Enti pubblici più efficienti con l’IA

La presidenza italiana del G7 ha messo l’intelligenza artificiale al centro dell’agenda di lavoro
7 Marzo 2025 |
Gianpiero Ruggiero

La presidenza italiana del G7 ha messo l’intelligenza artificiale al centro dell’agenda di lavoro. Le ultime due riunioni ministeriali di ottobre, quella su tecnologia e digitale, svolta a Cernobbio, e quella su industria e innovazione tecnologica di Roma, hanno posto l’accento su due aspetti cruciali dell’IA: quello dei rischi e delle implicazioni etiche dello sviluppo digitale e quello sulle opportunità delle tecnologie digitali per supportare la PA e promuovere il benessere in maniera inclusiva.

In merito ai rischi, sono ben note le minacce potenziali derivanti dalle cosiddette “allucinazioni dei modelli generativi”, che comportano pericolosi tentativi di manipolazione della realtà, oppure i rischi che comporta il “capitalismo della sorveglianza”, con la sua assillante smania di raccogliere il maggior numero di dati delle persone. Per non parlare del “labirinto della rete” in cui molti ragazzi, soprattutto quelli più fragili, si smarriscono (non esiste al momento nessuna regolazione che vieti ai bambini e ai minori l’accesso a Chat GPT). Parlare di algor-etica, di conseguenza, è quanto meno opportuno. La presenza di Papa Bergoglio a Borgo Egnazia, prima volta di un Pontefice al tavolo del G7, è un’immagine iconica che resterà nella storia.

Bergoglio, durante il suo intervento dello scorso 14 giugno 2024, ha esortato i leader mondiali a promuovere un utilizzo etico dell’intelligenza artificiale, sottolineando la necessità di una tecnologia che rispetti la dignità umana ed eviti l’esclusione e la discriminazione. Ha evidenziato i rischi di delegare decisioni cruciali alle macchine, insistendo sull’importanza del controllo umano per prevenire abusi e disuguaglianze. Il Pontefice ha richiamato l’attenzione sui pericoli dell’IA in ambito militare e sugli algoritmi che perpetuano pregiudizi, sollecitando un impegno globale per un’IA a servizio del bene comune.

Il fatto che in Europa si sia trovato un accordo generale (AI Act), con norme specifiche sui rischi e sui limiti applicativi, rappresenta una garanzia per tutti noi. La legge sull’IA è il primo quadro giuridico in assoluto sull’IA, che pone l’Europa in una posizione di leadership a livello mondiale. L’obiettivo è di proteggere i diritti fondamentali, la democrazia, lo Stato di diritto e la sostenibilità ambientale dai sistemi di IA ad alto rischio, promuovendo allo stesso tempo l’innovazione e assicurando all’Europa un ruolo guida nel settore. L’impianto regolatorio è perciò una garanzia, che dovrebbe farci sentire più protetti rispetto al “far west” del modello asiatico e americano. Di recente gli Stati Uniti, non a caso, stanno convergendo verso la regolazione europea.

Si potrà ragionare sulla complessità del regolamento europeo, sulla necessità di armonizzare le legislazioni dei Paesi, di alleggerire il peso burocratico sulle piccole imprese, che spesso rappresenta un costo e spesso una barriera all’entrata.

A fronte di questi rischi, è innegabile che ci siano vantaggi dall’adozione di soluzioni di intelligenza artificiale: erogazione di servizi digitali; processo decisionale guidato dai dati; iniziative sui dati aperti; trasformazione digitale; coinvolgimento e partecipazione dei cittadini. Nell’ambito degli enti pubblici, la maggioranza delle amministrazioni riesce ad automatizzare le attività più ripetitive, quelle che di fatto richiedono un basso contributo umano nell’esecuzione. Tante PA iniziano a erogare servizi più efficienti sette giorni su sette h24, garantendo così l’operatività anche oltre i canonici orari d’ufficio. Diverse amministrazioni riescono a ridurre errori e possono combattere le frodi, garantendo elevati standard di sicurezza e affidabilità.

