Il futuro delle quattro ruote è a guida autonoma

Quello dei veicoli che si guidano da soli è un settore in crescita, che offre diversi vantaggi in termini di accessibilità e riduzione dell’impatto ambientale. Ma permangono ancora diversi dubbi legati alla sicurezza e alla privacy
23 Agosto 2024 |
Giulia Galliano Sacchetto

Stare seduti rilassati mentre fuori scorre il traffico cittadino o il paesaggio intorno ad un’autostrada. Ma anche essere più sicuri all’interno del veicolo, con pochissime probabilità di fare incidenti. Tutto ciò fino a qualche anno fa sembrava fantascienza, ma oggi si sta avvicinando sempre di più alla realtà, proprio grazie alla guida autonoma. Non va però dimenticato l’impegno che ciascuno dovrebbe mettere nel ridurre l’uso dell’auto privata, perché su un pianeta invivibile a causa del clima la guida autonoma servirebbe a ben poco.

Questo nuovo tipo di tecnologia è uno dei trend maggiormente seguiti dal settore dell’automotive negli ultimi anni, con numerose sperimentazioni anche in Italia. Va detto che già da tempo circolano numerosi veicoli dotati di livelli base di autonomia, ma soltanto da poco si stanno affacciando sulla scena quelli più avanzati, dove non serve mettere mano al volante e, addirittura, prestare attenzione alla strada. Le stime di McKinsey prevedono che la guida autonoma potrà generare un volume di affari tra 300 e 400 miliardi di dollari entro il 2035.

Come funzionano i veicoli a guida autonoma

Un’auto a guida autonoma è un veicolo in grado di guidare da solo. Questo grazie ad una combinazione di sensori, telecamere, radar e intelligenza artificiale: l’uso simultaneo di queste tecnologie permette al veicolo di spostarsi tra diverse destinazioni senza la necessità di intervento umano, anche su strade che non siano state pre-adattate allo scopo. Per valutare il livello di automazione di ciascun veicolo, il mondo dell’automotive ha adottato una scala di classificazione che va da 0 a 5: (si parla anche di) 6 livelli perché, appunto, il primo livello è lo 0.

Livello 0, nessuna automazione: il conducente controlla l’auto senza alcun tipo di supporto da parte di un sistema di assistenza alla guida su tratte dell’auto tradizionale;

Livello 1, assistenza alla guida: in questo caso sono presenti sul veicolo ausili come cruise control adattivo, controlli elettronici di stabilità del veicolo (ESC), il supporto dinamico di frenata, i sistemi di mantenimento della corsia di marcia;

Livello 2, automazione parziale: qui ci sono almeno due funzioni primarie automatiche di controllo del veicolo che agiscono congiuntamente (ad esempio cruise control adattivo combinato con il lane centering) e consentono al guidatore di cedere il controllo di alcune funzioni in situazioni limitate, per esempio su un tratto di autostrada a velocità costante;

Livello 3, guida autonoma limitata: a questo punto ci si comincia ad avvicinare alla vera e propria guida autonoma perché il guidatore può cedere al sistema il pieno controllo delle funzioni critiche di sicurezza, ma limitatamente a precise condizioni di traffico e ambientali;

Livello 4, automazione elevata: in questo caso la guida autonoma è sostanzialmente raggiunta, il veicolo può svolgere tutte le funzioni critiche di sicurezza e monitorare costantemente le condizioni della strada per l’intero viaggio, ma non in condizioni meteo estreme. Inoltre, in un contesto limitato e in una situazione ben definita, il veicolo è in grado di muoversi anche senza la presenza di un conducente a bordo;

Livello 5, automazione completa: questo è lo stadio finale in cui è richiesta solo l’indicazione della destinazione e l’avvio del sistema, senza altro intervento da parte del guidatore, in tutte le casistiche possibili.

