Tra siccità e alluvioni le città mettono un cuscinetto

Nome internazionale Urban Water Buffer, nome in codice UWB, il cuscinetto idrico urbano è definito come un approccio che prevede interventi per trattenere più a lungo l’acqua piovana nel sottosuolo delle aree urbane e utilizzare l’acqua in modo efficace
25 Maggio 2024 |
Marta Abbà

La prima a suscitare ansia e clamore è stata Barcellona, per chi ha solitamente in mente (anche) altro. Minando programmi di viaggi a base di tapas e sangria, la mancanza di acqua in città ha raggiunto a inizio 2024 il grande pubblico, con toni dal sapore di scoop del tutto inadeguati. La siccità è infatti un fenomeno che si sta acuendo già da qualche anno, sia a livello di intensità, sia a livello di estensione. A doverci fare i conti, non sono più solo le aree agricole, portando alle stelle i prezzi e svuotando i banconi di frutta e verdura. Anche le città si trovano a dover dichiarare l’emergenza e adottare misure estreme. Lo ha fatto e lo sta facendo Barcellona, lo hanno fatto molte altre meno note prima, lo dovranno fare quasi tutte prima o poi: è un fenomeno oggi in parte imprevedibile e, soprattutto, in questo mondo tutto è connesso. Non solo in senso digitale, ma anche in senso ambientale e atmosferico.

Il clima dà i numeri

Nel più recente “Global Water Monitor” si legge chiaramente come “il caldo record in tutto il mondo stia avendo un impatto profondo sul ciclo globale dell’acqua, causando l’aumento delle condizioni estreme di siccità e umidità, con eventi meteorologici senza precedenti”. “Senza precedenti” nel 2023 ha significato ondate di caldo da record in tutto il mondo e fiumi prosciugati, soprattutto sul territorio che si affaccia sul Mediterraneo, uno dei più colpiti. “Senza precedenti” ha significato anche precipitazioni forti, intense e improvvise, causate sempre dal caldo. Un caldo non più anomalo: questa nuova situazione andrebbe considerata un modello globale con cui dobbiamo abituarci a convivere, anche se viviamo in Italia, il Paese dal clima che molti Paesi nordici ci hanno sempre invidiato, quello da cui sono tuttora attratti tanti dei turisti che arrivano a visitare le nostre spiagge e le nostre città. Se ne trova conferma nei numeri riportati nell’”Osservatorio Città Clima” di Legambiente, realizzato in collaborazione con Unipol. Nell’ultimo anno gli eventi meteo estremi sono cresciuti del 22% rispetto al 2022, soprattutto al Nord, con un aumento del 170% di alluvioni ed esondazioni fluviali, un aumento del 150% dei giorni con temperature record nelle aree urbane. A tutto ciò va associato anche un bilancio inedito di danni da siccità prolungata. Una contraddizione? No, la crisi climatica.

Adattamento o mitigazione? Entrambi

Focalizzandosi sulle città, soggetti forse più sorpresi dal dover fare anch’esse i conti con un cambiamento climatico che sembrava sempre altrove, il dilemma che si pone è quello tra mitigazione e adattamento. Non è necessario scegliere, meglio risparmiare le forze e il tempo per dedicarsi a comprendere la differenza e sviluppare delle strategie concrete per applicare entrambi gli approcci in maniera combinata e ragionata. Oggi sembra questa la scelta più opportuna, o per lo meno la più adeguata, per affrontare un futuro che non sappiamo e non sapremo immaginare con precisione.

Si parla di mitigazione quando l’intento è quello di rendere meno gravi gli effetti dei cambiamenti climatici prevenendo o riducendo le emissioni di gas a effetto serra (GHG) nell’atmosfera. In un certo senso si agisce a monte, al contrario dell’adattamento che invece interviene a valle, cercando di prevenire o ridurre al minimo i danni già davanti ai nostri occhi. Proprio quest’ultimo è un concetto molto delicato da diffondere: il rischio è che passi come un atteggiamento arrendevole che induce a continuare a vivere come sempre, accettando qualsiasi apocalittico scenario si stagli all’orizzonte delle prossime generazioni. Non è così: le strategie di adeguamento prendono atto di alcuni processi irreversibili ma chiedono con fermezza azioni concrete e anche coraggiose, per limitare gli effetti che essi possono oggi e in futuro causare. Un buon esempio per capire cosa significa in caso di siccità e piogge estreme è il cuscinetto idrico urbano.