Essendo una tecnologia trasversale, l’onda lunga dell’IA rappresenta un’occasione unica per innovare e migliorare i procedimenti amministrativi e i processi democratici, sostenendo allo stesso tempo i diritti fondamentali e i valori individuali.  Un effetto è certo: una volta adottata e inserita nei processi organizzativi, le nostre PA non potranno tornare più indietro. Man mano che il suo utilizzo sarà esteso, l’accessibilità e la qualità dei servizi offerti a cittadini e imprese non sarà più come prima.

Lo stato di adozione dell’IA e i principali ostacoli

Il rapporto presentato da Draghi sulla competitività ha messo in luce come l’Europa sia in ritardo nelle tecnologie digitali innovative che guideranno la crescita in futuro. Circa il 70% dei modelli di base di IA sono stati sviluppati negli Stati Uniti dal 2017 e tre “hyperscaler” statunitensi rappresentano da soli oltre il 65% del mercato cloud globale ed europeo. Il più grande operatore cloud europeo rappresenta solo il 2% del mercato UE. L’informatica quantistica è destinata a diventare la prossima grande innovazione, ma cinque delle prime dieci aziende tecnologiche a livello globale in termini di investimenti nel settore quantistico hanno sede negli Stati Uniti e quattro in Cina. Nessuna ha sede nell’UE.

L’Osservatorio Agenda Digitale del Politecnico di Milano ha censito un migliaio di casi internazionali di uso dell’IA nel pubblico, anche se nella stragrande maggioranza sono ancora semplici annunci o sperimentazioni. Tanti casi, perlopiù sommersi, invisibili al cittadino, difficili da tracciare, che posizionano l’Italia nelle retrovie tra le principali economie per predisposizione delle PA verso l’IA (26° posto).

Da una parte, il mercato dell’IA in Italia è in forte crescita, registrando un +262% negli ultimi 6 anni, di cui il 52% solo nell’ultimo anno, e arrivando a un valore di 760 milioni nel 2023 (Osservatorio Agenda Digitale, 2023); dall’altra parte, non solo il Paese fatica a trattenere i talenti con le competenze adeguate, ma la stessa diffusione dell’IA nella PA è limitata, in quanto più del 50% degli enti pubblici non ha attivato progetti in questo ambito. Allo stesso modo, nonostante la PA si sia dotata di linee programmatiche – inserendo per la prima volta l’IA quale linea strategica nel Piano Triennale 2024-2026 e pubblicando una strategia ad hoc, non sono ancora sufficientemente diffuse né una cultura del dato né infrastrutture adeguate a un’adozione sostenibile ed efficace di tecnologie IA.

Sebbene nel panorama delle PA italiane i progetti correlati all’intelligenza si stanno facendo largo con lentezza, ci sono diverse amministrazioni che stanno facendo da apripista. Secondo un’indagine condotta da Maggioli e The Innovation Group, ad oggi sono le Amministrazioni centrali ad aver avviato più diffusamente progetti sperimentali di utilizzo dell’IA. Negli enti locali si osserva invece interesse per soluzioni di IA, con buone previsioni di adozione: il 24% degli enti è in fase di studio, il 6% conta soluzioni già in uso e un ulteriore 13% prevede di adottare l’IA per alcune attività. Complessivamente, il 43% si sta occupando di introdurre questa tecnologia. Ma ancora il 57% risponde che né la utilizza, né prevede di usarla, almeno a breve termine.

Sul fronte imprenditoriale, invece, in Italia si registra un tasso di adozione del 4,4% nelle imprese con un numero di addetti tra 10 e 49 (a fronte del 9,7% della Germania e del 4,7% della Francia). Ci posizioniamo invece al 7,3% nel range 50-249 addetti, contro il 16,2% della Germania e il 10,2% della Francia. Infine, siamo al 5% nella categoria grandi imprese, mentre il dato tedesco si attesta all’11,6% e quello francese al 5,9%. I dati medi disponibili sono eloquenti: esiste uno stretto legame tra le dimensioni delle aziende e l’adozione delle tecnologie. Nel 2023, a fronte di un 30% di grandi imprese dell’UE che hanno adottato l’IA, solo il 7% di piccole e medie imprese ha fatto lo stesso. Lo evidenzia il Rapporto “AI Report on Driving Factors and Challenges of AI Adoption and Development Among Companies, Especially MSMEs”, presentato in occasione della seconda riunione ministeriale del G7 su Industria e Innovazione Tecnologica.

