intermedio. Quello in cui tutti gli enti, ai diversi livelli centrali e locali, lavorano per diventare in grado di sfruttare le tecnologie digitali avanzate già presenti in altri contesti, quello imprenditoriale in primis. Nulla di impossibile, anzi, non è il momento di piangerci addosso o di auto-sottovalutarci perché siamo come Paese al secondo posto in Europa per numero di sperimentazioni nel campo dell’Intelligenza Artificiale nel settore pubblico e al primo posto per numero di progetti pilota implementati, secondo una ricerca condotta da The European House – Ambrosetti, in occasione del suo Forum. Questo non ci solleva dall’onere di agire tempestivamente per affrontare le sfide e scaricare a terra le sperimentazioni in corso di sviluppo, sfruttando le risorse del Piano “Italia Digitale 2026” e del PNRR.
Soluzioni per gestire documenti e complessità
Preparare il terreno fertile per accogliere innovazioni in arrivo significa lavorare anche a livello di tecnologico, oltre che di mindset e competenze. L’AI, e qualsiasi altra tecnologia destinata ad accelerare il mondo PA, devono trovare un ambiente pronto e reattivo. Serve muoversi subito, quindi, per avviare piani di adozione diffusa di un insieme di tecnologie abilitanti di base, come il Cloud Computing e la Blockchain. Serve digitalizzare l’Italia e la sua PA affinché la prossima ondata tecnologica disruptive la colga moderna, evoluta ed efficiente.
Questo colpo di reni tecnologico passa per l’adozione di soluzioni che accelerino un processo di digitalizzazione concreto e senza ritorno. Nell’ambito del document management, la mission consiste nel riuscire a trasformare i processi gestionali investendo in tecnologie che abilitino processi evoluti, efficienti ed economici che semplifichino il rapporto con i cittadini, razionalizzando i costi.
Diverse sono le soluzioni che, promettendo tutto ciò, animano il mercato. Molte puntano sulla gestione integrata dei processi di tutte le aree applicative degli uffici pubblici, in modo che possano diventare armoniosamente più efficienti. L’obiettivo di questo tipo di strumenti è quello di risolvere il problema della complessità delle varie procedure interne e di orchestrarle, introducendo, ove possibile, meccanismi di automazione e liberando il personale da task time consuming ma a basso valore aggiunto. Si risparmia tempo, e si integrano i tanti sistemi che oggi convivono in una stessa PA, favorendo anche un miglior controllo delle spese, più rapido e aggiornato.
Tra le soluzioni per la digitalizzazione della PA, ci sono anche quelle che si rivolgono esplicitamente al responsabile della transizione digitale, fornendo a questa figura un considerevole supporto organizzativo a base tecnologica. Nella maggior parte dei casi esse consistono in piattaforme di informazione e formazione online, per esempio, per aiutarla a realizzare ed erogare servizi digitali facilmente utilizzabili e di qualità.
Un altro aspetto su cui, grazie all’aiuto della tecnologia, si possono compiere passi avanti significativi, è quello della comunicazione. Sia verso i cittadini, sia all’interno di una PA: nel primo caso l’obiettivo è quello di creare dei canali semplici e diretti e offrire a tutti un accesso unificato e fruibile per tutti i servizi comunali. Nel secondo caso, invece, l’idea è quella di togliere ogni barriera esistente tra diversi livelli aziendali per favorire uno scambio rapido ed efficiente di informazioni all’interno. Tutto ciò non deve andare a scapito della sicurezza, infatti le soluzioni di questo tipo prevedono anche la possibilità (e il dovere) di organizzare gli accessi, inserendo limitazioni e permessi, e di condividere i documenti dal valore legale in modo sicuro.
Sembrano soluzioni base, banali, ma sono quelle funzionali alle sfide affatto banali che le PA italiane si trovano o si troveranno presto ad affrontare. E sono soluzioni che, dietro a un obiettivo magari semplice da illustrare, possono elaborare combinazioni di tecnologie strategicamente efficaci e di sottile intelligenza. Saper mantenere la complessità nel proprio progettare, perché possa sparire quella che oggi blocca l’utente-PA e spesso non permette al Paese di sprigionare tutte le proprie capacità e qualità. Questo è ciò che si chiede alle soluzioni di digitalizzazione, comprese quelle che possono rendere il document management un processo trampolino di innovazione.
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