Un atlante digitale del mare italiano, per proteggerlo meglio

Con il progetto MER e 400 milioni del PNRR, ISPRA sta realizzando progetti per salvare la biodiversità. L’Europa lo chiede, il Paese lo necessita
28 Agosto 2024 |
Marta Abbà

Finora siamo andati a naso, tastando le viscere del paziente e sperando di mitigare i sintomi. Ora gli facciamo un’ecografia. Il malato è il nostro mare: i suoi livelli di biodiversità stanno calando mentre aumenta la fragilità delle coste. E poi, questo esame, glielo ha prescritto l’Unione Europea con la Nature Restoration Law, la legge recentemente approvata che chiede a tutti di ripristinare entro il 2030 almeno il 20% delle aree terrestri e marine degradate, il 60% entro il 2040 e il 90% di queste entro il 2050. Per rispettarla, serve analizzare lo stato attuale e monitorarlo: ecco perché l’ISPRA sta realizzando la più vasta e ricca mappatura delle nostre coste, multisensore e multilivello.

Ne ricaverà un gemello digitale, una piattaforma open con cui simulare interventi di “nature restoration”, appunto, partendo da informazioni accurate e recenti sulla dinamica costiera. “Questo monitoraggio unico nel suo genere permette al Paese di pianificare al meglio le prossime iniziative a beneficio del nostro mare. Finora sono stati fatti interventi spesso senza valutare se un sito fosse davvero idoneo. Ora diventa possibile simularli in digitale e capire se sono davvero efficaci guardandone gli effetti su uno schermo” spiega Francesco Rende, Responsabile della Sezione per lo sviluppo tecnologico e supporto del monitoraggio e della ricerca applicata all’ambiente marino profondo di ISPRA.

Digitalizzare 7.500 km di mare e coste

Parte del progetto MER, progetto finanziato con 400 milioni di euro del PNRR per il ripristino e la protezione dei fondali e degli habitat marini, questa ecografia costiera è il passo fondamentale per realizzare la prima edizione dell’atlante digitale dei mari italiani. Uno strumento che sarà l’essenziale punto di partenza per rimboccarsi le maniche e capire come agire per proteggere e ripristinare la biodiversità marina e, allo stesso tempo, monitorare in continuo modi, tempi e intensità dell’impatto che hanno su di essa la crisi climatica e la presenza antropica.

La mappatura in corso, iniziata nel mese di maggio, non è un primato solo nazionale: le nostre trascurate coste era anni che non venivano osservate con così tanta cura, in particolare per quel che concerne la presenza e lo stato di salute delle praterie di Posidonia oceanica e Cymodocea nodosa. Così ampia e così dettagliata, rappresenta un’unicità anche a livello europeo mentre a livello mondiale, prima di noi, solo Stati Uniti e Australia hanno compiuto operazioni simili.

Le attività di rilievo di ISPRA verranno infatti condotte su tutto il territorio costiero nazionale, spaziando le tre sotto-regioni costiere (Mar Mediterraneo Occidentale, Mar Ionio e Mare Mediterraneo Centrale, Mare Adriatico) per una lunghezza totale di circa 7.500 km e una larghezza di fascia analizzata di 850 metri, 800 in mare e il resto di bordo terrestre. Un’analisi con scala spaziale mai vista e che, oltre a ricavare un benchmark relativo alla salute delle preziose Posidonia oceanica e Cymodocea nodosa, si occuperà anche di censire oltre 70 monti sottomarini, da 500 fino a 2.000 metri di profondità, e di raccogliere informazioni dettagliate sulla batimetria e la morfologia della costa, per affinare le previsioni di fenomeni di erosione costiera e di vulnerabilità delle coste in caso di eventi estremi come le mareggiate e le inondazioni.

Tanti sensori per un check-in completo

Per ottenere tutte queste differenti tipologie di informazioni, su territori con caratteristiche molto varie – causa la variegata bellezza delle coste italiane – ISPRA ha messo in campo numerosi strumenti di rilevamento. Necessari anche i veicoli per trasportarli, alla quota giusta, nel momento giusto, nel posto giusto.

Si parte con i dati da satellite per una mappatura globale utile a ricavare informazioni funzionali alla pianificazione dei voli aerei che saranno effettuati per utilizzare altri diversi sensori. “È necessario tenere conto della distribuzione di Posidonia oceanica e Cymodocea nodosa per definirne limiti attuali e capire come analizzarla nel dettaglio” spiega Rende. Sotto i satelliti, viaggiano due aerei con a bordo sensori LIDAR, strumenti che sfruttano l’impulso laser per determinare la distanza di un oggetto o di una superficie come la concentrazione di specie chimiche nell’atmosfera e nelle distese d’acqua. Voleranno quasi in parallelo, per mappare rispettivamente la fascia costiera e quella marina, km per km. Il primo, con un sensore topografico, accarezza la parte emersa con una risoluzione di 15 cm. Il secondo indaga le profondità del mare, fino a qualche centinaia di metri, per lasciarci all’asciutto e restituirci la topografia del fondale e le caratteristiche dell’habitat marino, raccontando la salute della fauna come i siti di possibile stoccaggio del carbonio.