Queste limitazioni e frammentazioni pongono le aziende italiane ed europee in una posizione di svantaggio rispetto a quelle americane. Le micro e piccole medie imprese – è la tesi di Raffaele Spallone e Matteo Bandiera autori del report – fronteggiano spesso barriere all’entrata più alte quando provano a integrare l’intelligenza artificiale nei loro processi produttivi e hanno bisogno di essere accompagnate in questa sfida da una cornice di policy ben congegnata.

Sul fronte privato, procedure complesse e costose dei sistemi nazionali frammentati scoraggiano gli inventori dal depositare i diritti di proprietà intellettuale, impedendo alle giovani imprese di sfruttare il mercato unico. L’atteggiamento normativo dell’UE nei confronti delle aziende tecnologiche ostacola l’innovazione: l’UE ha attualmente circa 100 leggi incentrate sul settore tecnologico e oltre 270 autorità di regolamentazione attive nelle reti digitali in tutti gli Stati membri. Molte leggi dell’UE adottano un approccio precauzionale, dettando pratiche commerciali specifiche ex ante per scongiurare potenziali rischi ex post. Lo stesso AI Act impone ulteriori requisiti normativi ai modelli di IA per scopi generici che superano una soglia predefinita di potenza computazionale (una soglia che alcuni modelli all’avanguardia oggi già superano).

Tanto nel pubblico, come nel privato, le dimensioni favoriscono l’adozione perché le organizzazioni più grandi possono distribuire gli elevati costi fissi degli investimenti nell’IA su un budget maggiore, possono contare su un management più qualificato per apportare i necessari cambiamenti organizzativi e possono impiegare l’IA in modo più produttivo grazie a set di dati più ampi. Le piccole soffrono di uno svantaggio in termini di velocità di adozione e di diffusione delle nuove applicazioni di IA.

Sul fronte pubblico, gli ostacoli operativi maggiori vanno dalla mancanza di personale con competenze specifiche, ai costi di adozioni, alla paura del cambiamento delle prassi organizzative. Ma a rendere difficile la transizione sono anche la paura di una scarsa personalizzazione rispetto alle esigenze, la mancanza di un quadro normativo chiaro e un livello di sicurezza e privacy difficile da garantire.

Di fronte a questo scenario, è possibile trarre alcune prime indicazioni utili a colmare il deficit di innovazione:

• l’accelerazione della tecnologia è positiva e va indirizzata a favore del benessere generale, delle persone e dell’ambiente (sistemi di welfare, sanità, pubblica amministrazione, sicurezza sul lavoro, risparmio energetico, mobilità, protezione biodiversità);

• se l’innovazione e l’IA corrono, le piccole imprese innovative e le start up non devono rimanere indietro;

• quello che più serve per lo sviluppo dell’IA nella PA sono algoritmi, infrastrutture per la raccolta e l’interoperabilità di dati sempre più organizzati e omogenei in tutti i territori;

• occorre consolidare e coordinare la ricerca pubblica, allocando finanziamenti specifici per lo sviluppo di soluzioni innovative, anche puntando a una più integrata collaborazione tra pubblico e privato, facendo gioco di squadra attraverso partnership di scopo.

La percezione è che il Governo in carica abbia colto l’urgenza di intervenire e di migliorare queste condizioni.

Le peculiarità del ddl italiano sull’IA

Ad aprile di quest’anno il Consiglio dei Ministri ha approvato il disegno di legge n. 1066 “Norme per lo sviluppo e l’adozione di tecnologie di intelligenza artificiale”, attualmente all’esame presso le Commissioni riunite Ambiente e Affari sociali del Senato.