In generale, ad oggi, le auto sul mercato non vanno oltre il secondo livello di automazione, anche se, secondo alcuni studi, entro il 2030 nei Paesi europei, fino al 18% dei veicoli in circolazione potrebbe essere di livello 3 o superiore. Ma quali sono le tecnologie che rendono e renderanno possibili anche i livelli più alti di guida autonoma? Si tratta soprattutto di radar, luce laser, Gps, visione artificiale. Grazie a queste tecnologie chi sale a bordo del veicolo non è più il conducente, ma si limita ad impostare una destinazione: al resto pensa il software dell’auto, che in prima istanza calcola il percorso, per poi avviare l’auto sulla strada. Prima di partire, però, una schiera di sensori ha già rilevato tutto ciò che dovrebbe considerare anche un essere umano prima di partire: un sensore Lidar rotante, montato sul tetto, monitora l’ambiente entro una portata di 60 metri intorno all’auto, creando una mappa 3D dinamica; simultaneamente un sensore sulla ruota posteriore sinistra monitora il movimento laterale per rilevare la posizione dell’auto rispetto alla mappa 3D; infine, i sistemi radar nei paraurti anteriore e posteriore calcolano le distanze dagli ostacoli. Tutti questi sensori sono connessi ad un sistema gestito e controllato costantemente da un software di intelligenza artificiale, che riceve input anche da Google Street View e dalle videocamere. L’intelligenza artificiale simula i processi percettivi e decisionali umani, controllando tutti i sistemi di guida, come lo sterzo e i freni. Il software dell’auto consulta poi Google Maps per conoscere in anticipo punti di riferimento, segnali stradali, semafori e condizioni del traffico. Naturalmente, è sempre disponibile una funzione di esclusione della guida autonoma, per consentire a un essere umano di assumere il controllo del veicolo, qualora ve ne fosse l’esigenza. Inoltre, ogni veicolo può utilizzare le informazioni ottenute da altri veicoli nelle vicinanze, in particolare quelle relative alla congestione del traffico e ai rischi per la sicurezza. I sistemi di comunicazione veicolare utilizzano altri veicoli e oggetti intelligenti stradali scambiandosi reciprocamente informazioni.

Entriamo più nel dettaglio e vediamo come funziona ciascuna delle tecnologie impiegate nella guida autonoma.

Il sopracitato Lidar, acronimo di Light Detection And Ranging, è il dispositivo più importante per i veicoli autonomi. Si tratta di una tecnologia di telerilevamento, in grado di misurare la distanza illuminando con un fascio di luce un bersaglio e analizzando poi la luce riflessa. Come detto, viene montato sul tetto dei veicoli autonomi, in un involucro a forma di cilindro che può compiere rotazioni di 360 gradi. Il Lidar si compone di un emettitore, uno specchio e un ricevitore. Potendo ruotare compone una mappa 3D dell’ambiente circostante e della posizione sulla strada del veicolo, utilizzando laser, ultravioletti, luce visibile o luce infrarossa per visualizzare gli oggetti. L’emettitore produce, dunque, un raggio laser che rimbalza su uno specchio che ruota insieme all’alloggiamento cilindrico a 10 giri al minuto. Dopo essere rimbalzato sugli oggetti, il raggio laser ritorna allo specchio e viene rimandato verso il ricevitore, che lo interpreta e lo trasforma in dati. Informazioni che vengono poi trasmesse al computer che genera così la mappa 3D, che può essere usata per evitare gli oggetti e la cui precisione è dell’ordine dei centimetri. Siccome la lunghezza d’onda della luce utilizzata è piccola, infatti, è in grado di riflettere tutti i tipi di superfici e anche gli oggetti più piccoli.

Un ruolo cruciale è anche quello del Radar, acronimo di Radio Detection And Ranging. Si tratta di uno strumento che, utilizzando le onde elettromagnetiche, può stimare la velocità reciproca sia del veicolo che di un oggetto lungo il percorso. Il Radar invia un segnale, attendendo che venga rimandato indietro. La frequenza del segnale di ritorno inviato, nel caso di un movimento reciproco, è leggermente modificata (per via del cosiddetto effetto Doppler); pertanto è possibile calcolare istantaneamente la velocità del veicolo che precede. Il radar utilizza una lunghezza d’onda maggiore e un’energia del segnale inferiore, rispetto al Lidar. Però, non è in grado di descrivere la forma dello spazio scansionato. Ci possono essere, perciò, dei problemi con oggetti non metallici o che hanno una forma specifica. Questo strumento è in grado di scansire la strada davanti al veicolo fino ad una distanza di circa 200 metri. Ci sono anche veicoli che sono dotati di due Radar, con gittate diverse, installati sul paraurti anteriore e posteriore. Questo sistema viene utilizzato per rilevare i veicoli in arrivo e la loro velocità, o eventuali altri ostacoli; ma anche per il parcheggio automatico, il rilevamento dell’angolo cieco, l’assistenza al cambio di corsia, il cruise control adattivo, l’avviso di impatto laterale, l’avviso di traffico trasversale, e altro ancora. Il risultato del rilevamento dell’ambiente circostante effettuato dal Radar viene poi combinato dal computer centrale con quello del Lidar, ottenendo tutta una seri di informazioni indispensabili per una guida autonoma sicura.