Sulla superficie del mare, una nave con sensori acustici si dedica intanto alle aree marine protette mentre sotto due veicoli a guida autonoma procedono a una completa scansione del fondale con camera multispettrale. Analisi ancora più approfondite sono previste in corrispondenza di aree protette o siti Natura 2000, ma per tutti i km di costa italiana, tutta da proteggere, ISPRA sta mappando in dettaglio morfologia del territorio e presenza e salute delle praterie, identificando le zone maggiormente degradate su microscala.

Fugro e l’italian CGR: le eccellenze tecnologiche alleate

Un’operazione di tale entità richiede una squadra di sensori, ma anche di partner e quella messa in campo per il progetto MER è internazionale, a partire dall’azienda capofila, l’inglese Fugro, a cui si devono i sensori LIDAR all’avanguardia a massima risoluzione sistemati a bordo degli aerei CGR. Questi velivoli arrivano da Parma, città da sempre sede di questa storica azienda italiana leader, anche in Europa, nel settore della fotogrammetria e del telerilevamento.

L’enorme quantità di dati raccolti, richiede l’intervento anche di un altro alleato, non un’altra azienda ma una tecnologia: l’intelligenza artificiale. In questo contesto non le si chiede di parlare né di creare immagini, ma di analizzare i dati on edge, prima che siano inviati alla piattaforma centrale, per selezionarli e minimizzare l’entità del flusso di informazioni da trasmettere. Una ottimizzazione che conta sulla capacità dell’AI di riconoscere sul campo, in fase di raccolta, la tipologia di terreno e di vegetazione rilevata dai sensori. “In questa preanalisi è in grado di discriminare il ritorno dell’impulso laser indicando se il fondo è roccioso, sabbioso o coperto di vegetazione” precisa Rende.
Non solo Posidonia: tutti i benefici del digital twin

Oltre a queste, e a tutte le informazioni relative alla Posidonia e alla Cymodocea, l’ecografia in corso indaga anche lo stato della fascia costiera per identificare eventuali fenomeni di regressione e arretramento, zone a rischio di crolli e collassi e altre simili criticità terrestri.

Informazioni preziose per chi si occupa di realizzare piani di prevenzione e di intervento relativi a eventi del genere, o di pianificazione e gestione del territorio. Similmente, questo vale per i pericoli legati a tsunami e maremoti: il gemello digitale sarà prezioso per individuare interventi mirati, puntuali e sperabilmente di massima efficacia.

“Con questa mappatura, l’Italia si candida ad avere informazioni di grande dettaglio, senza cui non potremmo agire con consapevolezza” spiega Rende, aggiungendo ai tanti benefici ottenuti anche quelli nell’ambito della navigazione. La Marina Militare potrà infatti sfruttare i dati in arrivo da ISPRA per incrementare quelli usati nella realizzazione di documenti cartografici e alzare il livello di sicurezza di navigazione. E, una volta on line, il digital twin sarà consultabile da tutti, da chiunque sia curioso di esplorare virtualmente la forma dei fondali o quella delle coste, o di conoscere lo stato di salute della fauna marina che vi abita. Ma anche da qualsiasi ricercatore, che potrà sfruttare l’inedito patrimonio di dati raccolti da ISPRA per accelerare e potenziare studi in corso o in arrivo.

Il giro del mare in 22 mesi

Iniziata a maggio, questa lunga ecografia, in termini sia di tempo che di spazio, richiede 22 mesi. Dopo gli opportuni test, la prima regione analizzata è stata la Sardegna, per poi proseguire sulla parte di penisola e scendere verso sud, sul lato tirreno. A fine 2024, con un giro di boa, si inizierà a risalire lungo le coste adriatiche, fino a toccare le brevi coste slovene.

In contemporanea, sempre nell’ambito del progetto MER, ISPRA sta realizzando numerosi altri interventi, sempre a beneficio dell’ecosistema marino nazionale. In tutto sono 18 e coinvolgono aree marine protette, Parchi Nazionali e oltre 29 Zone Speciali di Conservazione secondo l’Unione Europea.

Sfogliando il progetto MER

Per esempio, verranno rimosse le pericolose “Ghost Nets“, le reti fantasma, assieme a tutti gli attrezzi da pesca abbandonati in mare e che rappresentano la gran parte dei rifiuti che possiamo noi stessi ammirare sulle spiagge, abbandonati. Si tratta di operazioni subacquee di durata pari a 28 mesi, con scadenza a giugno 2026, condotte tra i 20 e i 70 metri di profondità, mirate a rimuoverli, raccoglierli e trasportarli, ma poi ci si occupa anche del loro smaltimento o dell’eventuale riciclo di alcuni attrezzi da pesca, abbandonati prematuramente al loro destino e che possono essere ancora utili a chi è disposto a regalare loro una seconda vita.

