“Un profondo cambiamento nell’offerta di trasporto per creare entro 5 anni strade, ferrovie, porti e aeroporti più moderni e sostenibili in tutto il Paese”. È questo l’obiettivo della terza missione del Piano nazionale di ripartenza e resilienza (PNRR), che si concentra proprio sulle infrastrutture per una mobilità sostenibile. Ormai ci siamo, il fiume di risorse economiche previsto dal Next Generation Eu (Ngeu) è in arrivo: 750 miliardi di euro, oltre a un rafforzamento mirato del bilancio a lungo termine dell’Ue per il periodo 2021-2027, di cui all’Italia spetta la fetta più grande. Il premier Mario Draghi ha previsto investimenti per 221,1 miliardi e sei missioni per far ripartire economia e produttività. L’obiettivo è portare il Pil nel 2026 a 3,6 punti percentuali in più rispetto allo scenario di base, con un’occupazione più alta del 3,2%. Investimenti che si accompagnano a un corposo pacchetto di riforme che toccano, tra gli altri, gli ambiti della pubblica amministrazione, della giustizia, della semplificazione normativa e della concorrenza. Nel dettaglio il Piano italiano prevede investimenti pari a 191,5 miliardi di euro, finanziati attraverso il Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza, lo strumento chiave del Ngeu. Ulteriori 30,6 miliardi sono parte di un Fondo complementare, finanziato attraverso lo scostamento pluriennale di bilancio approvato nel Consiglio dei ministri del 15 aprile scorso. Si tratta di un intervento epocale, che intende riparare i danni economici e sociali della crisi pandemica, contribuire a risolvere le debolezze strutturali dell’economia italiana, e accompagnare il Paese su un percorso di transizione ecologica e ambientale. Per stravolgere e ammodernare il sistema delle infrastrutture nazionali sono previsti 25,40 miliardi, pari al 13,26% del totale dell’importo del Pnrr, da investire per rafforzare ed estendere l’alta velocità ferroviaria nazionale e potenziare la rete ferroviaria regionale, con una particolare attenzione al Mezzogiorno.
La missione si articola in due componenti. La prima sono gli investimenti sulla rete ferroviaria (quantificati in 24,77 miliardi) e sono destinati allo sviluppo dell’intero sistema ferroviario italiano: questa componente è dedicata al completamento dei principali assi ferroviari ad alta velocità ed alta capacità, all’integrazione fra questi e la rete ferroviaria regionale e alla messa in sicurezza dell’intera rete. L’obiettivo principale è potenziare il trasporto su ferro di passeggeri e merci, aumentando la capacità e la connettività della ferrovia e migliorando la qualità del servizio lungo i principali collegamenti nazionali e regionali, anche attraverso il rafforzamento dei collegamenti transfrontalieri. La seconda componente – Intermodalità e logistica integrata – prevede interventi per un totale di 0,63 miliardi a supporto dell’ammodernamento e della digitalizzazione del sistema della logistica. Altri fondi nazionali, per rendere più efficaci questi interventi, verranno utilizzati per investimenti per la Sicurezza stradale 4.0, al fine di migliorare la sicurezza e la resilienza climatica/sismica di ponti e viadotti, utilizzando le soluzioni fornite dall’innovazione tecnologica e in un’ottica di adattamento ai cambiamenti climatici. Inoltre saranno finanziati interventi per lo sviluppo del sistema portuale per il miglioramento della competitività, capacità e produttività dei porti italiani, con una particolare attenzione alla riduzione delle emissioni inquinanti; si realizzeranno infine ulteriori interventi di rafforzamento del Servizio ferroviario regionale. Queste le premesse: ora bisognerà rendere effettivi gli impegni presi perché le infrastrutture restano un elemento cruciale per la ripresa economica del Paese e per la competitività globale del tessuto produttivo. Da agosto è online italiadomani.gov.it, il portale ufficiale dedicato al Pnrr dove non solo sono illustrati i contenuti ma viene anche raccontato il percorso di attuazione attraverso schede dedicate al monitoraggio degli investimenti e delle riforme, con notizie sullo sviluppo degli interventi. Questo consentirà a tutti i cittadini di consultare lo stato di avanzamento di ogni investimento e le spese sostenute.