La proposta normativa voluta dal Governo spazia in diversi settori di applicazione per la vita delle persone. Si parla, ad esempio, di monitoraggio e promozione dell’intelligenza artificiale nel mondo del lavoro e delle professioni intellettuali, ma anche di pubblica amministrazione, soprattutto in settori ad alto rischio come quello dell’attività giudiziaria. Fondamentale, poi, il tema dell’uso dei dati nei sistemi IA volti a migliorare il sistema sanitario e le condizioni di vita delle persone con disabilità. L’articolo 8 specifica che i trattamenti di dati, anche personali, da parte di soggetti pubblici e privati senza scopo di lucro per la realizzazione di sistemi di IA per prevenzione, diagnosi e cura di malattie, sviluppo di farmaci e tecnologie riabilitative, sono dichiarati di rilevante interesse pubblico (in attuazione dell’articolo 32 della Costituzione e nel rispetto del regolamento (UE) 2016/679).

Nel ddl, la parte del contenimento dei rischi spazia dalle misure in tema di cybersicurezza a quelle sulla protezione dei dati (definendo anche un sistema di governance chiaro, con al centro l’Agenzia Nazionale per la Cybersecurezza e AGID) all’obbligo di identificare chiaramente i contenuti generati o modificati dall’intelligenza artificiale (introducendo nuove fattispecie di reato e aggravanti per l’uso illecito dell’intelligenza artificiale).

Quanto alla promozione dell’innovazione, da segnalare l’articolo 20, che promuove iniziative per favorire l’apprendimento e l’uso dell’intelligenza artificiale, soprattutto tra i giovani. Ma soprattutto l’articolo 21 (Investimenti nei settori di intelligenza artificiale della cybersicurezza e quantum computing) che apre la strada agli investimenti per supportare lo sviluppo di imprese nei settori dell’intelligenza artificiale. Queste norme sono la base giuridica per iniziative come il fondo di investimento di venture capital promosso da Cassa Depositi e Prestiti, del valore di 1 miliardo di euro, per sostenere le startup italiane operanti nel settore.

La strategia italiana sull’intelligenza artificiale

Lo scorso luglio 2024, l’Italia ha rilasciato l’aggiornamento della propria strategia nazionale per l’IA. L’analisi del documento strategico italiano permette di confrontare gli approcci adottati da altri Paesi e di identificare best practice e aree di miglioramento. La nuova strategia italiana per l’IA, per il periodo 2024-2026, si struttura attorno a quattro aspetti principali: la ricerca, la formazione, la Pubblica Amministrazione e le imprese. Per ciascuno è definito un obiettivo cardine all’interno della strategia.

• Ricerca: rafforzare gli investimenti nella ricerca fondamentale e applicata sull’IA, promuovendo lo sviluppo di competenze e tecnologie specifiche per il contesto del nostro sistema-Paese, rimanendo in linea con i principi di affidabilità, responsabilità e centralità dell’essere umano, tipici dei paradigmi europei.

• Formazione: promuovere una formazione di alta qualità, adeguata alle nuove competenze necessarie per affrontare le sfide future dell’IA.

• Pubblica Amministrazione: migliorare l’efficienza dei processi amministrativi e la qualità dei servizi offerti ai cittadini mediante l’uso delle tecnologie di IA.

Il tutto è supportato da un piano di attuazione, coordinamento e monitoraggio, potenziato da un focus sulle infrastrutture necessarie per lo sviluppo e la diffusione dell’IA. Per questi due aspetti, sono definite tre azioni strategiche abilitanti. Per quanto riguarda il monitoraggio, la strategia sottolinea l’importanza di istituire un Ente dedicato alla responsabilità dell’attuazione, coordinamento e monitoraggio delle singole iniziative, che assumerà lo status di fondazione (Fondazione per l’Intelligenza Artificiale). In ambito infrastrutturale, è previsto il consolidamento della conoscenza acquisita attraverso la creazione di un registro di dataset e modelli costruiti secondo i principi di equità e trasparenza.

