Rinnovabili, non solo fotovoltaico ed eolico: l’energia si produce anche con le alghe

Il Comune di Pollica sta realizzando un impianto di riciclo della Posidonia oceanica, che fornirà energia elettrica a prezzi ribassati a 500 famiglie. Anche le biomasse legnose e l’acqua vengono riutilizzate in misura crescente
31 Gennaio 2024 |
Giulia Galliano Sacchetto

L’aumento della domanda energetica globale e l’urgente necessità di ridurre le emissioni di gas serra stanno rendendo le fonti energetiche rinnovabili sempre più fondamentali. L’Italia, pur avendo una buona percentuale d rinnovabili nel mix energetico nazionale, non sta crescendo a un ritmo sufficiente per raggiungere gli obiettivi europei e globali. Secondo il Renewable Energy Report 2023, redatto da Energy & Strategy – School of Management Politecnico di Milano, nel 2022 c’è stata una lieve crescita, ma non si sono superati i 63,6 GW di capacità FER (fonti energiche rinnovabili, ndr) installata, di cui solo 3 GW installati nel 2022. La crescita, rispetto al 2021, è rilevante, con un +125% rispetto all’incremento dell’anno precedente, ma è ancora troppo poco in valore assoluto per raggiungere gli obiettivi al 2030, ovvero 125-150 GW di fonti energetiche rinnovabili installate e una quota di generazione elettrica prodotta da FER del 72-84%. La crescita dell’utilizzo di energia pulita non passa però solo da eolico e fotovoltaico, ma anche da altri materiali naturali forse meno considerati ma altrettanto utili, come la biomassa, legnosa ma non solo, e le alghe.

La biomassa legnosa è costituita da materiale vegetale, come legno, foglie, rami e residui agricoli; può essere utilizzata per produrre energia elettrica, calore e biocarburanti. Sebbene sia relativamente economica, la sua combustione può rilasciare nell’atmosfera gas serra, come Co2 e Ch4 (metano). Per questo si stanno studiando metodi di utilizzo che limitino o perlomeno compensino queste emissioni: ad esempio, utilizzandola in combinazione con altre fonti energetiche rinnovabili, come l’eolico e il solare.

Le alghe, organismi fotosintetici che crescono in acqua salata o dolce, possono essere utilizzate per produrre energia elettrica, biocarburanti e altri prodotti chimici. Presentano una serie di vantaggi rispetto ad altre fonti energetiche rinnovabili: innanzitutto, crescono rapidamente e possono essere coltivate in una varietà di ambienti, compresi quelli inospitali per altre piante. In secondo luogo, hanno un alto contenuto di lipidi, che possono essere trasformati in biocarburanti. Inoltre, possono assorbire Co2 dall’atmosfera, contribuendo a mitigare il cambiamento climatico.

Il riuso delle alghe: il progetto di Pollica

Tra le alghe quella più conosciuta e anche più immediatamente disponibile è la Posidonia oceanica, insuperabile rimedio naturale all’erosione costiera nonché rifugio per la fauna marina. Proprio per questo la Posidonia è una specie protetta a livello europeo. Tuttavia, questa pianta tende ad accumularsi sulle spiagge, diventando quindi un problema per quei numerosi turisti che la considerano un elemento sporco e che crea degrado. A questo proposito in Italia, il Comune di Pollica ha avviato un interessante progetto per la realizzazione del primo impianto italiano che genererà energia dalla Posidonia spiaggiata. Innovazione Pa ne ha parlato con il sindaco del Comune campano, Stefano Pisani.

Da dove nasce l’idea di questo progetto e come funzionerà?

