Con l’elezione di Trump la transizione globale verso l’energia pulita potrebbe trovarsi di fronte a nuovi ostacoli da superare. Eppure, secondo l’International energy agency (Iea) l’energia pulita sta entrando nel sistema energetico a un ritmo “senza precedenti”. L’agenzia parla di oltre 560 gigawatt (Gw) di nuova capacità rinnovabile aggiunta nel 2023. I flussi di investimento nei progetti di energia pulita si avvicinano alle due migliaia di miliardi di dollari ogni anno, quasi il doppio della somma spesa per la nuova fornitura di petrolio, gas e carbone, e i costi per la maggior parte delle tecnologie pulite si sono abbassati, dopo essere aumentati a seguito della pandemia di Covid-19. E si dovrebbe passare dai 4.250 gigawatt odierni ai quasi 10mila nel 2030. Numeri importanti, che però non permetterebbero di raggiungere l’obiettivo di triplicare la diffusione delle rinnovabili, fissato durante la precedente Cop 28 di Dubai. Una quota che basterebbe però a coprire la crescita della domanda globale di elettricità dei prossimi anni, spingendo l’industria fossile all’inevitabile declino.
A fare da capofila è sempre la Cina che, nel 2023, rappresentava il 60% della nuova capacità rinnovabile aggiunta in tutto il mondo, e nei prossimi anni i megaimpianti solari del Dragone Rosso saranno in grado di coprire la domanda (odierna) di elettricità degli Usa. E proprio il solare promette di essere il traino di questa crescita tanto che entro il 2040 potrebbe diventare la prima fonte di energia al mondo.
Per quanto riguarda l’Italia si registrano buoni avanzamenti nel campo delle rinnovabili. Gli obiettivi italiani sul Goal 7 (Energia pulita e accessibile) dell’Agenda 2030 registrano infatti un trend positivo, che dipende principalmente dalla diminuzione dell’intensità energetica – ovvero il rapporto tra Cil (consumo interno lordo di energia) e Pil – ma anche dall’aumento della quota di energia da fonti rinnovabili rispetto al consumo finale lordo. Ma, nonostante ciò, secondo le proiezioni di ASviS bucheremo uno degli obiettivi centrali di fine decade, ovvero raggiungere la quota di almeno il 42,5% nei consumi finali di energia da fonti rinnovabili (se va bene si parla del 35,9%).
Un discorso inverso, invece, va fatto per l’intensità energetica: entro il 2050 bisogna ridurre il valore del 42,5% (rispetto al 2019) e, stando al cammino compiuto finora, questa opzione potrebbe realizzarsi. Per quanto riguarda i consumi energetici finali, invece, l’Italia è ancora indietro: infatti, entro il 2030 andrebbero ridotti del 20% rispetto al 2020, ma secondo le stime di Prometeia (società di consulenza che ha collaborato con l’ASviS per stilare indicatori e previsioni al 2030) questo obiettivo non sarà raggiunto. In più, le politiche italiane non stanno favorendo granché il processo. Il Piano nazionale integrato energia e clima (Pniec) non appare all’altezza delle sfide. Inoltre, il Piano non ha recepito le proposte avanzate dall’ASviS, finendo per giocare un ruolo di sostegno a ciò che resta delle fonti fossili, al nucleare e ai Sad (sussidi ambientalmente dannosi), senza orientare la transizione verso le rinnovabili, la decarbonizzazione e l’elettrificazione dei consumi. Eppure uno sviluppo veramente e fortemente rinnovabile potrebbe permettere di fornire alternative energetiche a un Paese come l’Italia che registra un costo dell’energia straordinariamente elevato, nonostante la riduzione dell’ultimo biennio rispetto ai picchi raggiunti nel 2022. Una condizione che, vale la pena ricordarlo, ha portato due milioni di famiglie, cioè circa il 7,7% del totale, in una condizione di povertà energetica, con la Calabria in testa (22,4%).
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