La spinta degli investimenti per l’imprenditoria innovativa

Anche sul fronte delle relazioni industriali internazionali il Governo sembra aver colto nuove opportunità. Dal faccia a faccia di settembre a New York tra la Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e Sam Altman, è scaturito un protocollo d’intesa tra CDP Venture Capital e OpenAI che si articola in tre direttrici. A partire dalla possibilità per OpenAI di investire nelle startup della penisola attraverso il «Fondo Artificial Intelligence» di CDP Venture Capital, che ha una dotazione complessiva di 1 miliardo di euro. Inoltre, si legge in una nota che spiega i termini dell’accordo, OpenAI metterà a disposizione delle società selezionate l’accesso alle sue tecnologie, competenze tecniche e collegamenti con il mondo del venture capital americano, tramite il suo Startup Fund. Gli altri due punti dell’intesa prevedono che CDP Venture Capital e OpenAI collaborino per sostenere la ricerca e la formazione sull’AI, in cooperazione con un consorzio di università italiane, e lavorino insieme alle aziende del Paese per favorire l’integrazione dell’intelligenza artificiale nei settori più strategici.

A inizio ottobre Microsoft ha annunciato un investimento da 4,3 miliardi di euro nei prossimi due anni, il più grande in Italia fino a oggi, per espandere la sua infrastruttura di data center hyperscale cloud, oltre a un piano di formazione per far crescere le competenze digitali di oltre 1 milione di cittadini entro la fine del 2025.

Anche Google ha messo gli occhi sull’Italia. Anzi, sulla Sicilia per essere precisi. Il colosso tecnologico americano sarebbe in trattativa con il Governo italiano per costruire una rete di cavi sottomarini in fibra ottica nel Mediterraneo, dando seguito alla prospettiva, delineata nel Piano Mattei, di voler fare dell’Italia l’hub digitale verso l’Africa. “Google è molto interessata – ha dichiarato Alessio Butti, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio – stiamo tenendo colloqui sulle stazioni base in Sicilia”. D’altronde, come detto dallo stesso Butti, “l’Unione europea ha disposto 500 milioni su questa tecnologia e l’Italia giocherà un ruolo importante affacciandoci sul Mediterraneo. E siamo contenti di essere tornati attrattivi per gli investimenti di tante società straniere.”

Nel loro insieme, tutte le iniziative in corso di definizione rappresentano segnali incoraggianti. Volendo unire questi punti, sembra delinearsi una sorta di “Agenda di Governo dell’imprenditoria innovativa”, che punta su investimenti stranieri per sostenere l’economia dell’innovazione. Va dato atto al Governo di aver centrato i temi. Per un partito (FdI) che ha sempre guardato con sospetto sia a tecnologia che a investimenti esteri, si tratta di un bel cambio di passo e di una positiva sterzata.

Si tratta adesso di consolidare questi programmi strategici. Anche perché bisogna farsi trovare pronti per capitalizzare le future ondate di innovazione digitale. Tempo due anni e la nuova Commissione europea, sotto la spinta del piano Draghi, metterà a terra una vera e propria strategia europea su startup orientate a nuove tecnologie, con fondi e risorse consistenti. Il sistema Paese deve migliorare le condizioni interne e farsi trovare pronta a sfruttare la prossima ondata di investimenti. Il numero di giovani talenti che vogliono realizzarsi come imprenditori o come talenti professionali su materie STEM deve crescere. Il numero di startup innovative deve moltiplicarsi. Gli investimenti, sia di ricchezza e risparmio italiano che di capitali stranieri in venture capital italiano, devono aumentare decuplicarsi velocemente rispetto ai volumi attuali.

Per farsi trovare pronti, anche in ambito pubblico, un approfondimento del CINI (Consorzio Interuniversitario Nazionale per L’Informatica) e del Comitato di Intelligenza Artificiale ha identificato quattro figure imprescindibili, dotate di competenze chiave, che dovrebbero essere incluse nei diversi uffici per supportare efficacemente l’innovazione: dirigente dell’innovazione, un esperto di questioni etiche, un esperto di apprendimento automatico e un esperto di dati.