Il cuscinetto per attutire l’impatto degli eventi estremi

Nome internazionale Urban Water Buffer, nome in codice UWB, il cuscinetto idrico urbano è definito come un approccio che prevede interventi per trattenere più a lungo l’acqua piovana nel sottosuolo delle aree urbane e utilizzarla in modo efficace. Quasi tutte le città finiranno per imparare cosa significa questo acronimo, quindi, perché le aree urbane si trovano sempre più spesso a dover affrontare inondazioni temporanee causate da forti precipitazioni o carenze idriche dovute a lunghi periodi di siccità.

All’inizio, come chi si improvvisa idraulico ma nella vita fa tutt’altro, si prova a scaricare rapidamente l’acqua, fornendone poi da fonti esterne: interventi impulsivi ed emergenziali che inizialmente hanno un’efficacia apparente e, sul lungo periodo, nulla. Arriva infatti presto il momento, anche per le city più smart, in cui ci si accorge che la crisi climatica non è cosa da chi vive fuori, ma una sfida anche per i territori costruiti, soprattutto se fittamente costruiti. Anzi, per certi aspetti si hanno delle criticità da affrontare proprio legate alla presenza di troppi edifici, strade e piazze al posto di prati e colline, più allenati ad attutire fenomeni climatici anche imprevisti.

Una grande estensione della superficie pavimentata, per esempio, impedisce all’acqua di infiltrarsi facilmente nel sottosuolo e la costringe a defluire attraverso corpi idrici di superficie e reti fognarie, rendendone impossibile il riutilizzo. Gli ambienti intensamente edificati come quello cittadino non dispongono inoltre di spazi per la raccolta e la ritenzione delle precipitazioni in eccesso. Molte smart cities non sono pronte né per la siccità, né per le precipitazioni intense. Per diventarlo attraverso la prevenzione delle inondazioni e il miglioramento dell’approvvigionamento idrico, alcune hanno iniziato a realizzare l’Urban Water Buffer (UWB).

All’Aja un parco fa fiorire un quartiere

Guardando l’acqua del mare dalla distanza di 6 km, L’Aja è parte dell’agglomerato urbano chiamato Randstad ed è anche una delle aree con il livello di precipitazioni più elevato d’Europa. Non si è spostata dal 1230, anno attorno al quale è stata fondata, ma è cambiato il clima e oggi su questa città il cielo scarica scrosci di precipitazioni intense mai viste, in inverno, mentre tace durante l’estate, lasciando spazio a ondate di calore nuove. Questo modello climatico inedito provoca uno squilibrio tra la domanda e l’offerta di acqua in un sistema localmente non abituato e non attrezzato per gestire allagamenti localizzati e periodi in cui l’acqua potabile scarseggia, arrivando a creare disagi ai cittadini.

Preso atto di non poter proseguire continuando a comportarsi come se avesse a che fare con episodi spot, L’Aja si è data l’obiettivo di adattarsi ai cambiamenti climatici entro il 2050 e ha scelto proprio l’urban water buffer come strategia di adattamento agli eventi meteorologici estremi. L’idea ha iniziato a concretizzarsi nel 2019 con l’adesione al consorzio Nature Smart Cities e il progetto di sviluppare un cuscinetto idrico urbano (UWB) come parte della riqualificazione del parco comunitario Cromvliet.

Nel concreto si è trattato di realizzare dei pozzi d’acqua sotterranei per infiltrare l’acqua piovana raccolta e immagazzinarla in falde acquifere più profonde, a disposizione per uso locale. Questo sistema è composto da casse con un volume di 70 metri cubi che trattengono l’acqua per poi farla convogliare in un biofiltro di superficie pari a 30 metri quadrati dove viene filtrata, raggiungendo poi una falda acquifera sotterranea, situata in profondità. In questo modo si riesce a far aumentare l’effetto spugna dell’ambiente, riducendo il rischio di assistere a ristagni dopo ogni acquazzone violento. Allo stesso tempo, si accumula acqua per affrontare i periodi caldi perché la si conserva per poi pomparla e utilizzarla per irrigare la vegetazione del parco. È il modo per mantenerlo verde, quindi gradevole per i cittadini, ma anche per mitigare le temperature a livello locale.