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Al netto del Pnrr oggi in Italia ci sono progetti e cantieri per oltre 300 miliardi e la spesa per gli investimenti è in costante aumento, escludendo ovviamente la parentesi del lockdown dello scorso anno. Il problema è il fabbisogno, ma qui il Pnrr giocherà il suo ruolo. Una buona riuscita dell’operazione può valere non meno di tre punti di Pil al 2026. Da tener presente, però, che secondo l’ultimo rapporto Censis per le opere infrastrutturali del Paese il tempo complessivo di attuazione è pari in media a 4 anni e 5 mesi, la fase di progettazione presenta durate medie variabili tra 2 e 6 anni, la fase di aggiudicazione dei lavori oscilla tra 5 e 20 mesi, i tempi medi di esecuzione variano tra 5 mesi e quasi 8 anni. Il Servizio studi della Camera ha elaborato un ampio rapporto nel quale si fa il punto sulla realizzazione e lo stato di avanzamento delle infrastrutture considerate strategiche per l’economia e il benessere del Paese. Ad oggi il costo complessivo delle infrastrutture strategiche e prioritarie programmate ammonta a 305 miliardi di euro. Di questi, ben 262, circa l’86%, sono riferiti a infrastrutture prioritarie, cioè a programmi e interventi indicati come prioritari e individuati con i Def 2015, 2017, 2019 e 2020, oltre a interventi infrastrutturali da sottoporre a commissariamento. Il monte-infrastrutture per i prossimi anni va dunque ben oltre lo stesso NextGenEu. Per quanto riguarda i restanti 42,9 miliardi (il 14%) sono riconducibili a infrastrutture strategiche non prioritarie, che non sono state inserite nei documenti citati. Un secondo aspetto che emerge dal rapporto, è il progressivo aumento del peso pubblico nel finanziamento delle infrastrutture strategiche: “Le risorse complessivamente disponibili al 31 dicembre 2020 ammontano a 205 miliardi, il 67% del costo previsto, e il fabbisogno residuo, necessario per completare le infrastrutture programmate, ammonta a circa 100 miliardi (33%)”. Il contributo pubblico rappresenta l’83% (169,6 miliardi) e quello privato il restante 17% (35,3 miliardi). A ottobre 2019, su un ammontare di risorse disponibili di 199 miliardi, il contributo pubblico rappresentava il 78% (155 miliardi) e quello privato il 22%, segno di un’avanzata dello Stato nel finanziamento delle grandi opere. Secondo alcuni analisti, “la minore disponibilità di risorse private, relative principalmente a autostrade e aeroporti, è da ricondurre principalmente alle problematicità legate all’affidamento in concessione di nuove tratte autostradali o al rinnovo di concessioni in essere e all’esigenza di verifica delle strategie di sviluppo di alcuni dei principali scali aeroportuali nazionali anche a seguito della crisi epidemiologica da Covid-19”. Stringendo il campo, gli investimenti italiani in infrastrutture correranno essenzialmente su due binari: le ferrovie e i porti. “L’analisi evidenzia la centralità delle ferrovie alle quali spetta quasi la metà del costo complessivo (128,497 miliardi su 262,321 miliardi totali)”, si sostiene nel rapporto. Non mancando di sottolineare come “la netta prevalenza delle infrastrutture ferroviarie non sorprende in quanto è un risultato conforme alle linee programmatiche del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti che mirano a uno sviluppo di sistemi integrati di trasporto per una mobilità sostenibile, a lunga percorrenza e locale, anche al fine di ridurre l’inquinamento nelle città e procedere nel percorso di decarbonizzazione”. C’è però un problema. E cioè che alla voce ferrovie, su 128 miliardi di spesa, c’è un fabbisogno del 52%, oltre 66 miliardi. Soldi che lo Stato ad oggi non ha. Un gap che solo un buon uso del Pnrr può colmare. “Saranno fondamentali le risorse che verranno rese disponibili a valere sul Piano nazionale di ripresa e resilienza al fine di rendere, entro il 2026, il sistema infrastrutturale più moderno, digitale e sostenibile, in grado di rispondere alla sfida della decarbonizzazione indicata dall’Unione europea con le strategie connesse allo European Green Deal”, chiarisce il rapporto. Proprio per questo si è deciso di destinare 24,77 del Pnrr miliardi alla rete ferroviaria e in particolare a progetti per il completamento dei principali assi ferroviari ad alta velocità ed alta capacità, all’integrazione fra questi e la rete ferroviaria regionale e alla messa in sicurezza dell’intera rete ferroviaria. C’è un ultimo dato interessante nel rapporto. “Il settore