Ci sono poi i sensori a ultrasuoni: montati sui lati del veicolo, rilevano oggetti molto vicini e misurano la posizione di altri veicoli durante il parcheggio. Tra le diverse funzioni, forniscono quindi assistenza al parcheggio, avviso di collisione e deviazione dalla corsia.

Altri fattori fondamentali per la guida autonoma sono le videocamere, installate nella parte superiore del parabrezza anteriore, vicino allo specchietto retrovisore. Queste videocamere realizzano immagini 3D in tempo reale della strada da percorrere, che possono essere utilizzate dal veicolo per rilevare semafori, segnali stradali o oggetti imprevisti. Ma non solo: questi strumenti, infatti, riconoscono anche i segnali stradali, come lo Stop, gli attraversamenti pedonali e altri ancora. Infine, sono in grado di riconoscere anche ciò che gli altri sensori non riescono a identificare, come una persona che fa un gesto con la mano o i coni stradali.

Un altro strumento, ampiamente utilizzato anche nei veicoli classici ma fondamentale in quelli a guida autonoma, è il Gps (Global positioning system): si tratta di un sistema di navigazione satellitare che fornisce informazioni sulla posizione e l’ora correnti. É attivo ovunque sulla Terra a patto che ci sia una linea di vista libera a quattro o più satelliti. Il Gps è, sostanzialmente, la base di tutte le mappe utilizzate dal veicolo mentre è in movimento: utilizzando i satelliti raccoglie informazioni sulla posizione in tempo reale del veicolo, mantenendolo sul percorso impostato con una precisione di appena 30 centimetri. Inoltre, le mappe create con questa tecnologia vengono trasmesse al computer centrale del veicolo a guida autonoma.

I soli dati Gps però non bastano, ma devono essere combinati con i risultati forniti da un’altra tecnologia fondamentale per i veicoli a guida autonoma, ovvero l’Unità di misura inerziale (Imu). Si tratta di un dispositivo elettronico che misura e fornisce informazioni sul veicolo relative a velocità, orientamento, forze gravitazionali e altro ancora. I rilevamenti avvengono grazie alla combinazione tra accelerometri, giroscopi e magnetometri. In questo modo l’Imu aiuta il sistema GPS quando i segnali satellitari non sono disponibili, come nelle gallerie, o in caso di condizioni meteorologiche avverse, o ancora quando sono presenti interferenze elettromagnetiche.

Infine, la Cpu o computer centrale che riceve tutti dati dai vari sensori e sistemi descritti, li elabora ad una velocità elevata, e grazie ad un software Ia prende la decisione richiesta. Invia quindi l’output alle unità elettromeccaniche di guida, come sterzo, acceleratore e sistemi di frenata automatici. Il computer è collegato anche a Internet e al sistema Gps, per fornire monitoraggio e aggiornamenti in tempo reale.

Guida autonoma, tra vantaggi e dubbi

La guida autonoma pienamente realizzata ha indubbiamente diversi vantaggi. Innanzitutto quello legato alla diminuzione, o all’azzeramento, degli incidenti. Infatti, come riportato anche dal Dipartimento del Trasporto degli Stati Uniti, circa il 94% degli incidenti è dovuto ad un errore umano. Una percentuale che i veicoli a guida autonoma ridurrebbero in modo consistente. Infatti, questi sistemi non sono soggetti a stanchezza o distrazioni e sono meno vulnerabili ai rischi legati alle condizioni ambientali, come scarsa luce, nebbia o pioggia. Inoltre, la guida autonoma inciderebbe anche sull’accessibilità dei veicoli, offrendo dunque maggiore libertà di movimento anche alle persone con disabilità o anziane, non in grado di guidare i veicoli classici. Un ulteriore vantaggio è l’ottimizzazione del traffico, con sempre meno tempo perso in ingorghi o nella ricerca di un parcheggio e la conseguente riduzione sia dei tempi di percorrenza che delle emissioni. Correlata a quest’ultimo aspetto è anche la diminuzione dello stress dei guidatori, se le strade fossero percorso solo dai veicoli autonomi garantendo così anche un traffico più scorrevole. La guida autonoma potrebbe dunque tradursi in meno parcheggi e più spazi verdi nelle città: infatti, se le auto viaggiano autonomamente da persona a persona e le accompagnano a destinazione, questo potrebbe non solo ridurre il numero delle macchine in corso, ma anche il numero di parcheggi necessari. E il traffico dunque si ridurrebbe notevolmente: la comunicazione Car-to-X  (cioè tra veicolo e infrastrutture) promette un collegamento efficiente tra auto, segnali stradali e semafori. Con questa tecnologia, gli automobilisti potrebbero essere guidati in modo così efficiente da ridurre notevolmente i tempi di attesa in viaggio. Ma ci sono ancora molte questioni tecniche da risolvere, per esempio la segnaletica stradale dovrà, probabilmente, essere dotata di sensori speciali che siano in grado di segnalare spazi liberi ai veicoli.