Il progetto nasce da una duplice esigenza del nostro Comune. Da un lato c’erano la difficoltà nel conferimento del rifiuto umido e i relativi costi di smaltimento, dall’altra la necessità di trovare un modo sostenibile per gestire la Posidonia. Noi, infatti, eravamo soliti insabbiarla nei siti dove si accumulava, difendendo così anche l’areale dall’erosione costiera. Quindi, quando si preparavano le spiagge per l’estate, anziché portarla via realizzavamo delle trincee e lì la interravamo. Ma nel tempo è diventata troppa e non avevamo più spazio per insabbiarla. Inoltre, abbiamo notato che c’erano anche altri Comuni della costa del Cilento alle prese con lo stesso problema, così abbiamo iniziato ad immaginare come renderla utile. La prima idea era di portarla ad un impianto di compostaggio, ma i costi erano molto elevati e la resa bassa. Allora ci siamo chiesti se ci fosse un modo per generare energia dalla Posidonia. E così abbiamo scoperto che in Canada c’è l’azienda Anaergia che fa esattamente questo: crea grandi impianti di trattamento di Posidonia. Abbiamo quindi studiato e creato un impianto innovativo in grado di eseguire questo processo, ma più piccolo. Parliamo di circa 7000 tonnellate, tra umido, Posidonia e fanghi di depurazione. Siamo stati affiancati dalla Miras Energia che, approfondendo lo studio dell’impianto, ha confermato la sua convenienza economica. Il nostro impianto è un campione di economia circolare: sarà, infatti, contiguo alla nostra isola ecologica (il Comune di Pollica può vantare l’84% di raccolta differenziata) e vicino anche al depuratore di Acciaroli. L’isola ecologica raccoglie il rifiuto umido, che può essere inviato al confinante impianto di trattamento della Posidonia; il depuratore ha invece una duplice funzione. Da un lato con i fanghi di depurazione esausti fornisce ulteriori input per il processo di trattamento della Posidonia. Ma è anche in corso di realizzazione un nuovo modo di smaltire le acque di depurazione, che non vengono incanalate in condutture sotterranee che finiscono in mare, ma vengono trattate con i raggi ultravioletti e re-immesse poi nella rete. Si tratta di una rete duale, quindi non potabile, le cui acque si possono usare ad esempio al porto, per il lavaggio delle barche, per l’irrigazione agricola e così via. Una volta che l’impianto per il riciclo della Posidonia sarà pronto, useremo queste acque di depurazione per il lavaggio delle alghe, procedura necessaria per eliminare i residui di sabbia che vanno riportati a mare, senza sprecare acqua potabile. I residui delle acque vengono poi immessi in un torrente che finisce in una spiaggetta che ha bisogno di ripascimento (di essere rifornita di sabbia, ndr). L’output di tutto questo processo è la creazione di corrente elettrica, fornita in comunità energetica a 500 famiglie del Comune di Pollica. L’impresa si è resa infatti disponibile ad offrire l’energia elettrica ad un canone agevolato a tutti i cittadini, ma soprattutto alle fasce deboli che rientrano nella comunità energetica.

Quali sono i tempi di realizzazione?

Al momento stiamo ultimando la conferenza dei servizi, quindi l’impianto potrà essere pronto entro la fine dell’anno prossimo. Non c’è una grande difficoltà realizzativa quanto autorizzativa, perché Pollica è un Comune situato in un’area protetta, il Parco Nazionale del Cilento: è, quindi, necessario, ma complicato, far comprendere ai decisori politici e amministrativi il valore ambientale di questo impianto di riciclo della Posidonia.

Quali risparmi si potranno ricavare?

Garantiremo energia ad un prezzo convenzionato a 500 famiglie, con un risparmio di circa il 30% rispetto alla tariffa di mercato. La convenzione che ci è stata proposta ci consentirà anche di risparmiare, non pagando la tassa di conferimento dell’umido, che al momento è di circa 140 euro per tonnellata. Non solo, prenderemo anche l’umido di altri Comuni per portarlo nel nostro impianto, fino ad un totale di 5mila tonnellate (Pollica ne produce 500 all’anno quindi possiamo coinvolgere 7/8 Comuni attorno a noi che ci forniranno l’umido a prezzo ridotto quindi conveniente e con risparmio collettivo). C’è quindi un efficientamento complessivo del processo di gestione sia della Posidonia sia del rifiuto umido.

Quali sono i vantaggi per l’ambiente e per i cittadini?

Riduciamo l’impatto del trattamento dei rifiuti, non usiamo fonti fossili ma rinnovabili, aumentiamo la possibilità annuale di uso della risorsa idrica. Inoltre, l’impianto è posizionato su un percorso escursionistico ambientale, per cui stiamo immaginando anche la possibilità di far diventare questo tris di impianti (impianto di trattamento della Posidonia, depuratore e isola ecologica) un punto di incontro, formazione e studio aperto a tutti gli interessati di gestione ambientale.