delle opere pubbliche nell’ultimo biennio ha avviato una nuova fase operativa e di spesa. Secondo i dati dell’Istat aggiornati al 2 aprile 2021, dopo le flessioni del triennio 2016-2018 la spesa per investimenti della Pubblica amministrazione è tornata crescere, del 9,5% nel 2019 e del 6,7% nel 2020. […] Si tratta di un dato importante vista la pesante caduta nel secondo trimestre causata dalla crisi pandemica e dal lockdown. Dopo la crescita del 6,7% nel primo trimestre del 2020, la spesa per investimenti ha registrato una contrazione dell’11,3% nel secondo trimestre, ma nel terzo e quarto trimestre dell’anno la spesa ha ripreso a crescere, rispettivamente del 18,6% e 14,7%. Anche gli investimenti fissi lordi in costruzioni degli enti locali, dopo le pesanti contrazioni del 2016 e del 2017, sono tornati a crescere del 14,9% nel 2019 e del 2,3% nel difficile 2020”.
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Sono soprattutto le autostrade le ‘regine’ tra le grandi incompiute d’Italia, tutte quelle infrastrutture per cui sono stati definiti i progetti, stanziati i finanziamenti, iniziati i lavori, ma che poi per un motivo o per l’altro procedono a rilento, si inceppano, quando non si fermano del tutto. Autostrade appunto, o superstrade, porti, dighe, ferrovie, ponti, tunnel, musei, carceri, mercati, stazioni, tribunali, ex colonie abbandonate; il campionario è ampio e comprende non solo il pubblico ma anche le iniziative private. A volte falliscono le imprese, altre finiscono i fondi, spesso sono i ricorsi di imprese che hanno perso la gara d’appalto, quando non inchieste giudiziarie vere e proprie, o violazioni delle norme ambientali. Tra commissariamenti, nuove procedure e fondi del Pnrr molte di queste opere saranno sbloccate, ma forse è il caso di fare ancora una volta il punto. L’opera forse più famosa è l’A12, l’Autostrada Tirrenica, che doveva collegare Genova con Roma ma che aspetta da decenni di essere completata. Manca tutto il tratto centrale tra Toscana e Lazio di 180 km, al suo posto dovrebbe realizzarsi un’Aurelia “potenziata” a quattro corsie, ma i tempi sono incerti. Ancora in Toscana si attende il completamento, forse nel 2026, della Fano-Grosseto. Manca all’appello la tratta fra Siena e Grosseto e i lotti fra Siena e il confine umbro-marchigiano. In Lombardia c’è il caso della Pedemontana Lombarda, l’autostrada che doveva collegare Bergamo e Varese lungo un percorso di 98,8 chilometri di cui circa il 75% in galleria. Dalla posa della prima pietra, avvenuta nel 2010, la conclusione è slittata più volte: il completamento dell’ultimissima tratta, quella da Cassano Magnago a Osio Sotto è previsto nel 2030. Con un costo complessivo di 4 miliardi e 118 milioni, inclusi i 62 km di opere connesse. In Piemonte c’è la A33 Asti-Cuneo, una storia che dura da 30 anni. Al momento si presenta come un moncone, con un viadotto nei pressi di Cherasco che finisce nei campi, perdendosi nel nulla. Mancano 9,5 chilometri per unire le due province. A giugno c’è stato lo sblocco dell’ultima fase necessaria per l’avvio dei lavori. Tra Umbria e Marche il caso della Perugia-Ancona la superstrada appaltata dalla società pubblica Quadrilatero – controllata da Anas – a tre aziende diverse, che una dopo l’altra sono fallite, lasciando le imprese del territorio fornitrici e sub-appaltatrici a tentare di riscuotere crediti. Tra le altre opere bloccate, in Sardegna c’è il caso dell’ex arsenale alla Maddalena. La struttura, risistemata per ospitare il G8, che poi invece fu dirottato a L’Aquila, in seguito doveva diventare un approdo per yacht di lusso, ma non è mai stata utilizzata. Nel fondale antistante non sono mai state eseguite le bonifiche: ora potrebbe farle la Regione Sardegna che ha preso in carico l’immobile, su cui grava un’Imu da 1,2 milioni di euro. A Reggio Calabria tra i problemi c’è il palazzo di giustizia, opera appaltata nel lontano 2005 per 50 milioni e costellata di ritardi e contenziosi, con la rescissione del contratto per l’impresa inizialmente appaltatrice e altre vicissitudini per quella subentrante. C’è poi un’opera emblema tra quelle fantasma, la diga sul fiume Melito, nel comune di Gimigliano (Catanzaro). Un’opera avviata negli anni ’80 dalla Cassa del Mezzogiorno ma poi abbandonata a causa di contenziosi e beghe burocratiche. Per ora uno spreco di oltre 180 milioni di euro per quella che potrebbe essere una delle più grandi dighe italiane. Ma per terminarla occorrerebbero circa 550 milioni.