Tutto ciò nel cuore di un parco urbano, ma non uno dei tanti, quello situato nel quartiere di Laak, uno dei più vulnerabili dal punto di vista sia sociale che ambientale perché da sempre sottoposto a molteplici sfide che riguardano gli alloggi, come la salute e la sicurezza. E anche la mancanza di spazi esterni comuni dove coltivare un senso del bene pubblico e di comunità. Una scommessa audace, quindi, perché compiere dei lavori spesso disturba e perché innescare un cambiamento spaventa, che lo si ammetta o no, qualunque esso sia, anche se per scopi benefici.

Quella di Laak è una scommessa che sembrerebbe vinta: a progetto completato, nel 2022, il parco Cromvliet mostrava una maggiore reattività climatica e una ricca biodiversità, e i cittadini hanno iniziato a goderne come spazio pubblico verde e sano. Non solo: coinvolgendo i residenti nella progettazione del cuscinetto idrico urbano, a quello delle casse d’acqua sotterranee si sono sommati altri progetti per migliorare la qualità di vita. Proprio dagli abitanti della zona, sono arrivate proposte per rendere migliore il clima che vi si respira dal punto di vista sociale, attraverso iniziative ludiche, floreali e solidali. Una delle più amate è stata la raccolta dell’acqua piovana dai balconi per un riutilizzo incentrato sulle piante, durante i periodi di siccità.

A conti fatti, con un investimento di 3 milioni di euro, a cui sommare i 650.000 di sovvenzione del programma UE Interreg 2 Seas, il Comune de L’Aia è riuscito scollegare 7.000 metri quadrati di superficie di rete fognaria e altri 1.000 metri quadrati di tetti, e a filtrare sia le acque piovane che quelle di superficie, raccogliendo 8.500 metri quadrati di H2O da riutilizzare a partire da quest’anno. Quanto al parco, si è allargato di 25.000 metri quadrati, conquistando 70 nuovi alberi. Un bilancio positivo per un progetto ambizioso che oggi si vuole e si potrebbe replicare in altri quartieri, rendendo questa città olandese, pezzo dopo pezzo, sempre più adeguata ad affrontare la crisi climatica in corso.

Rotterdam, la vera pioniera dei cuscinetti

Se il cuscinetto de L’Aja ha ammorbidito anche i rapporti tra gli abitanti del quartiere e quelli con l’amministrazione pubblica locale, il cuscinetto di Rotterdam è riuscito a unire aziende e Comune con un progetto che risulta ufficialmente il primo a livello nazionale. Il primo non per uso agricolo ma cittadino, per arrestare lo spreco di acqua piovana pulita che lo appesantiva rendendolo meno redditizio, perché passava attraverso il sistema fognario per raggiungere le acque superficiali o un impianto di trattamento delle acque reflue (STP).

In questo caso l’UWB ha permesso di scollegare le superfici pavimentate dalla rete fognaria, raccogliendo l’acqua in un’area di 4,8 ettari. Un sistema che, perlomeno all’inizio, con precipitazioni abbondanti riusciva a produrre 20.000 metri cubi di acqua raccolta all’anno. Il meccanismo è simile a quanto già visto: una volta purificata e immagazzinata in profondità nel sottosuolo, l’acqua non fa altro che attendere di essere utile ai cittadini di Rotterdam. Per la pulizia delle finestre e dei pavimenti, per lo sciacquone dei bagni e per il lavaggio dello Zuiderpark in estate, per far risparmiare alla città tutta un totale di 15.000 metri cubi di acqua potabile all’anno. Tanti o pochi? In tempi di siccità, ogni singola goccia di tale volume è un grazie a chi ha avuto il coraggio di realizzare il progetto.

Una fragilità climatica senza confini 

Due progetti su due realizzati in Olanda, non devono spingere a pensare che solo questo Paese si sia mosso per adeguarsi alle dinamiche climatiche impattanti sulla qualità della vita dei suoi abitanti. Essendo però Paesi Bassi di nome e di fatto, con solo il 50% circa del territorio posto a 1 metro sopra il livello del mare e quasi il 26% sotto, è naturale che siano più preoccupati e, allo stesso tempo abituati, ad avere a che fare con minacce di tipo idrico.