Non solo Pollica…

Fin qui Pollica, che non è però l’unico esempio virtuoso di riutilizzo delle Posidonia. In Sicilia, ad esempio, lo scorso settembre è terminata la prima fase di sperimentazione del progetto Medonia (Ex GE.RI.N), portato avanti dall’Enea: l’obiettivo è quello di recuperare la Posidonia che si accumula sulle spiagge in inverno per realizzare stuoie biodegradabili, in grado di favorire il turismo sostenibile e la valorizzazione delle coste italiane. GE.RI.N. fa parte del più ampio Progetto “Ecoinnovazione Sicilia”, che vuole sviluppare nuove tecnologie che favoriscano il turismo sostenibile, la salvaguardia dell’habitat naturale e il recupero eco-compatibile dei resti della Posidonia oceanica. Secondo la prassi, infatti, attualmente le biomasse vegetali spiaggiate vengono raccolte e mescolate ai rifiuti e poi trasportate in discarica. Con il progetto GE.RI.N, invece, gli scarti vegetali verranno utilizzati per realizzare stuoie biodegradabili al 100%. Si tratta di strutture a “materasso”, costituite da sacche in fibra naturale (cocco, juta, canapa, e così via.) da riempire con i resti di Posidonia accumulata sulle spiagge utilizzando mano d’opera locale. Questi speciali tappetini sono facilmente trasportabili e possono essere utilizzati per creare camminamenti, sentieri, coperture naturali da distendere su tratti rocciosi in modo da contrastare il problema dell’erosione costiera, riducendo l’asportazione della sabbia e aumentando la ricettività balneare. Inoltre, grazie alla collaborazione con l’Area Marina Protetta delle Isole Egadi, nell’isola di Favignana le bio-stuoie riempite di Posidonia sono state immerse a 10 metri di profondità in un tratto di fondale antistante Cala Azzurra, dove la prateria di Posidonia è molto danneggiata. Per zavorrarle sono stati utilizzati blocchi di calcarenite, un materiale proveniente da varie parti dell’isola e compatibile con la sabbia sciolta del fondo marino. Sulle bio-stuoie sono stati reimpiantati anche alcuni fasci di piante recuperati in loco, in modo da avviare una ricolonizzazione. Ulteriore obiettivo del progetto Medonia è quello di recuperare i resti delle piante marine per la produzione di compost per fini agricoli.

Nel 2020 era partito un altro progetto: “Rispetta il tuo Capitale”, promosso dall’associazione ambientalista Marevivo e sostenuto da Pramerica Sgr. La prima fase dell’iniziativa aveva permesso di raccogliere centocinquanta tonnellate di Posidonia spiaggiata, che era stata poi separata dalla sabbia, purificata dai rifiuti antropici e trasformata in compost. Altre trecentoventi tonnellate di sabbia erano state depurate e riportate sulla spiaggia di provenienza, mentre erano state smaltite correttamente dieci tonnellate di rifiuti antropici derivati dal trattamento. L’obiettivo era valorizzare il ruolo della Posidonia oceanica, sottolineando la sua importanza nella salvaguardia della biodiversità del Mediterraneo e misurando il benessere percepito e il valore aggiunto di tale iniziativa non solo per gli individui, ma per tutta l’economia del territorio. Gli interventi hanno interessato un chilometro della spiaggia Le Gorette nell’area di Marina di Cecina, in Toscana, consentendo, da un lato, il pieno riutilizzo delle risorse utili per l’ambiente e, dall’altro, il corretto conferimento dei rifiuti rinvenuti durante le operazioni.

Il riuso dell’acqua

Quello di Pollica è un esempio di riuso non solo delle alghe ma anche dell’acqua. I recenti periodi di siccità hanno reso urgente un corretto ed efficiente utilizzo delle risorse idriche. Secondo l’indagine “Il riutilizzo delle acque reflue in Italia”, realizzata da Utilitalia (la Federazione delle imprese idriche, ambientali ed energetiche), il riuso delle acque reflue depurate in agricoltura rappresenterebbe una soluzione per fronteggiare periodi particolarmente siccitosi. Ma il processo dovrebbe diventare strutturale applicando all’acqua gli stessi principi dell’economia circolare. Questo perché il potenziale è enorme – circa 9 miliardi di metri cubi all’anno – e in Italia viene sfruttato solo per il 5% (475 milioni di metri cubi). Oltretutto il regolamento europeo 2020/741 prevede il riuso delle acque da parte degli Stati membri a partire dal giugno del 2023, e quindi l’Italia deve adeguare velocemente la normativa di riferimento – risalente al 2003 – per incentivare questa pratica.