Per velocizzare i tempi, si è deciso di procedere con i commissariamenti. In due tranche, una ad aprile e una a giugno di quest’anno, sono stati nominati un totale di 42 commissari per gestire 101 opere pubbliche per un totale di 96 miliardi di euro, dei quali 28,7 al Nord (30%), 27,2 al Centro (28%) e 40 al Sud (42%). Erano opere pubbliche da tempo bloccate a causa di ritardi legati alle fasi progettuali ed esecutive e alla complessità delle procedure amministrative. Ad aprile l’intervento ha interessato 16 infrastrutture ferroviarie, 14 stradali, 12 caserme per la pubblica sicurezza, 11 opere idriche, 3 infrastrutture portuali e una metropolitana, per un valore complessivo di 82,7 miliardi di euro (21,6 miliardi al Nord, 24,8 miliardi al Centro e 36,3 miliardi al Sud) finanziate, per circa 33 miliardi di euro. Per quanto riguarda le tipologie di interventi, le infrastrutture ferroviarie hanno un valore di 60,8 miliardi, quelle stradali 10,9 miliardi, i presidi di pubblica sicurezza 528 milioni, le opere idriche 2,8 miliardi, le infrastrutture portuali 1,7 miliardi, la metropolitana 5,9 miliardi. Per accelerare la realizzazione di tali interventi, a dicembre 2020 è stato firmato con le organizzazioni sindacali un Protocollo d’intesa che prevede l’ottimizzazione dei turni di lavoro su 24 ore. Diverso è lo stato di attuazione delle infrastrutture. Per alcune opere il commissariamento consentirà di avviare la progettazione, per altre l’avvio in tempi rapidi dei cantieri. Sulla base dei cronoprogrammi disponibili, nel corso del 2021 si prevede l’apertura di 20 cantieri, cui se ne aggiungeranno 50 nel 2022 e ulteriori 37 nel 2023. L’impatto occupazionale delle sole opere ferroviarie e stradali è valutabile in oltre 68.000 unità di lavoro medie annue nei prossimi dieci anni, con un profilo crescente fino al 2025, anno in cui si stima un impatto diretto sull’occupazione di oltre 100.000 unità di lavoro. Tra le opere ferroviarie principali oggetto del commissariamento si segnalano: le linee AV/ AC Brescia-Verona-Padova, Napoli-Bari, Palermo-Catania-Messina; il potenziamento delle linee Orte-Falconara e Roma-Pescara; la chiusura dell’anello ferroviario di Roma; il potenziamento con caratteristiche di AV della direttrice Taranto-Metaponto-PotenzaBattipaglia. Tra le opere stradali principali rientrano: la SS Ionica 106; la E 78 Grosseto-Fano; la SS 4 Salaria e la SS 20 del Colle di Tenda; la SS 16 Adriatica; la SS 89 Garganica. I presidi di pubblica sicurezza verranno realizzati a Palermo, Catania, Reggio Calabria, Crotone, Napoli, Bologna, Genova e Milano. Gli altri interventi riguardano l’Acquedotto del Peschiera e numerose dighe in Sardegna, i porti di Genova, Livorno e Palermo.