Le soluzioni di IA in uso nelle PA italiane

Recentemente è stato costituito l’Osservatorio sull’AI nella Pubblica Amministrazione (osservatorioai4pa.it). È stato presentato il 12 ottobre a Lucca, durante Lubec. A livello globale le soluzioni di IA nella PA tendono a focalizzarsi sugli ambiti di esplorazione di dati e supporto decisionale e riguardano i servizi pubblici generali, la sanità e la sicurezza pubblica.

Unioncamere, l’ente pubblico che riunisce le Camere di Commercio, ha avviato un progetto per semplificare e rendere più veloci le procedure dei bandi pubblici. L’intelligenza artificiale, in pochi secondi, valuta la documentazione dei bandi, evitando lungaggini burocratiche ed errori. Uno tra i casi più interessanti è probabilmente la chatbot INPS. Un assistente virtuale aiuta a orientarsi tra le prestazioni e i servizi offerti dall’istituto. Per esempio, si occupa dell’assegno unico e universale e della domanda di supporto per la formazione e il lavoro. Sul fronte della semplificazione dei bandi è attiva anche l’INAIL, che ha appena avviato un’applicazione capace di processare una grande quantità di dati, per ottimizzare e rendere più trasparenti i bandi Isi, quelli che finanziano gli investimenti delle imprese per aumentare la sicurezza sul lavoro.

Vari Comuni si sono dotati di chatbot per l’utenza: Siena, Valsamoggia (Bologna); ne sta per adottare uno anche Torino (“Camilla”, del Consorzio Csi Piemonte). Queste chatbot riescono ad assolvere alle richieste base (di “primo livello”) dell’utenza, liberando il tempo dei funzionari, che così possono focalizzarsi meglio su quelle più complesse. Dei sistemi di analisi dati per il supporto alle decisioni se ne serve anche l’INPS per smistare quattro milioni di PEC al giorno, migliorando tempi e qualità delle risposte. Un progetto premiato dall’Ircai, centro Unesco per l’intelligenza artificiale. Torino usa l’automazione per gestire pagamenti dei bolli e smistare le mail. L’Agenzia delle Entrate si serve dell’IA per analizzare grandi moli di dati e scovare così meglio gli evasori.

C’è poi un settore legato alla mobilità e ai servizi al cittadino che vede attive diverse amministrazioni. Il Comune di Padova controlla il traffico con l’aiuto dell’IA, che analizza in automatico le immagini stradali riprese dalle videocamere. Venezia decide quando alzare il Mose anche grazie all’analisi dati supportata dall’IA. A Milano ATM, la società che gestisce la mobilità urbana e ha una flotta di autobus numerosa, usa un sistema intelligente per gestire i veicoli, riducendone l’impatto ambientale e migliorando il servizio. In Toscana ce Genius 5.0, un sistema di IA per la raccolta di rifiuti: progettato da ricercatori e tecnici dell’Università di Firenze e di Venezia, in collaborazione con Alia Multiutility, azienda toscana leader dei servizi pubblici locali, e con la società piemontese Nord Engineering, segnala in tempo reale ai camion quando svuotare i cassonetti, evitando così inutili passaggi a vuoto e il conseguente aumento dell’inquinamento acustico e dell’aria. Il Comune di Firenze, con il progetto smart city, è riuscito con l’IA a censire il verde privato, per migliorare la qualità dell’aria. E ancora, a Cagliari l’IA gestisce un sistema di monitoraggio del microclima, mentre l’amministrazione comunale di Bologna ha finanziato lo sviluppo di “Portici”, un app intelligente per combattere il vandalismo e garantire una migliore valorizzazione dei portici della città, patrimonio dell’Unesco.

Queste evidenze suggeriscono che al momento il settore pubblico sta impiegando l’IA per analizzare in modo più efficiente grandi quantità di dati complessi e ottenere evidenze empiriche a supporto delle politiche pubbliche.

I progetti di ricerca italiani sull’IA

Come è noto, il PNRR mette a disposizione circa 7 miliardi per la PA digitale e all’interno della Missione 4, componente 2, denominata “Dalla ricerca all’impresa”, si stanno portando avanti diversi progetti di ricerca correlati all’IA e alla robotica.

