Ad un primo sguardo energia e intelligenza artificiale sembrano il classico cane che si morde la coda: se da una parte, infatti, l’IA può contribuire a ridurre gli sprechi energetici in diversi settori, dall’altra è questa stessa tecnologia a richiedere grandi quantità di energia per funzionare.
Il problema arriva direttamente dal cuore dei vari sistemi di intelligenza artificiale: i data center: questi posti enormi e molto caldi ospitano i server in funzione h24. Per tenerli freschi e far funzionare le macchine al meglio c’è, dunque, bisogno di mantenere la giusta temperatura, tramite acqua fredda (tantissima acqua), vaporizzazione, condizionatori. Giusto per fare un esempio, il Washington Post, in collaborazione con l’Università della California di Riverside, ha calcolato che per ogni testo di cento parole scritto da ChatGPT si consuma in media una bottiglietta d’acqua. Un prezzo che sale insieme alla complessità delle operazioni richieste all’IA.
Nelle aree in cui non ci sono risorse idriche a portata di mano, i data center optano per dei simil-condizionatori, che raffreddano le strutture al costo di un bel po’ di energia elettrica. Eppure, incredibilmente, molti data center sono o saranno costruiti in zone a rischio siccità, perché nelle aree dell’entroterra l’umidità è più bassa umidità e dunque il rischio di corrosione dei metalli si riduce. Secondo l’inchiesta dell’organizzazione investigativa no-profit SourceMaterial e del Guardian, Amazon, Microsoft e Google gestiscono data center in alcune delle zone più aride del mondo, e hanno in progetto di costruirne molti altri: l’analisi di SourceMaterial ha identificato 38 centri attivi di proprietà delle tre big tech nelle zone afflitte da scarsità d’acqua, e 24 in fase di sviluppo.
Nel 2023, Microsoft ha ammesso che il 42% della sua acqua proveniva da “aree con stress idrico”, mentre Google ha autodichiarato il 15%. Amazon (che tra le tre è quella che detiene più data center) non ha fornito dati. I piani delle big tech sono di aumentare del 78% il numero di centri in giro per il mondo: a oggi, se teniamo conto anche delle strutture costruite in zone non sottoposte a stress idrico, sono 632 i centri attivi o in fase di sviluppo di proprietà dei tre colossi tech.
Eppure, soluzioni ecologiche per coniugare energia e intelligenza artificiale ci sono. La stessa DeepSeek, per esempio, oltre ad essere costata di meno richiede meno potenza di calcolo, e quindi meno acqua.
Più di recente, Bloomberg ha annunciato che Microsoft sta ritirando alcuni progetti per nuovi data center, e ha pubblicato dei piani per un centro “a zero consumi idrici”, ma allo stesso tempo sta facendo pressione per riaprire la centrale nucleare di Three Mile Island in Pennsylvania. Google ha assicurato che utilizzerà forme più efficienti di raffreddamento, risparmiando acqua (anche se non è ancora chiaro in che modo).
Al contrario OpenAI punta tutto sulla fusione nucleare, l’energia delle stelle che l’azienda Helion Energy promette di rendere disponibile dal 2028. Anche la geotermia è una risorsa a cui le big tech stanno guardando con interesse: Meta e Google stanno collaborando con le imprese geotermiche per alimentare le loro infrastrutture energetiche con una fonte sostenibile e stabile. Anche se gli alti costi iniziali per le trivellazioni e i permessi per la costruzione di nuove centrali potrebbero rappresentare un forte ostacolo.
Sulle altre fonti rinnovabili, come solare ed eolico, c’è chi è particolarmente ottimista: secondo un report della società di consulenza Business critical solutions (Bcs), infatti, entro il 2033, il 90% dell’energia utilizzata dai data center sarà rinnovabile. Inoltre, le energie pulite potrebbero contribuire ad arginare il problema dell’utilizzo di acqua. Dato che pannelli solari e turbine eoliche possono funzionare nei luoghi più disparati, infatti, i centri per l’elaborazione dati potrebbero sorgere dove le soluzioni di raffreddamento sono più ecologiche (in montagna si potrebbe utilizzare l’aria esterna, per esempio).
Infine, c’è l’opzione dei data center sottomarini. Microsoft ha fatto alcuni esperimenti negli anni per vagliare questa opzione, mettendoli poi però in stand-by a causa di problemi logistici, mentre la Cina sta puntando forte su questa strada. I vantaggi degli Underwater data center sono svariati: non si occupa spazio sulla terraferma, i server, se posti in un ambiente protetto e sottovuoto, non sono soggetti alla corrosione o ad altri agenti esterni, il calore dei data center sarebbe automaticamente raffreddato dalla temperatura dei fondali marini, i centri si troverebbero vicino alle coste rendendo le connessioni più semplici e immediate. Ma anche qui c’è un rovescio della medaglia non trascurabile con la deturpazione dei fondali e il riscaldamento degli oceani. Oltre alle difficoltà logistiche, che non sono state ancora completamente superate.
Ancora una volta, dunque, il progresso deve fare i conti con l’impatto ambientale che provoca. E se è vero che l’intelligenza artificiale è in grado di migliorare l’efficienza e la sostenibilità di molti settori non va dimenticato qual è il prezzo di tutto ciò. E bisogna chiedersi fino a che punto possiamo permettercelo. Perché purtroppo non è ancora nato un prodotto fatto dall’uomo che sia veramente ad impatto zero.
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