Dopo il decreto pubblicato ad aprile, una seconda lista di 44 opere pubbliche da sbloccare mediante il commissariamento, per un valore di 13,2 miliardi di euro, è stata inviata il 5 giugno 2021 alle Camere per acquisire il parere da parte delle Commissioni parlamentari competenti. Per accelerare la realizzazione di questa seconda tranche di opere è prevista la nomina di 13 commissari straordinari. In questa nuova lista, in particolare, sono previsti 18 interventi sulla rete stradale, 15 infrastrutture ferroviarie, 2 opere di trasporto rapido di massa per migliorare la mobilità urbana a Roma e Catania e 9 per presidi di pubblica sicurezza. Si tratta di opere caratterizzate da un elevato grado di complessità progettuale ed esecutiva, unito a criticità rilevate nell’iter amministrativo. Per quanto riguarda la ripartizione territoriale, 15 sono al Nord (per 7,1 miliardi di euro), 16 al Centro (2,4 miliardi di euro) e 13 al Sud (3,7 miliardi di euro). Fra le opere stradali proposte per il commissariamento sono previsti interventi sulla SS28 Tangenziale di Mondovì, sulla SS64 Porrettana, sulla SS80 Gran Sasso d’Italia, sulla SS372 Telesina, sulla SS268 del Vesuvio, sulla ‘Aurelia bis’ in Liguria. Per quanto riguarda le infrastrutture ferroviarie, alcune opere da commissariare riguardano anche i luoghi interessati dai Giochi Olimpici invernali 2026 di Milano-Cortina. Viene proposto anche l’adeguamento del tracciato verso il tunnel ferroviario transfrontaliero Torino-Lione. Sono infine proposti interventi per i collegamenti con porti e aeroporti e l’elettrificazione di linee ferroviarie al Sud. Nel settore del trasporto pubblico locale, le opere da commissariare riguardano la metropolitana di Catania con il prolungamento fino all’aeroporto di Fontanarossa, e il potenziamento di linee tranviarie a Roma. In sintesi: 15 interventi al Nord (7,1 mld di euro), 16 interventi al Centro (2,4 mld di euro), 13 interventi al Sud (3,7 mld di euro). “Bisogna ricordare – ha detto il ministro Giovannini – che il commissariamento è un atto straordinario. Per questo, abbiamo elaborato una serie di interventi normativi e procedurali per ridefinire le regole esistenti per la realizzazione delle infrastrutture, a partire da quelle previste nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. La Commissione che abbiamo istituito alcune settimane fa con Il Ministro Brunetta ha completato i suoi lavori e le numerose proposte formulate per rendere più veloci i percorsi di tutte le opere pubbliche sono ora al vaglio dei competenti uffici”. I Commissari straordinari, cui spetta ogni decisione per l’avvio o per la prosecuzione dei lavori, provvedono all’eventuale rielaborazione e approvazione dei progetti non ancora appaltati, insieme ai Provveditorati interregionali alle opere pubbliche e mediante specifici protocolli per l’applicazione delle migliori pratiche. È previsto che l’approvazione dei progetti da parte dei Commissari, d’intesa con i Presidenti delle regioni territorialmente competenti, sostituisca a effetto di legge ogni autorizzazione, parere, visto e nulla osta occorrenti per l’avvio o la prosecuzione dei lavori, salvo che per quelli relativi alla tutela ambientale e dei beni culturali e paesaggistici, per i quali è definita una specifica disciplina. Per l’esecuzione degli interventi, i Commissari straordinari possono assumere direttamente le funzioni di stazione appaltante e operano in deroga alle disposizioni di legge in materia di contratti pubblici, fatto salvo il rispetto di una serie di principi e di disposizioni, tra cui quelli relativi all’aggiudicazione e l’esecuzione di appalti e concessioni, alla sostenibilità energetica e ambientale, al conflitto di interesse. Inoltre, un ulteriore limite è quello relativo alle disposizioni del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione e del subappalto.