Il campione analizzato da Utilitalia – di circa 21 milioni di abitanti serviti – ha rilevato 79 impianti per la produzione di acque di riuso già esistenti e funzionanti, con una potenzialità complessiva pari a 1,3 milioni di metri cubi al giorno (475 milioni di metri cubi in un anno). Di contro, l’uso diretto per l’irrigazione attraverso reti dedicate è ancora piuttosto scarso: di questi 79 impianti, solo 16 sono dotati di una specifica rete di trasporto e distribuzione dell’acqua affinata. L’utilizzo agricolo indiretto, quello cioè che si avvale per lo più di preesistenti canali irrigui, rimane la pratica più diffusa. Oltretutto sono 23 le installazioni per le quali non è ancora definito uno specifico utilizzo, a dimostrazione delle incertezze e dei dubbi che ancora sono presenti nei potenziali utilizzatori finali. Altri 24 impianti sono programmati e dovrebbero essere ultimati entro 5 anni, mentre su ulteriori 40 sono in corso studi di fattibilità. Nel breve-medio periodo le installazioni operative dovrebbero dunque raddoppiare, andando ad aggiungersi ai 18.140 impianti di depurazione attivi, di cui 7.781 dotati di un trattamento secondario/avanzato che si potrebbero potenziare per renderli idonei alla produzione di acqua affinata per il riuso. Anche da questi dati si comprende l’enorme potenziale di sviluppo di questo settore.

Dai depuratori italiani fuoriescono circa 9 miliardi di metri cubi di acqua ogni anno. Si tratta di una grande opportunità che, soprattutto nei periodi siccitosi potrebbe sostenere in maniera importante i vari usi dell’acqua ed in particolare quelli del comparto agricolo. Bisogna però valutare attentamente le singole iniziative considerandone i benefici ed i costi, nonché superare i problemi relativi alla governance, alla mancanza di fondi dedicati ad infrastrutture che favoriscano soluzioni orientate al riuso e alla corretta attribuzione delle responsabilità. L’indirizzo su come ripartire i costi di affinamento, stoccaggio e del trasporto spetta al decisore politico ma è innegabile che i margini di crescita siano evidenti, anche se resta fondamentale il miglioramento delle infrastrutture a servizio dei diversi usi. Perché proprio l’infrastruttura idrica è una nota dolente. La società italiana di medicina ambientale (Sima) evidenzia, infatti, come l’Italia investa oggi sulla rete idrica oltre il 50% in meno rispetto alla media europea, pagando il conto di investimenti assai ridotti rispetto agli altri Stati membri. I Paesi Ue, infatti, destinano alla manutenzione e depurazione delle acque l’equivalente di circa 100 euro a cittadino, in Italia questa cifra è meno della metà: appena 48 euro ad abitante. Secondo la Sima, per colmare il gap servirebbero subito 12 miliardi di euro da investire sul sistema acqua, a cui andrebbero aggiunti 6 miliardi di euro all’anno solo per la manutenzione della rete e la depurazione dell’acqua. Numeri che, tuttavia, si scontrano con i fondi previsti dal Pnrr, nel quale solo 2,8 miliardi di euro sono destinati al sistema acqua. Eppure in Italia, a causa della rete “colabrodo”, 1 capoluogo su 3 registra perdite totali di acqua superiori al 45%, con valori che oltrepassano la soglia del 65% a Siracusa (67,6%), Belluno (68,1%), Latina (70,1%) e Chieti (71,7%). All’opposto, la situazione migliore si registra a Macerata (9,8% di perdite), Pavia (11,8%), Como (12,2%), Biella (12,8%), Milano (13,5%), Livorno (13,5%) e Pordenone (14,3%). Un’ultima problematica evidenziata da Sima è la presenza di un elevato numero di operatori che gestiscono la distribuzione dell’acqua in Italia: sono infatti più di 700. Questa eccessiva frammentazione appesantisce il processo burocratico complessivo e porta ad allontanare investimenti privati. Il problema della siccità, inoltre, si ripresenterà con maggiore frequenza negli anni a venire. Per questo, secondo la Sima, serve ripensare i metodi di coltivazione in agricoltura, abbandonando le colture che richiedono enormi quantità di acqua, recuperando i fanghi destinati alle biomasse e utilizzando le moderne tecnologie (sonde, sensori, mini-stazioni meteo, irrigazione sottofoglia) in grado di abbattere i consumi idrici fino al 30%. Ma il punto di partenza rimane l’ammodernamento delle condutture che, in alcuni casi, sono così obsolete da contenere ancora amianto. Proprio queste criticità, se ben gestite, possono però tramutarsi in una svolta positiva per il paese come sottolinea il Commissario straordinario unico per la depurazione, Maurizio Giugni: “Il complesso percorso di messa in regola dell’Italia, e del Mezzogiorno in particolare, in campo fognario e depurativo può essere l’occasione per innovare il sistema nel senso dell’economia circolare. Nuovi depuratori sono in fase di realizzazione e di altri è in corso l’adeguamento funzionale, con tecnologie avanzate che restituiranno un refluo di qualità in tanti territori fin qui sprovvisti di infrastrutture efficienti e che, per questo motivo, sono sanzionati dall’Europa. Intensificare il riutilizzo delle acque depurate a fini irrigui è una strada necessaria ma servono tante azioni congiunte, penso ad esempio al recupero delle perdite nei sistemi idropotabili e irrigui e alla regolazione dei deflussi con grandi o piccoli invasi, per rispondere in maniera non emergenziale, ma strutturale, alla sete della terra”.