Un altro progetto che nasce sotto il cappello MER riguarda la realizzazione di UMRO, l’Unità Mobile di Ricerca Oceanografica. Uno strumento unico nel suo genere in Europa – anche dal punto di vista estetico trattandosi di un vero e proprio furgone da ricerca – e in grado di monitorare lo stato del mare, il campo di correnti superficiali e la batimetria mediante un ‘Wave Radar’. L’utilizzo di questa tecnologia permette di sfruttarne tutte le doti, in primis quella di saper comprendere le cause e gli effetti dell’erosione e le interazioni delle onde con le infrastrutture costiere. La piena operatività di questo laboratorio itinerante è prevista entro giugno 2025, quando sarà dotato anche di specifici software di elaborazione dei dati per poter fornire ricostruzioni bidimensionali del moto ondoso (altezza d’onda significativa, lunghezza d’onda, periodo, direzione onde dominanti), del campo di correnti superficiali e dell’evoluzione della batimetria del fondale all’interno del raggio d’azione del radar (fino a 6 km).

In dettaglio, ciò significa poter effettuare il rilevamento e il tracciamento di obiettivi riflettenti sulla superficie del mare, come la presenza di sversamenti, e di monitorare nel tempo e nello spazio le aggregazioni di rifiuti galleggianti sulla superficie del mare. Un’opportunità preziosa, soprattutto se si affianca la misurazione di onde e correnti superficiali effettuata dal sistema, con quella degli inquinanti rilevati. Questa integrazione di informazioni, consentirà infatti di prevedere come la macchia inquinante si può propagare, informazione utile per chi si occupa del suo recupero.

Per chi si domanda perché un furgone, invece di un comodo laboratorio o un semplice ufficio, la sfida dei rilevamenti di questo genere è la difficoltà di farsi trovare sul posto, nel momento in cui le cose avvengono.

Con un’unità mobile come UMRO, si potrà invece raggiungere senza particolari problemi anche le zone più impervie, in modo da acquisire ed elaborare la grande quantità di dati raccolti dal radar direttamente in loco, e in diretta, senza la necessità di tornare in sede. Che unità mobile sarebbe, infatti, se non fosse dotata di una sala operativa attrezzata? Al suo interno, invece che materassini, vestiti e accessori come un furgone da campeggio, si stanno installando strumenti all’avanguardia per effettuare l’acquisizione, la gestione, l’elaborazione delle informazioni in arrivo dal Wave Radar. Sempre con ciò che ci sarà a bordo di questo furgone di ricerca, si potrà anche procedere con la trasmissione dei dati verso una centrale di concentrazione dati fissa. Un mezzo davvero speciale, in dotazione a ISPRA, che permetterà di organizzare campagne di monitoraggio ad hoc nelle aree costiere di particolare interesse lungo tutta la penisola.

Cozze e ostriche, non solo nel piatto

Nelle acque del golfo di Follonica, si procede invece con una strategia di monitoraggio diffuso, per capire e tenere sotto controllo sia le cozze che i pesci d’allevamento presenti in quest’area, nota più per le sue offerte turistiche che per la biodiversità fragile che ne paga il prezzo. Grazie ai fondi del progetto MER, ISPRA sta realizzando una rete di centraline, collegate tra loro da una wifi subacquea, chiamate a controllare la presenza di inquinanti e ridurre l’impatto ambientale dell’acquacoltura su questo tratto di mare da tremila ettari.

I ripetitori di questo network di sorveglianza marina non saranno altro che dei modem acustici collegati a una boa che poi trasferisce il segnale a terra.

Una vera e propria sperimentazione all’avanguardia per un’area particolarmente ricca dì biodiversità a rischio. Un modello di sistema di monitoraggio che ISPRA vuol trasformare in standard nazionale nel giro di pochi anni. Sarebbe una svolta importante per il contrasto all’inquinamento ma anche ai danni causati dall’acquacoltura. Con questo termine si indica l’allevamento di pesci o molluschi in grandi gabbie o vasche in mare e di primo acchito non è evidente, a chi non opera nel settore, il motivo per cui ci si deve preoccupare per le conseguenze che questo genere di attività può avere sull’ambiente, ma ne ha, di negative e non trascurabili. Le principali sono legate alla immissione in ambienti naturali di reflui inquinanti, sostanze ricche di composti organici in grado di portare forti squilibri, innescando fenomeni di eutrofizzazione (crescita incontrollata di alghe e fitoplancton). Misurando la concentrazione di ossigeno, la temperatura, il grado di torbidità, l’attività batterica, la clorofilla e la corrente, i sensori ISPRA avranno il doppio compito di stimare l’impatto di questi allevamenti intensivi sulla qualità dell’acqua e, viceversa, di capire se la sua qualità sia tale da riuscire a danneggiare la produzione e, di conseguenza, anche la salute di chi si alimenta con quanto immesso poi sul mercato.

