Giovannini, ecco il Festival dello Sviluppo Sostenibile 2023

Il direttore scientifico di Asvis presenta la manifestazione. E conferma l’importanza della sostenibilità anche per la pubblica amministrazione
6 Maggio 2023 |
Giulia Galliano Sacchetto

Inserimento dei principi dell’Agenda 2030 nei progetti del Pnrr, cibo, energia, geopolitica: sono alcuni dei grandi temi di cui si discuterà dall’8 al 24 maggio all’edizione 2023 del Festival dello Sviluppo Sostenibile. Ideato nel 2017 da ASviS (Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile) il Festival è l’occasione per fare il punto sulla diffusione delle pratiche e delle politiche per la sostenibilità economica, sociale e ambientale nel settore pubblico e in quello privato. Sull’edizione 2023 e non solo Innovazione Pa ha intervistato Enrico Giovannini, direttore scientifico di ASviS ed ex ministro delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili – un nome attribuito al dicastero dallo stesso Giovannini, prima che il suo successore tornasse alla precedente denominazione di ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti: “mi è dispiaciuto molto, ma di fatto molte delle iniziative che avevamo assunto stanno andando avanti” dice l’ex ministro.

Professor Giovannini, ci racconta come è nato il Festival dello Sviluppo Sostenibile?

Una premessa: nel 2015 viene approvata dall’Assemblea generale dell’Onu l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, che delinea un piano d’azione per tutti paesi del mondo da realizzare entro il 2030, costituito da 17 obiettivi e 169 target quantitativi. ASviS nasce a febbraio 2016 per attuare questa Agenda in Italia; inizialmente riunisce 80 aderenti della società civile, che diventano poi 150, fino agli oltre 320 attuali. L’Onu, il Parlamento Europeo e la Commissione Europea considerano ASviS una realtà unica al mondo, perché in nessun altro Paese c’è un’associazione della società civile così ampia e impegnata su tanti fronti. Uno di quelli in cui l’Alleanza si è impegnata fin da subito è l’advocacy, cioè le attività per far conoscere l’Agenda 2030 in Italia. Anche perché il governo Renzi, che nel 2015 aveva firmato l’agenda, nei mesi successivi non si stava impegnando granché nella sua comunicazione. Per questo ASviS crea il Festival dello Sviluppo Sostenibile, che va ad aggiungersi al Rapporto annuale che fa il punto della situazione e delle politiche, al calcolo degli indicatori degli Obiettivi di sviluppo sostenibile, che consentono di valutare come l’Italia e i suoi territori stanno provvedendo o meno ad attuarli, e a numerose altre attività, tra cui la formazione, dalle scuole all’università, fino alle aziende e alle pubbliche amministrazioni.

Quali obiettivi vi siete dati?

La manifestazione nasce per mobilitare la società civile. La prima edizione si tiene a maggio 2017 con circa 200 eventi e con una formula e una durata unica: come dice un grande organizzatore di festival italiani, infatti, abbiamo inventato il festival diffuso perché la nostra manifestazione non si tiene in un luogo specifico ma in tutta Italia, configurandosi come un grande aggregatore di iniziative, in parte promosse da ASviS, in gran parte da altri soggetti, come scuole, università e associazioni. L’altra particolarità del Festival è che dura 17 giorni, tanti quanti gli Obiettivi di sviluppo sostenibile. In realtà ci sono iniziative anche la settimana prima del Festival e quella dopo, i cosiddetti “Dintorni” del Festival. Il prossimo si terrà ufficialmente dall’8 al 24 maggio, ma con questi ultimi, coprirà praticamente l’intero mese. In questi giorni la società italiana verrà a dibattere tutti i diversi aspetti dell’Agenda 2030. L’anno scorso sono stati mille gli eventi organizzati, un record, in giro per l’Italia, quest’anno saranno oltre 800, cui se ne aggiungono 400 organizzate in manifestazioni “gemellate”.

Quali sono gli eventi di punta di questa edizione?

Quelli che organizziamo direttamente noi quest’anno sono 24. Si inizia con quello di Napoli dedicato al Pnrr e alle politiche di coesione, in cui si parlerà di come inserire l’Agenda 2030 in tutte le decisioni che verranno assunte nei prossimi mesi e anni. Si parla quindi di sviluppo regionale e sviluppo delle città, ma anche di disuguaglianze tra territori. Ci saranno, infatti, imprese che racconteranno le loro strategie di investimento, anche sul piano territoriale. Il Festival si chiude il 24 maggio: quel giorno torneremo, per la prima volta dopo la pandemia, ad effettuare una presentazione alla Camera dei Deputati e alle istituzioni internazionali (Onu, Ocse, Commissione Europea) e nazionali, a partire dal Governo e dal Parlamento: presenteremo 17 giorni di riflessioni sugli argomenti più diversi: dal cibo, all’energia, al ruolo delle università, fino ai problemi di geopolitica che impattano sullo sviluppo sostenibile.

Qual è la situazione della Pa italiana nel campo della sostenibilità? Quali gli interventi utili?