Attualmente rimangono, dunque, ancora alcuni dubbi legati all’uso della guida autonoma, come indicato già in un report di EY del 2021 sulla mobilità del futuro. Innanzitutto c’è un tema etico: infatti, in alcune situazioni, l’intelligenza artificiale presente negli strumenti di bordo potrebbe trovarsi a dover scegliere se preservare prima di tutto l’incolumità del passeggero o se minimizzare il rischio complessivo. Un esempio portato da molti è quello di un veicolo a guida autonoma che sta per investire un bambino: in quel caso il computer dovrà decidere se sterzare all’improvviso mettendo a rischio la sicurezza del guidatore o proseguire rischiando di ferire il piccolo pedone. Ma chi dovrebbe stabilire quali criteri inserire nel cervello della macchina per farle decidere se salvare una vita rispetto ad un’altra? E quali principi dovrebbero utilizzare le macchine per prendere in maniera autonoma delle decisioni i cui effetti potrebbero rivelarsi dannosi? Dovrebbero salvare più vite possibili? O dare la precedenza a qualche categoria, come gli anziani o i bambini? A questo proposito un gruppo di ricercatori del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ha condotto un’inchiesta online individuando e valutando probabili scenari in cui i veicoli autonomi saranno costretti a fare delle scelte critiche, allo scopo di instaurare un dibattito sullo sviluppo di un’etica nei veicoli autonomi. Ai partecipanti sono stati proposti diversi scenari che prevedevano la presenza di un veicolo autonomo e varie combinazioni di passeggeri a bordo e pedoni: durante l’incidente l’auto poteva mantenersi nella propria corsia o invadere quella opposta per evitare l’ostacolo. La scelta dipendeva da quali vite le persone ritenevano di voler salvare rispetto ad altre. I risultati sono stati per certi versi sorprendenti denotando una spiccata varietà geografica: Europa e Nord America hanno manifestato la tendenza a vedere come maggiormente sacrificabili gli anziani; il Giappone ed altri paesi orientali hanno mostrato invece una forte tendenza a proteggere i pedoni indipendentemente dall’età. Cina, Taiwan ed Estonia, hanno ritenuto più preziose le vite dei passeggeri a bordo dell’auto. Al di là dei risultati dei sondaggi i dubbi etici sono ancora molti: in che percentuale le decisioni critiche possono essere affidate unicamente alle macchine? Quale dovrebbe essere il ruolo dell’operatore o passeggero umano? Come dovrebbero essere ripartite le responsabilità di un eventuale incidente mortale? A questo proposito i ricercatori dell’European University Institute di Firenze e dell’Università di Bologna hanno proposto l’adozione di una manopola etica, ovvero di un dispositivo che consenta all’operatore di scegliere, per un veicolo autonomo, una condotta più o meno egoistica. Pur preservando la facoltà della macchina di prendere decisioni, gli esseri umani si assumerebbero così la responsabilità di influenzare la strategia decisionale.

Però, a prescindere dalle persone coinvolte e dai dilemmi etici, in caso di incidente di chi sarebbe la colpa? Se, infatti, normalmente la responsabilità di un sinistro ricade sul conducente dell’auto,  per i veicoli autonomi la situazioni si complica. Infatti, il loro comportamento non dipende dalle azioni del guidatore e, dunque, in caso di incidente, la responsabilità dovrebbe essere attribuita al produttore. Ma il produttore potrebbe essersi rivolto a terzi per la predisposizione del software che governa il veicolo e, in questo caso, sarebbe sicuramente da annoverare una responsabilità anche in capo a chi ha sviluppato il software o fornito i componenti. Teoricamente, inoltre, potrebbe configurarsi una responsabilità anche per il proprietario del veicolo, per omesso o non tempestivo aggiornamento dei software necessari a consentire alla vettura di interfacciarsi con la strada.