All’interno del Partenariato esteso FAIR – Future Artificial Intelligence Research, una Fondazione costituita da 4 enti di ricerca (CNR, Fondazione Bruno Kessler, INFN, e IIT), 

12 università e 5 aziende (Bracco, Expert.ai, Intesa Sanpaolo, Leonardo, Lutech), si stanno portando avanti ricerche su due framework computazionali agli antipodi – l’infinitamente piccolo sull’edge e l’infinitamente grande sull’exascale – che saranno i due paradigmi informatici emergenti dei prossimi decenni. Nello specifico si sta ipotizzando di mettere sensori molto precisi sui satelliti o sui droni, senza necessità di mandare i dati a terra, facendo fare i calcoli direttamente on board, risparmiando così tempo prezioso. Si potrebbe lanciare un allarme per un’inondazione che sta per succedere in tempo reale, senza aspettare che un calcolatore a terra acquisisca il dato, lo elabori e dia riscontro di un imminente pericolo. 

Nel Centro nazionale sul supercalcolo, le attività si focalizzano da una parte sul mantenimento e il potenziamento dell’infrastruttura High Performance Computing e Big Data, e dall’altra sullo sviluppo di metodi e applicazioni numeriche avanzati e di strumenti software per integrare il calcolo, la simulazione, la raccolta e l’analisi di dati, anche attraverso approcci cloud e distribuiti. Nei prossimi anni il Centro implementerà soluzioni che porteranno a una velocità di rete superiore a 1 Terabit/secondo, e metterà a disposizione degli utenti una infrastruttura cloud tale da consentire la gestione di attività alla frontiera, sia per la ricerca scientifica, sia per lo sviluppo industriale.

Di particolare interesse anche il Centro nazionale di ricerca per la mobilità sostenibile (MOST), con attività focalizzate sulla trasformazione del settore della mobilità tramite l’adozione di tecnologie avanzate per la Mobilità Cooperativa Connessa e Automatizzata (CCAM) e le Infrastrutture Intelligenti. La CCAM permetterà ai veicoli di comunicare tra loro e con le infrastrutture stradali in tempo reale, migliorando la sicurezza stradale e l’efficienza del traffico. Grazie a sensori e sistemi di gestione avanzata, le infrastrutture intelligenti potranno monitorare il traffico, gestire i flussi veicolari e fornire informazioni utili agli automobilisti. Questo approccio innovativo mira a ridurre incidenti e congestioni, ottimizzando l’uso delle risorse stradali. Aspetto cruciale sarà l’addestramento del personale addetto alla gestione e manutenzione dei sistemi di guida autonoma, utilizzando tecnologie avanzate come l’intelligenza artificiale e la realtà virtuale.

Quelle nate dal PNRR sono tutte iniziative che rappresentano un’interessante evoluzione rispetto ai distretti tradizionali che abbiamo conosciuto qualche anno fa. Partenariati estesi, Ecosistemi dell’Innovazione e Centri Nazionali di ricerca, sono iniziative intersettoriali e multidisciplinari, a differenza del passato in cui si puntava sull’unità settoriale. Sono iniziative multiregionali, che abbracciano molti territori e molte istituzioni pubbliche e private, rispetto alla mono territorialità del passato. Hanno attratto molti giovani ricercatori e ricercatrici. Attraverso i cosiddetti bandi a cascata si sono generati contaminazioni consistenti con le imprese, anche quelle di più piccole dimensioni.

Da questo punto di vista, il PNRR sta lasciando un’eredità importante che non andrebbe dispersa.

Occorre utilizzare l’anno e mezzo che resta alla fine del PNRR per “allenare” gli attori economici dell’innovazione che si stanno consolidando nell’ambito di queste iniziative. Dobbiamo utilizzare le iniziative nate dal PNRR come palestra, per far emergere nuove connessioni tra mondo accademico, ricerca pubblica e mondo imprenditoriale.