La biomassa legnosa

Un altro elemento ancora poco considerato a livello di mix energetico, ma sempre più importante è la biomassa legnosa. Secondo Aiel (Associazione italiana energie agroforestali), questo materiale è la fonte energetica rinnovabile più utilizzata dagli italiani. Basti pensare che nel 2021, la biomassa legnosa ha coperto circa il 64% dei consumi termici provenienti da fonti energetiche rinnovabili, seguito dall’energia ambiente trasferita da pompe di calore per riscaldamento (che si attesta intorno al 22%). Viene usata soprattutto in ambito domestico in forma di legna da ardere e pellet. Il suo utilizzo ha permesso, tra l’altro, all’Italia di raggiungere la quota di energie rinnovabili al 2020 fissata dall’Unione Europa. Sempre secondo i dati in possesso di Aiel, derivanti dall’analisi dell’ultimo rapporto statistico di Gse (Gestore dei servizi energetici), la biomassa legnosa è anche la fonte energetica rinnovabile più efficiente in termini di €/ktep (migliaia di tonnellate equivalenti di petrolio) di calore rinnovabile prodotto: infatti, vengono prodotti 11.630 MWh di calore rinnovabile ogni 2,1 milioni di euro investiti. Questi risultati confermano ulteriormente la centralità delle bioenergie nel processo di decarbonizzazione energetica. Aiel sottolinea l’importanza di riconoscere il contributo delle biomasse legnose alla transizione energetica anche nel Pniec. L’obiettivo dovrà essere raggiungere i 16,5 Mtep (milioni di tonnellate equivalenti di petrolio) di energia termica prodotta da bioenergia nel 2030. Se così fosse l’Italia potrebbe evitare l’importazione di oltre 10 miliardi di metri cubi all’anno di gas naturale, dando un’ulteriore spinta alla decarbonizzazione del comparto termico nazionale. Per Aiel, che raggruppa le imprese della filiera legno-energia e da 20 anni si occupa di valorizzazione energetica delle biomasse agroforestali, non è più possibile dunque sottovalutare l’importanza del legno nel processo di transizione ecologica. Le bioenergie in generale devono quindi necessariamente diventare parte sempre più integrante del mix energetico rinnovabile.

Tuttavia, in Europa ultimamente c’è stato un dibattito sulla sostenibilità delle biomasse forestali nel mix energetico e su come si possano raggiungere gli obiettivi climatici con o senza di esse. Nello specifico ci si chiede se le biomasse forestali possano essere utilizzate e se possano essere considerate una forma di energia rinnovabile, perché, come accennato in precedenza, la loro combustione può produrre gas serra. C’è quindi una duplice necessità: da un lato è indispensabile produrre più energia da fonti rinnovabili nei prossimi anni (secondo gli ultimi target, le rinnovabili dovrebbero rappresentare circa il 45% del mix energetico entro il 2030), ma dall’altro c’è la necessità di definire e controllare meglio quale tipologia di biomasse utilizzare per produrre calore ed elettricità. La linea di fondo emersa dalla discussione è che l’energia ricavata dalle biomasse debba soddisfare alcuni criteri di sostenibilità come la prova della protezione della qualità del suolo e del carbonio del suolo per i rifiuti e i residui agricoli. Inoltre, le materie prime utilizzate per le bioenergie non devono derivare da foreste ad alta biodiversità. Questi criteri, volti alla riduzione delle emissioni di gas serra, verranno applicati anche agli impianti basati sulla biomassa. Inoltre, gli impianti di riciclaggio dovranno utilizzare macchinari ecologici e performanti in modo da recuperare la maggior parte della biomassa e compost ove possibile.