Un’altra criticità riguarda la possibilità che i software presenti nei veicoli autonomi possano essere inficiati da errori. Ad esempio nel 2015, un veicolo di Tesla, viaggiando in modalità semiautonoma, aveva impattato frontalmente il rimorchio di un camion che improvvisamente aveva svoltato nella direzione perpendicolare dell’auto; i rilevamenti successivi all’incidente avevano stabilito che il sistema automatico del veicolo era stato messo fuori uso dal colore bianco del rimorchio stagliatosi contro il cielo particolarmente luminoso.

Un altro punto critico è quello dell’iperconnessione dei mezzi di trasporto che ha indubbiamente molti benefici, ma pone delle questioni significative in termini di rispetto della privacy dei passeggeri e vulnerabilità ad attacchi malevoli, che possono arrivare fino al furto o al dirottamento del veicolo stesso. Infatti, come ogni dispositivo elettronico connesso ad un rete, anche le vettura a guida autonoma potrebbero essere vulnerabili ad attacchi hacker. Emblematico in questo senso è un episodio accaduto nel 2015, quando due hacker presero il controllo di una Jeep Cherokee (freni, acceleratore e chiusura delle porte) allo scopo di dimostrare la vulnerabilità dei sistemi informatici installati sulle auto. Per quanto riguarda la privacy, invece, bisogna tenere conto che questi veicoli accumulano una mole importante di dati personali non solo del conducenti, ma anche di altre persone che viaggiano a bordo del mezzo: si pensi alle telecamere esterne ed interne, ad eventuali meccanismi di riconoscimento vocale o biometrico, alla posizione del sedile, alla destinazione, al percorso effettuato, all’esistenza di un tragitto preferito e così via. Tutte informazioni che potrebbero essere utilizzate per attività di marketing o illecitamente acquisite da terzi per altri fini. Sarebbe opportuno, dunque, che i costruttori dimostrassero di aver adottato politiche di raccolta e trattamento dati tali da poter garantire un’adeguata sicurezza ed evitare danneggiamenti o manipolazioni. É necessaria dunque l’applicazione, fin dalla costruzione dei veicoli autonomi, dei principi di privacy by design e by default: si tratta, dunque, di unire alla progettazione meccanica e tecnica quella relativa alla protezione dei dati personali, garantendo soluzioni che tutelino la privacy e la sicurezza degli utenti, limitando il trattamento dei dati personali solamente a quelli strettamente necessari. Sarebbe importante, inoltre, prevedere un’adeguata e funzionale informativa sul trattamento dei dati personali in modo che gli utenti sappiano esattamente quali saranno le conseguenze del trattamento.

Sperimentazioni di guida autonoma

Una dei progetti italiani più interessanti relativo alla guida autonoma è il 1000 Mad, 1000 Miglia Autonomous Drive, sviluppato dal Politecnico di Milano, in collaborazione con il Most, il Centro nazionale per la mobilità sostenibile. La protagonista è una Maserati GranCabrio Folgore totalmente elettrica ed equipaggiata con un sistema “robo-driver”, ovvero una nuova configurazione hardware e software che consente all’auto di muoversi in autonomia. Il robo-driver è stato affiancato da un copilota umano per rispettare i requisiti di autorizzazione alla sperimentazione. Durante l’edizione 2024 della 1000 Miglia nella tappa che transita da Castiglione della Pescaia, il veicolo autonomo è stato collocato davanti ai mezzi della carovana che partecipano alla competizione e ha affrontato l’intero percorso della corsa. Il legame fra guidatore umano e intelligenza artificiale è stato rappresentato visivamente da un avatar (sviluppato dal dipartimento di design del Politecnico) realizzato in plexiglass e caratterizzato da lastre blu illuminate a led, che rappresenta il concetto di innovazione e futuro guidato dall’intelligenza artificiale. L’avatar ha affiancato il co-driver per tutto il percorso della 1000 Miglia. 1000 Mad, 1000 Miglia Autonomous Drive è un progetto ambizioso che, spiegano dal Politecnico, “punta a sviluppare la tecnologia dell’auto a guida autonoma come elemento abilitante per il passaggio a futuri modelli di mobilità in ambito urbano più sicuri e più sostenibili”.