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“Una rete di trasporto digitalizzata, a basso impatto ambientale ed efficiente è una condizione necessaria per una crescita economica sostenibile, creando una connettività più intelligente, rapida e sicura in tutta Italia e migliorando la competitività e la produttività dei territori collegati. Da un punto di vista ambientale – si legge nel Pnrr – il trasferimento del traffico passeggeri e merci dalla strada alla ferrovia, con la conseguente riduzione della congestione stradale, avrà importanti impatti sull’abbattimento delle emissioni di gas serra. In particolare, si stima che un aumento della quota dei passeggeri che utilizzano la ferrovia dal 6% al 10% comporterà un risparmio annuo di CO2 pari a 2,3 milioni di tonnellate”. Quindi le proposte di interventi infrastrutturali e tecnologici nel settore ferroviario consistono nello:
• Sviluppo dell’alta velocità/capacità e alla velocizzazione della rete ferroviaria per passeggeri e merci.
• Completamento dei corridoi ferroviari TEN-T (Trans European Transport Network).
• Completamento delle tratte di valico.
• Potenziamento dei nodi, delle direttrici ferroviarie e delle reti regionali.
• Riduzione del gap infrastrutturale Nord-Sud.
Sono previsti interventi di velocizzazione delle principali linee passeggeri e di incremento della capacità dei trasporti ferroviari per le merci, lungo gli assi Nord-Sud ed Est- Ovest, per favorire la connettività del territorio e il trasferimento del traffico da gomma a ferro sulle lunghe percorrenze. In particolare, nel Nord si potenzieranno le tratte Milano- Venezia, Verona-Brennero e Liguria-Alpi, migliorando i collegamenti d’Oltralpe con i porti di Genova e Trieste; nel Centro si rafforzeranno due assi Est-Ovest (Roma-Pescara e Orte-Falconara), riducendo i tempi di percorrenza e aumentando le capacità; verrà inoltre potenziata e velocizzata la linea adriatica da Nord a Sud. Si estenderà l’Alta Velocità al Sud, con la conclusione della direttrice Napoli-Bari, l’avanzamento ulteriore della Palermo-CataniaMessina e la realizzazione dei primi lotti funzionali delle direttrici Salerno-Reggio Calabria e Taranto-Potenza-Battipaglia. Un’attenzione particolare sarà riservata alle ferrovie regionali: si tratta di interventi in particolare nel Mezzogiorno, mirati a omogeneizzare ed elevare gli standard delle infrastrutture esistenti sia per il traffico viaggiatori che per quello merci. Gli interventi prevedono l’adeguamento di alcune linee regionali (tra cui Canavesana, Torino-Ceres, BariBitritto, Rosarno-San Ferdinando, Sansepolcro-Terni, Benevento-Cancello, la rete gestita da Ferrovie del Sud-Est, Ferrovie Appulo Lucane) agli standard tecnici della rete nazionale. Ulteriori interventi (tra cui Circumvesuviana e Cumana, Circumetnea, Cosenza- Catanzaro, Raddoppio Andria-Barletta) sono finanziati su risorse nazionali.
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La digitalizzazione dei sistemi logistici, inclusi quelli aeroportuali, avrà un rilevante ruolo nel rilancio dell’economia, grazie all’utilizzo di soluzioni tecnologiche innovative per rendere più efficiente il sistema e ridurre l’impatto ambientale. Per questo, come sottolinea il Governo, è necessario concepire le infrastrutture logistiche come un unicum di nodi e reti interconnesse, che consentano una movimentazione dei carichi quanto più possibile fluida e priva di “colli di bottiglia”. La rivoluzione digitale e l’aumento di produttività saranno perseguite attraverso un investimento significativo per portare banda larga e 5G nei nodi principali della catena logistica. L’intervento è trasversalmente collegato con la missione digitalizzazione che contiene interventi destinati alla diffusione della Banda larga e del 5G sulle aree bianche e grigie del territorio. A questo si aggiungono i progetti di sviluppo del sistema portuale che riguardano interventi di riforma sui porti finalizzati a garantire l’intermodalità con le grandi linee di comunicazione europee, sviluppando collegamenti con i traffici oceanici e con quelli intermediterranei, aumentando la dinamicità e la competitività del sistema portuale italiano, per ridurre le emissioni dannose per il clima. Gli investimenti legati a questa componente consentiranno un aumento dei volumi di passeggeri (che nel 2019 si attestavano a 56 milioni, di cui 12 milioni da navi da crociera) e merci (nel 2019 479 milioni di tonnellate), comportando una sostanziale riduzione del traffico stradale. Allo stesso tempo, i progetti contribuiranno alla creazione di posti di lavoro, non solo nelle aree portuali ma anche nell’entroterra, stimolando lo sviluppo economico sia a livello locale che nazionale.