Una volta elaborati e contestualizzati, i dati saranno infatti messi a disposizione sia degli allevatori sia delle autorità di controllo. I primi potrebbero capire se stanno esagerando con il mangime, rischiando magari anche inconsapevolmente di creare uno sbilanciamento del sistema e un’eccessiva crescita di alghe che si ritorcerebbe contro loro stessi. Similmente vale per gli escrementi dei pesci che rappresentano una fonte di inquinamento organico problematica da gestire in un’area circoscritta. Non solo alert, per gli allevatori, però. Avranno anche vantaggi direttamente legati al loro business, in primis la certezza di offrire cozze, mitili, orate o spigole di allevamento sane, non contaminate da alcun sversamento di sostanze potenzialmente pericolose. I sensori lo rilevano e li avvisano, in modo che possano salvare la propria produzione evitando danni agli affari e ai potenziali clienti.

In tutt’altra area, ma sempre nella fascia che il progetto MER sta mappando nel suo gemello digitale integrale, c’è un’attività differente in corso e che merita di essere raccontata. Si tratta della ricostruzione di ciò che può essere considerato l’equivalente della barriera corallina tropicale, in versione mediterranea. I mattoncini sono i gusci dell’ostrica piatta europea, ora in costruzione in appositi impianti di incubazione situati sulla terraferma, nei pressi del Delta del Po. Almeno un migliaio di esemplari sono amorevolmente allevati per poi essere introdotti in mare allo scopo di ricostruire banchi di cui molte altre creature potranno beneficiare. Andranno ad abitare in ben cinque regioni italiane – Friuli Venezia Giulia, Veneto, Emilia Romagna, Marche e Abruzzo – in aree appositamente scelte perché idonee a ospitare questa specie che, prima di diventare prelibatezza nei piatti di chi ne va matto, sulla terraferma, in mare ha il ruolo di ingegnere ecosistemico. Ospita, protegge, nutre, fa tutto il possibile per ricreare quell’ecosistema dì biodiversità che i mari italiani possedevano, e possono tornare a ospitare.

LIDAR, la spada laser per la ricerca

Dietro all’acronimo LIDAR (Light Detection and Ranging o Laser Imaging Detection and Ranging) si nasconde la potenza della lunghezza d’onda che caratterizza un impulso laser, quando sfruttata per il telerilevamento. Con questo strumento si possono infatti determinare la distanza di oggetti o di superfici, arrivando a conoscere forme che non possiamo per varie ragioni guardare con i nostri occhi. Allo stesso modo, sempre con il LIDAR, si riesce a rilevare anche la concentrazione di specie chimiche dell’aria della nostra atmosfera, per esempio, come anche dell’acqua dei nostri mari, come accade del progetto MER.

Il nome di questa tecnologia richiama quello del radar e anche il meccanismo di funzionamento: la distanza è sempre determinata misurando il tempo trascorso tra l’emissione e la ricezione di un certo segnale. Nel caso del LIDAR si usa la luce invece delle onde radio, un fascio di luce coerente e a una precisa lunghezza d’onda, quella ultravioletta, nel visibile o nel vicino infrarosso. Non una scelta casuale, quella di chi ha deciso di realizzare questo strumento di rilevamento, consapevole che il range identificato permette di localizzare e ricavare immagini e informazioni su oggetti molto piccoli, anche di dimensioni pari alla lunghezza d’onda usata.

Partendo da questa considerazione, ciascuno può trarre le proprie conclusioni e, soprattutto, immaginare le diverse applicazioni possibili. Sensibile com’è, questo strumento riesce a studiare l’aerosol e il particolato in sospensione nelle nuvole, infatti è molto usato in meteorologia e in fisica dell’atmosfera, ma lo troviamo anche in geologia, sismologia e archeologia. Rispetto al radar, il LIDAR offre anche la possibilità di rilevare oggetti non-metallici come pioggia e rocce che con le onde radio producono riflessioni molto più deboli, se non assenti, come accade esattamente con polveri, molecole e l’aerosol citato prima. Il laser, con la sua coerenza e la densità del fascio riesce a essere riflesso bene dai piccoli oggetti, diventando ideale per misurare fumi e particelle in sospensione aerea. Allo stesso tempo, permette la mappatura di caratteristiche fisiche con risoluzione molto alta che serve per ottenere mappature remote precise. Anche la NASA non a caso lo utilizza. 

 

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