Conclusioni

Se davvero siamo di fronte a un bivio, tra chi utilizza l’IA per manipolare e controllare l’opinione pubblica e chi utilizza l’IA in maniera utile per obiettivi alti per l’umanità e per risolvere problemi complessi, l’Italia può rappresentare nei prossimi anni un valido esempio di utilizzo della capacità computazionale per il bene comune. Una crescita maggiore nell’uso di tecnologie digitali, con tassi di penetrazione più incisivi, non solo per la produzione di ricchezza, ci mancherebbe altro, ma soprattutto mettendola a servizio dell’ambiente e della società.

Il Governo dovrebbe compiere un ulteriore sforzo per mettere a sistema le iniziative di ricerca scaturite dal PNRR sull’IA, partendo da una mappatura di tutte le iniziative e misurando questa esplosione di ricerca. Conoscere cosa si sta facendo nel nostro Paese, dove si stanno sviluppando i progetti più interessanti, quanti finanziamenti stanno ricevendo queste ricerche sull’IA, sarebbe di primaria importanza per decisori politici ed esperti, anche per poter orientare la prossima fase di escalation dell’IA su una traiettoria sostenibile.

Si potrebbe, per esempio, commissionare all’ISTAT uno studio che, utilizzando qualche specifico indicatore di scienza e tecnologia, risponda alla domanda “quanto finanziano gli Enti pubblici di ricerca, le Università e le Agenzie governative i progetti di Ricerca e Sviluppo correlati all’IA?”.

La conoscenza di questi dati permetterebbe anche un maggior coordinamento del Governo tra politica della ricerca e politica industriale, coinvolgendo e sostenendo, anche economicamente, quelle imprese che si vogliono cimentare in collaborazioni nuove, consentendo loro un accesso più agevole alle infrastrutture di ricerca. Il panorama delle iniziative oggi disponibile non è sicuramente completo né esaustivo. Testimonia tuttavia una vitalità crescente. È pur vero che la digitalizzazione della PA centrale e periferica avanza a corrente alternata. A zone di eccellenza, ne vengono contrapposte altre di arretramento tecnologico.

Per colmare questo divario, si potrebbe pensare di adottare nel nostro contesto nazionale quello che Mario Draghi nel suo rapporto sulla competitività ha chiamato “Piano di priorità verticale per l’IA”.

L’obiettivo di questo piano, a cui imprese e PA dovrebbero essere incoraggiate a partecipare, sarebbe quello di accelerare lo sviluppo dell’IA in alcuni settori strategici, dove l’Italia avrebbe grandi potenzialità di leadership, che trarrebbero maggiori benefici da una rapida introduzione dell’IA: la genomica; la farmaceutica; l’aerospazio e la componentistica satellitare; i biosensori e la robotica per le applicazioni mediche; la biorobotica, con i robot ibridi che abbinano tecnologie ingegneristiche ad elementi biologici, che permetteranno alle macchine di agire in ambienti difficili (fondali oceanici o nello spazio); il riconoscimento visivo delle immagini; l’uso dei gemelli digitali applicati all’intera comunità urbana che permettono di replicare il sistema fisico delle città per prevederne i comportamenti e indirizzare le politiche urbane.

I partecipanti al piano beneficerebbero di agevolazioni e finanziamenti per lo sviluppo dei modelli e di una serie di esenzioni in materia di concorrenza e sperimentazione dell’IA. Sarà importante allocare finanziamenti specifici per lo sviluppo di soluzioni innovative, anche puntando a una più integrata collaborazione tra pubblico e privato. Sarebbe un bel modo per rendere più efficienti i servizi pubblici al cittadino e contestualmente irrobustire il nostro sistema, incoraggiando molti giovani talenti a restare nel nostro Paese o a pensare che valga la pena rientrare, perché troveranno un terreno fertile dove coltivare al meglio il proprio futuro.


Gianpiero Ruggiero
Lavora presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche in qualità di esperto in economia aziendale e in valutazione di progetti di ricerca e processi di innovazione. Svolge attività di analisi delle politiche pubbliche e dei provvedimenti legislativi, in particolare su politica della scienza e della tecnologia.

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