Oltre alla digitalizzazione, si sta imponendo anche il tema, trasversale ad altre missioni, della necessità di puntare su nuove forme di alimentazione per abbattere le emissioni. Certo, l’uso di veicoli elettrici è il nostro futuro più prossimo, che spinge a una revisione delle reti elettriche per garantire una stabilità al sistema. Le infrastrutture di distribuzione di energia elettrica in futuro dovranno essere in grado di gestire un sistema di generazione radicalmente diverso e flussi di energia distribuita da molti impianti. Raggiungere gli ambiziosi obiettivi di decarbonizzazione richiede una rete di distribuzione di energia elettrica resiliente, digitale e flessibile per garantire sia una gestione ottimizzata della produzione di energia rinnovabile che la transizione dei consumi energetici verso il vettore elettrico. L’intervento previsto dal Pnrr è quindi finalizzato ad aumentare il grado di affidabilità, sicurezza e flessibilità del sistema energetico nazionale, aumentando la quantità di energia prodotta da FER (Fonti di Energia Rinnovabile) immessa nella rete di distribuzione e promuovendo una maggiore elettrificazione dei consumi. Due le linee progettuali: La prima mira a incrementare la capacità di rete di ospitare ulteriore energia da fonti rinnovabili per 4.000 MW, anche tramite realizzazione di interventi di smart grid su 115 sottostazioni primarie. La seconda concerne l’aumento di capacità e potenza a disposizione delle utenze per favorire l’elettrificazione dei consumi energetici (es. mobilità elettrica, riscaldamento con pompe di calore), con un impatto su circa 1.850.000 utenti. Inoltre l’intensificazione di eventi mete estremi causati dai cambiamenti climatici richiede interventi preventivi sulle infrastrutture di rete. Le reti elettriche sono risultate negli ultimi anni fortemente esposte a tali eventi, soprattutto in alcune aree dell’Italia settentrionale e centrale, con conseguenze molto negative per le aree interne, dove la popolazione è mediamente più anziana e i rischi causati da una prolungata interruzione delle forniture (anche di vari giorni) particolarmente gravi. L’iniziativa del Pnrr ha l’obiettivo di aumentare la resilienza del sistema elettrico, con riduzione sia di probabilità che di durata e entità di interruzioni di corrente in caso di fenomeni climatici estremi. L’investimento è finalizzato a migliorare la resilienza di circa 4.000 km di rete. Al momento lo sviluppo di mobilità basata su veicoli elettrici rappresenta una rilevante opportunità di decarbonizzazione del settore, ma è ancora estremamente limitata ed incide per lo 0,1 per cento sul totale dei veicoli. Anche se questa percentuale è in costante aumento. Per raggiungere gli obiettivi europei in materia di decarbonizzazione è previsto un parco circolante di circa 6 milioni di veicoli elettrici al 2030 per i quali si stima siano necessari 31.500 punti di ricarica rapida pubblici. Il Pnrr si pone l’obiettivo di sviluppare 7.500 punti di ricarica rapida in autostrada e 13.755 in centri urbani, oltre a 100 stazioni di ricarica sperimentali con tecnologie per lo stoccaggio dell’energia.