Anche le Pa devono fare quello che prevede l’Agenda 2030. In questo senso ci sono due dimensioni da considerare, su cui investire. La prima riguarda le politiche nazionali, regionali e comunali che devono essere disegnate e messe in campo: bisogna infatti pensarle seguendo gli Obiettivi dell’Agenda 2030. La seconda è far diventare le amministrazioni più sostenibili, che non vuol dire solo gestire bene i rifiuti e ridurre i consumi energetici, ma anche, per esempio, lottare contro la disuguaglianza di genere dentro le Pa. Pensiamo a quante amministrazioni scoraggiano la presenza di figure femminili nei ruoli dirigenziali e manageriali più alti… e questo nonostante il fatto che le Pa abbiano una quota di donne impiegate maggiore rispetto agli uomini, che però prevalgono al crescere delle responsabilità. Rimuovere questi meccanismi richiede una politica del personale, della formazione e della conciliazione vita-lavoro. Politiche orientate alla sostenibilità e ricerca della sostenibilità “interna” sono, dunque, due facce della stessa medaglia, e va riconosciuto che diverse amministrazioni stanno già facendo quanto necessario per ridurre l’impronta ecologica. Questi argomenti sono, tra l’altro, oggetto sia di corsi che da anni ho promosso nella Scuola Nazionale di Amministrazione (Sna), sia di corsi organizzati da ASviS, in collaborazione con altri soggetti come la stessa Sna, e destinati in particolare a funzionari e dirigenti di regioni e comuni. Inoltre, sul sito di ASviS c’è un nuovo corso che si chiama Pa 2030, che tratta tutte queste tematiche. Infine, ASviS lavora anche direttamente con le Pa, per esempio con le regioni per fare la programmazione strategica sulla base dell’Agenda 2030, assistendole nella formazione del personale e nell’analisi del territorio tramite gli indicatori da noi costruiti, che offrono una straordinaria fotografia dei punti di forza e di debolezza dei diversi territori, dalle regioni ai grandi comuni.

Quando è stato ministro ha cambiato il nome del dicastero in ministero delle Infrastrutture e Mobilità Sostenibili; ora il suo successore ha riportato in vigore la vecchia denominazione di Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti… è un passo indietro?

Non posso dirlo perché tutto dipende dalle azioni concrete che il Ministero realizza. La buona notizia è che i nomi dei dipartimenti in cui è articolato il Ministero sono rimasti invariati: ad esempio, si parla ancora di dipartimento della Mobilità Sostenibile e non dei Trasporti. Le scelte fatte per allocare i 16 miliardi di investimenti aggiuntivi dell’ultima Legge di bilancio per il 2023 sono state fatte in linea con quello che avevamo indicato come eredità al nuovo governo, in termini per esempio di metropolitane e potenziamento delle strutture idriche. Il nuovo Codice dei contratti, al di là di alcuni aspetti problematici legati al ruolo del dibattito pubblico nella costruzione di grandi opere e all’eccesso di ricorso a contratti senza gare, conferma le impostazioni che avevamo dato: mette, infatti, al centro dei bandi, in particolare di quelli che usano l’appalto integrato, i criteri di sostenibilità che avevamo usato per il Pnrr, estendendo questo approccio a tutte le opere pubbliche. Quindi per fare un appalto integrato si è obbligati a seguire le linee guida del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici sul progetto di fattibilità tecnico-economica, le quali impongono una relazione di sostenibilità, sulla cui base fare il bando di gara. L’impressione è che, al di là del cambio di nome, che pure mi è dispiaciuto molto, di fatto molte delle iniziative da noi assunte stanno andando avanti.

Parlando invece di imprese, soprattutto quelle più grandi per accedere alla finanza devono sempre più dimostrare di rispettare parametri di sostenibilità… ma fino a che misura questo vale anche per le Pmi?

La nuova direttiva europea, che non parla più di corporate social responsability ma di “relazione di sostenibilità”, estende, a partire dal 2024, alle imprese con più di 250 addetti gli stessi obblighi di rendicontazione che hanno le grandi imprese. Inoltre, la rendicontazione deve avvenire su tutta la filiera, coinvolgendo così anche le piccole imprese. Le imprese non dovranno più dichiarare, ad esempio, quanti gas climalteranti emettono mentre producono al loro interno, ma dovranno anche fornire dati su quante emissioni provocano per avere le materie prime, per distribuire i prodotti finiti e così via. Questo provvedimento va di pari passo con i nuovi standard nel settore delle costruzioni di cui sopra. Il Pnrr, infatti, prevede premialità per le aziende virtuose, ma anche condizionalità (in questi casi i parametri di sostenibilità sono necessari per ottenere i fondi, ndr). Come ha detto qualcuno nel mondo della moda, siamo in una nuova fase del capitalismo: prima lo si capisce meglio è per tutti, invece che sperare di poter resistere a questa trasformazione, che è costosa ma è anche molto vantaggiosa, da tutti i punti di vista compreso quello economico.

Con tutte queste iniziative non c’è un rischio di greenwashing?

Si sta costruendo un nuovo sistema di contabilità, un nuovo sistema di valutazione delle imprese che finalmente rompe il monopolio dell’utile. In questa situazione si insinua chi usa questi elementi per scopi di marketing, sfruttando un’asimmetria informativa tra imprese e consumatori, o tra imprese o istituzioni finanziarie e risparmiatori. Su questo la Commissione Europea ha definito maglie sempre più strette che, per esempio, hanno fatto uscire tanti fondi di investimento dalla lista di quelli realmente sostenibili, perché si dichiaravano sostenibili ma non lo erano. Questa maggiore trasparenza del mercato è fondamentale e comporta un lavoro che per i bilanci ordinari ha richiesto decenni, e che ora si sta facendo in pochi anni. Richiede però anche l’educazione delle persone, dei risparmiatori e dei consumatori per colmare l’asimmetria informativa.


Giulia Galliano Sacchetto
Giornalista professionista, con alle spalle esperienze in diversi campi, dalla carta stampata al web. Mi piace scrivere di tutto perché credo che le parole siano un’inesauribile fonte di magia.

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