Anche Autostrade per l’Italia da qualche tempo sta testando la guida autonoma, grazie a Movyon, centro di eccellenza per la ricerca e l’innovazione del Gruppo ASPI e leader nei servizi di Intelligent Transport Systems. Lo scorso febbraio è stato effettuato un altro test, per la prima volta su un tratto autostradale aperto al traffico. ASPI è la prima concessionaria in Italia a consentire la circolazione di questa tipologia di veicoli, ed affianca il già citato Politecnico di Milano, che ha recentemente ottenuto l’autorizzazione a questo tipo di test, supportato dall’Osservatorio tecnico del Ministero delle infrastrutture e trasporti. Le prime prove su strada sono partite già a luglio sulla A26, dove l’auto a guida autonoma ha percorso 20 km, in un tratto senza gallerie. A fine ottobre la sperimentazione è proseguita per altri 30 km, sempre in A26, passando questa volta anche nella galleria Valsesia. Test che sono serviti per comprendere con quale precisione il veicolo si localizza nel suo percorso, rilevando ad esempio la segnaletica verticale e orizzontale e la copertura satellitare del Gnss (Global navigation satellite system). La sperimentazione consentirà a Movyon di individuare le azioni e le tecnologie da introdurre lungo la rete autostradale, per aumentare la capacità delle auto di leggere la strada, viaggiando in totale sicurezza. In quest’ottica, il Gruppo sta ad esempio dotando alcune tratte autostradali di una tecnologia capace di segnalare in anticipo al veicolo la presenza di pericoli, come cantieri o code, prima ancora che entrino nel suo nel campo visivo. Ulteriori sperimentazioni verranno eseguite a traffico aperto nella galleria Valsesia, per verificare l’affidabilità del posizionamento di precisione dell’auto abilitato da antenne distribuite nel tunnel, che consentono al veicolo di mantenere lo stesso livello di guida autonoma, anche in assenza del segnale satellitare, come quando si è, appunto, in galleria.

A Torino, lo scorso gennaio, è partito il progetto Europe Envelope, che coinvolge Tim, Hewlett Packard Enterprise e Nextworks. Nell’ambito di questa iniziativa Teoresi, gruppo internazionale con sede nel capoluogo piemontese attivo nel campo dell’innovazione tecnologica, ha fornito due prototipi di auto a guida autonoma e connessa per la sperimentazione della piattaforma costruita sulla base delle tecnologie 5G e 6G. I due veicoli si basano sulla XEV YoYo e sono aggiornati con nuovi sensori in grado di analizzare l’ambiente circostante. L’idea dietro il progetto è infatti quella di sviluppare piattaforme sperimentali e prove su strada su larga scala per promuovere la diffusione del 5G, testando anche nuove soluzioni che porteranno alla definizione del 6G. Tecnologie che in futuro saranno il perno centrale della mobilità urbana e sostenibile.

Nel Piano urbano della mobilità sostenibile (Pums) 2022-2032 del Comune di Ravenna si prevede la sperimentazione di bus-navetta a guida autonoma per collegare la stazione di Lido di Classe-Lido di Savio a Mirabilandia, con l’obiettivo di rendere la città più sostenibile e vivibile, e, allo stesso tempo, migliorare l’accessibilità del parco, riducendo il traffico sulla statale Adriatica e promuovendo una mobilità più sostenibile. Un’iniziativa che si inserisce in un contesto più ampio di ricerca della sostenibilità e della vivibilità urbana, proponendo soluzioni innovative per risolvere le problematiche legate al traffico e alla qualità dell’aria. L’implementazione di un sistema di trasporto pubblico autonomo tra la stazione di Lido di Classe-Lido di Savio e il parco divertimenti Mirabilandia, rappresenta un’ambizione significativa che potrebbe trasformare l’esperienza di mobilità sia dei cittadini che dei turisti. L’amministrazione ravennate è ben consapevole che la guida autonoma porta con sé diverse sfide, legate sia alle normative sia alla fiducia dei cittadini. L’ambizione di Ravenna offre comunque alla città un’opportunità unica per trovarsi in una posizione d’avanguardia nella mobilità sostenibile, da un punto di vista culturale e tecnologico. Inoltre, il successo di questa iniziativa potrebbe servire da modello per altre città in Italia e nel mondo, dimostrando l’efficacia delle soluzioni di trasporto innovative nel migliorare la qualità della vita urbana.


Giulia Galliano Sacchetto
Giornalista professionista, con alle spalle esperienze in diversi campi, dalla carta stampata al web. Mi piace scrivere di tutto perché credo che le parole siano un’inesauribile fonte di magia.

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