In un futuro più lontano, che però l’Italia non può rischiare di sottovalutare, ci sarà la necessità di integrare l’elettrico con l’idrogeno. Da una prima indagine statistica del 2011, la superficie totale delle aree industriali nel territorio nazionale era di circa 9.000 km quadrati, una superficie pari quasi a quella dell’Umbria. La maggior parte delle aree sono in posizioni strategiche per contribuire a costruire una rete idrogeno efficiente. Il Pnrr si pone l’obiettivo di promuovere la produzione locale e l’uso di idrogeno nell’industria e nel trasporto locale, con la creazione delle cosiddette hydrogen valleys, aree industriali con economia in parte basata su idrogeno. Per contenere i costi verranno utilizzate aree dismesse già collegate alla rete elettrica, per installare in una prima fase elettrolizzatori per la produzione di idrogeno mediante fonti di energia rinnovabili. Il progetto ha l’ambizione di dare a questi luoghi una seconda vita, utilizzando le loro infrastrutture esistenti, se compatibili, per una serie di servizi energetici, con una produzione prevista in questa fase di 1-5 MW per sito. L’idrogeno può aiutare a decarbonizzare i settori hard-to-abate, cioè altamente energivori. Due esempi di questi sono i settori dei prodotti chimici e della raffinazione del petrolio, in cui l’idrogeno è già utilizzato nella produzione di prodotti chimici di base, come ammoniaca e metanolo, e in una serie di processi di raffinazione. Ad oggi l’idrogeno è principalmente prodotto nella sua forma “grigia”, cioè dal gas naturale, ma questo processo non è privo di emissioni: ci sono tutte le premesse per iniziare a utilizzare l’idrogeno verde e sviluppare il mercato (in Europa, sono già stati lanciati diversi progetti negli ultimi anni). Altri settori energivori includono l’acciaio, il cemento, il vetro e la carta. In particolare, l’acciaio è uno dei settori dove l’idrogeno può assumere un ruolo rilevante in prospettiva di progressiva decarbonizzazione. Un ciclo dell’acciaio basato sull’idrogeno verde aumenta l’abbattimento delle emissioni di circa il 90 per cento. Essendo l’Italia uno dei più grandi produttori di acciaio, secondo solo alla Germania a in Europa, questo intervento mira quindi anche alla progressiva decarbonizzazione del processo produttivo dell’acciaio attraverso il crescente utilizzo dell’idrogeno, tenendo conto delle specificità dell’industria siderurgica italiana. La transizione verso l’idrogeno sarà graduale e distribuita nel tempo con l’obiettivo di sviluppare competenze e nuove tecnologie in modo competitivo e ovviamente includerà anche i veicoli. Il trasporto tramite autocarri a lungo raggio è uno dei segmenti più inquinanti nel settore dei trasporti, responsabile per circa il 5-10 per cento delle emissioni di CO2 complessive. L’intervento del Governo ha lo scopo di promuovere la creazione di stazioni di rifornimento a base di idrogeno e implementare i progetti di sperimentazione delle linee a idrogeno. I distributori saranno adatti per camion e auto, funzionanti anche a pressioni di oltre i 700 bar. La realizzazione di questa rete sarà in linea con la direttiva UE del 22 ottobre 2014 per le Infrastrutture per Combustibili Alternativi che ha l’obiettivo di realizzare Corridoi Verdi alimentati a idrogeno per autocarri pesanti. Grazie a tale misura, il segmento degli autocarri a lungo raggio potrebbe registrare una penetrazione significativa dell’idrogeno fino al 5-7 per cento del mercato entro il 2030. Attraverso gli investimenti del Pnrr, sarà possibile sviluppare circa 40 stazioni di rifornimento, dando priorità alle aree strategiche per i trasporti stradali pesanti quali le zone prossime a terminal interni e le rotte più densamente attraversate da camion a lungo raggio (es. Corridoio Green and Digital del Brennero, progetto cross-border, corridoio Ovest – Est da Torino a Trieste). Sperimentazione dell’idrogeno per il trasporto ferroviario Un altro settore di interesse per l’idrogeno è il settore ferroviario, in particolare il trasporto ferroviario passeggeri. In Italia circa un decimo delle reti ferroviarie è servito dai treni diesel, e in alcune regioni italiane i treni diesel hanno un’età media elevata e dovrebbero essere sostituiti nei prossimi anni, rendendo questo il momento giusto per passare all’idrogeno, in particolare dove l’elettrificazione dei treni non è tecnicamente fattibile o non competitiva. L’intervento prevede quindi la conversione verso l’idrogeno delle linee ferroviarie non elettrificate in regioni caratterizzate da elevato traffico in termini di passeggeri con un forte utilizzo di treni a diesel come Lombardia, Puglia, Sicilia, Abruzzo, Calabria, Umbria e Basilicata. Ad oggi non esistono stazioni di rifornimento a idrogeno per i treni in Italia, ma con gli investimenti previsti nel Pnrr sarà possibile convertire circa 9 stazioni di rifornimento su 6 linee ferroviarie.
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