“Parole, parole” cantava Mina, non certo rivolgendosi al mondo dell’economia circolare. Eppure il titolo di quel brano descrive alla perfezione l’attuale situazione del settore. L’edizione 2024 del Circularity gap report, pubblicato dalla Circle Economy Foundation in collaborazione con Deloitte, dimostra, infatti, inequivocabilmente come gli obiettivi non si siano tradotti in azioni concrete con impatti misurabili. Più nel dettaglio, negli ultimi cinque anni, il volume di discussioni, dibattiti e articoli sul tema dell’economia circolare è quasi triplicato. Eppure, il tasso di circolarità globale è sceso dal 9,1% del 2018 al 7,2% del 2023, rimanendo stabile quest’anno. In questo arco di tempo l’essere umano ha consumato 500 miliardi di tonnellate di materiali, ovvero il 28% di tutti i materiali consumati dal 1900. Dunque di economia circolare si parla, ma sono in pochi a metterla davvero in pratica.
La scarsa applicazione delle pratiche di economia circolare in favore del classico schema di economia lineare “take-make-waste” ha portato al superamento di sei dei nove “confini planetari” chiave (riduzione dell’ozono presente nella stratosfera, perdita della biodiversità, inquinamento da sostanze chimiche, cambiamento del clima, acidificazione degli oceani, utilizzo delle acque dolci, modifica del sistema agrario, ciclo dell’azoto e del fosforo e rilascio di aerosol nell’atmosfera) che misurano la salute ambientale della terra, dell’acqua e dell’aria. Causa di questi superamenti sono soprattutto i sistemi globali dell’alimentare, delle costruzioni e del manifatturiero. Nello specifico, il sistema alimentare, con la sua produzione di gas serra, è responsabile di un quarto del superamento dei limiti planetari del cambiamento climatico. Guardando al settore delle costruzioni, che comprende abitazioni, edifici commerciali e infrastrutture per la mobilità, si scopre che l’estrazione dei minerali utilizzati per produrre materiali da costruzione è responsabile di un quarto del cambiamento globale dell’uso del suolo. Non va meglio al settore manifatturiero. Nonostante le industrie per la produzione di veicoli, prodotti tessili ed elettrodomestici diano lavoro a milioni di persone, i processi di produzione si basano principalmente sui combustibili fossili, determinando un terzo del superamento dei limiti planetari del cambiamento climatico a causa della produzione di gas serra.
Da questa situazione si evince dunque chiaramente come pratiche di economia circolare debbano essere adottate sempre di più. Il consumo materiale ha indubbiamente innalzato gli standard di vita ma deve essere chiaro che abbiamo ormai raggiunto il punto in cui la sua continua accelerazione, soprattutto nei paesi ad alto reddito, non garantisce più un aumento del benessere.
Per contrastare questa tendenza il rapporto suggerisce una strategia basata su tre punti: politiche adeguate, finanziamenti, competenze e manodopera. Le politiche devono incentivare le pratiche sostenibili penalizzando quelle più dannose. Ad esempio, i paesi più ricchi potrebbero adeguare le normative nei settori dell’edilizia, incentivando l’ammodernamento e il riutilizzo degli edifici, sviluppare certificazioni per il riciclo dei materiali da costruzione, definire standard per la durabilità dei prodotti e rafforzare la legislazione sul diritto alla riparazione. Contemporaneamente, nei paesi a medio reddito, la promozione dell’agricoltura e delle produzioni circolari deve diventare una priorità. I governi locali potrebbero, ad esempio, imporre divieti e limiti all’inquinamento, imporre schemi di responsabilità estesa del produttore e richiedere una quantità minima di materiali recuperati per le nuove costruzioni. I Paesi a basso reddito, infine, potrebbero dare priorità allo sviluppo sostenibile attraverso politiche circolari in edilizia e in agricoltura, garantendo i diritti dei piccoli agricoltori e incentivando l’uso di materiali locali. Dal punto di vista meramente economico, per sbloccare i finanziamenti in edilizia e nelle produzioni circolari nei paesi ad alto reddito, lo studio suggerisce di ripensare gli standard e le pratiche economiche, introducendo tasse per aumentare il prezzo dei prodotti non sostenibili. Nelle economie emergenti, i governi possono spostare i sussidi su pratiche pulite e rigenerative. I fondi per lo sviluppo e la giusta transizione potrebbero essere utilizzati nei paesi a basso reddito per sostenere misure circolari in settori chiave come l’agricoltura rigenerativa e la pianificazione urbana intelligente. Infine, è necessario garantire una giusta transizione colmando il divario di manodopera e competenze, ad esempio includendo discipline e competenze “green” nei programmi di studio, soprattutto quelli dell’istruzione professionale. I corsi potrebbero essere una soluzione per soddisfare la crescente e immediata domanda di green jobs, come tecnici delle energie rinnovabili e specialisti delle riparazioni. Inoltre, i paesi in via di sviluppo potrebbero formalizzare l’occupazione informale e puntare sui lavori emergenti rendendoli dignitosi, inclusivi e ben retribuiti.
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