In Europa ci sono diversi paesi dove questo materiale rappresenta già una parte importante del mix energetico nazionale, come la Svezia, il cui 63% dell’energia proviene da fonti rinnovabili, principalmente biomasse appunto, ma anche idroelettrico ed eolico, la Finlandia e la Lettonia. Quest’ultima vanta una quota del 42% proveniente principalmente dalla biomassa e dall’energia idroelettrica. Un caso interessante è quello della Germania dove, secondo i dati del 2018 (ETIP Energy), circa l’8,1% del consumo di energia primaria era coperto da biomasse e rifiuti biogeni. La domanda è dunque in crescita e le colture agricole, i residui come paglia e letame e le biomasse legnose possono giocare un ruolo importante. Il governo federale tedesco sta lavorando per gettare le basi per un uso più sostenibile della biomassa con un focus sugli investimenti a lungo termine nelle aree rurali, dove il suo utilizzo come fonte di energia è alto. L’obiettivo è quello di utilizzare le biomasse in un modo più rispettoso dell’ambiente: ad esempio, utilizzando il legname per fabbricare materiali da costruzione o mobili e impiegarlo come risorsa energetica solo come ultima opzione. L’uso sostenibile della biomassa diventa ancora più importante se si guarda alla proposta della Commissione Europea di vietare la vendita di caldaie a gas nel suo territorio a partire da gennaio 2029. L’obiettivo è produrre calore ed elettricità in modi più rispettosi del clima e dell’ambiente.

Guardando oltreoceano, nel 2021 negli Stati Uniti, la biomassa ha fornito circa il 5% del consumo totale di energia primaria, principalmente proveniente da biocarburanti (etanolo), seguita da biomassa legnosa e biomassa da rifiuti solidi urbani e liquami, letame animale e sottoprodotti agricoli. Anche i paesi asiatici stanno cercando di passare alle fonti energetiche rinnovabili. Se diamo uno sguardo al Giappone, troviamo ancora il petrolio, il carbone e il gas naturale come fonti predominanti nel sistema energetico. Secondo un rapporto dell’AIE (Agenzia internazionale dell’energia), le rinnovabili rappresentano solo il 6% dell’approvvigionamento energetico totale in Giappone nel 2019. La quota di energie rinnovabili nel consumo finale di energia è dell’8% e circa un terzo proviene dalla biomassa, ma il Giappone è pronto a ridurre le emissioni di gas serra a zero e diventare carbon neutral entro il 2050. Il piano è quello di avere un mix energetico più sostenibile. Il mercato della biomassa è in crescita anche in Cina, con l’obiettivo di raggiungere la carbon neutrality entro il 2060. Secondo i dati, la Cina produce ogni anno oltre 900 milioni di tonnellate di biomassa agricola e forestale, a cui si aggiunge la biomassa da rifiuti organici. Di questi, 90 milioni di tonnellate vengono utilizzati per la produzione di energia.

Nell’utilizzare biomassa legnosa non va infine dimenticato il luogo da cui essa proviene. Christopher Moorman, professore statunitense e capo associato ad interim del Dipartimento delle risorse forestali e ambientali, ha studiato i modi in cui la raccolta della biomassa legnosa può avere un impatto sulla biodiversità e sulla fauna selvatica. Le sue conclusioni hanno evidenziato l’importanza di lasciare una parte della biomassa legnosa adatta alla bioenergia in natura, per mantenere intatto l’habitat della fauna selvatica e tutelare la biodiversità. Perché sia le alghe che la biomassa legnosa sono due materiali naturali che offrono un potenziale significativo per la produzione di energia pulita e sostenibile, ma il loro utilizzo deve essere intelligente senza depauperare gli habitat naturali da cui questi elementi provengono.


Giulia Galliano Sacchetto
Giornalista professionista, con alle spalle esperienze in diversi campi, dalla carta stampata al web. Mi piace scrivere di tutto perché credo che le parole siano un’inesauribile fonte di magia.

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