Anche chi non è così basso come l’Olanda, però, deve iniziare a preoccuparsi di come l’acqua scorre (o meno) a terra o cade (o meno) dal cielo. Non si tratta di allarmismo, ma di una consapevolezza condivisa, perlomeno dalle città della rete C40. Sono un centinaio, sparse in tutto il mondo, e si sono collegate per affrontare la crisi climatica adottando un approccio inclusivo, scientifico e collaborativo. Dimezzare la loro quota di emissioni entro il 2030, contribuire a limitare il riscaldamento globale e costruire comunità sane, eque e resilienti sono i tre obiettivi condivisi attorno a cui fioriscono idee, progetti e iniziative ad hoc per ogni contesto locale. Copiabili e declinabili in un clima di lavoro solidale.

A unire le città coinvolte c’è anche l’urgenza di rafforzare la propria resilienza e la propria sostenibilità urbana entro il 2030 e di proteggere le comunità più vulnerabili dai gravi rischi di inondazioni e siccità entro il 2027. Lo scorrere inesorabile del tempo probabilmente rimbomba nella testa dei sindaci di 16 di queste città che, a fine novembre 2023, hanno lanciato il Water Safe Cities Accelerator. Questo accordo si basa sulla promessa di affrontare in modo sistematico le questioni legate all’acqua entro il 2030, dato che i rischi climatici inerenti sono responsabili del 90% dei disastri globali.

Nella “to do list” dei sindaci firmatari vi sono misure per migliorare l’accesso all’acqua, la protezione dalle inondazioni o la gestione delle acque reflue. Due impegni sono comuni a tutti: la realizzazione di sistemi completi di allerta precoce in aree ad alto rischio e a basso reddito e la creazione di piani di risposta alle emergenze per garantire la sicurezza e i beni di prima necessità. Poi, ciascuna città può decidere come procedere, imboccando uno dei tre percorsi proposti. Il primo riguarda l’accesso universale equo all’acqua potabile, il secondo si focalizza sulla protezione dalle inondazioni e il terzo sull’azzeramento delle emissioni da parte dei sistemi idrici e di acque reflue.

Milano, unica città italiana “accelerata” in tal senso da C40, avrebbe deciso per il secondo, sviluppando soluzioni integrate e, allo stesso tempo, aumentando la resilienza delle persone e delle infrastrutture ai loro impatti. Il sindaco Giuseppe Sala ha annunciato “azioni locali per una gestione dell’acqua più sicura e sostenibile, anche attraverso la pavimentazione e l’utilizzo di soluzioni basate sulla natura per migliorare l’infiltrazione delle acque meteoriche”. Le altre città europee, sempre puntando sulla collaborazione con organizzazioni pubbliche, private e della società civile, sembrano preoccupate per ragioni simili. Sia Rotterdam che Copenhagen manifestano infatti la preoccupazione di non restare in balia di un alternarsi brusco e ingestibile di siccità e acquazzoni che minaccia la loro fama di città con qualità di vita alta.

Istruttivo e interessante, oltre che utile a sviluppare empatia globale, è l’osservare come in alcuni altri continenti le emergenze spazino in ambiti differenti da questo. L’urgenza di Freetown (Sierra Leone) è, per esempio, quella di garantire l’accesso a un approvvigionamento idrico sicuro, economico e sostenibile entro il 2028 a tutta la sua popolazione. Similmente si stanno muovendo Tshwane (Sudafrica) e anche Quito (Ecuador), ma dividendo gli sforzi per cercare di lavorare anche su sistemi di allerta precoce nelle aree vulnerabili, per salvaguardare la vita delle persone e migliorare la risposta efficace alle potenziali emergenze dovute ai rischi legati al clima. Sfogliando i progetti di ciascuna delle 16 città si percepisce la comunanza di intenti  ma anche l’assonanza tra gli approcci scelti per perseguirli. Nella totale e netta diversità di condizioni al contorno, potenzialità economiche, strumenti e quadri normativi, tutte le realtà coinvolte stanno pensando come squadra e non come capitani coraggiosi, né come attori pubblici slegati dal resto di quelli che operano e impattano sulla vita di città. Uno scenario inedito per lo meno quanto la crisi climatica a cui stiamo assistendo e che ci si augura possa mitigarla o mitigarne gli effetti negativi.

A cura di Marta Abbà 

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